• 9 Marzo 2025
Cultura

Ferdinando II di Borbone fu definito con il soprannome di “Re Bomba” in seguito alla repressione dei moti rivoluzionari del 1848 e per il bombardamento di Messina in rivolta. E’ stato per quasi 150 anni definito un monarca violento, rude, geloso del suo potere tale da spingerlo ad un conservatorismo assolutista; reazionario e in contrasto perdurante con i ceti dirigenti e così disinteressato alle vicende europee del tempo da portare il Regno in un isolazionismo marcato. Nella realtà invece le cose e la sua persona sono differenti da come fu descritto e si è descritto per oltre un secolo. Quando salì al trono, egli giungeva dall’esperienza di una nascita nell’ esilio in Sicilia a seguito dell’occupazione del Regno da parte dei Francesi ovvero il periodo Murattiano come è di solito definito il periodo francese che va dal 1806 al 1815. Ritornato il Regno ai Borbone dopo il congresso di Vienna il paese dovette accettare la presenza di un importante contingente militare austriaco tra il 1821 ed il 1827 a seguito dei moti Carbonari pagato dalle casse regnicole, e ancor prima durante l’esilio siciliano Francesco I padre di Ferdinando II dovette subire l’ingerenza protezionistica della Gran Bretagna. Sempre in ottimi rapporti con il padre,Ferdinando aveva da questi ricevuto una importante esperienza politica in considerazione che fin da giovanissimo aveva partecipato alle riunioni del consiglio di Stato. Le travagliate vicende europee e del Regno tra il 1799 ed il 1827 avevano dato a Francesco I un bagaglio di esperienze molto importante, ed anche se lo stesso non era a suo agio nell’ambito della politica interna, si sforzò di bilanciare e spesso moderare situazioni e vicende. Volle dunque per il figlio una educazione ed una istruzione elevata in considerazione che egli stesso era altamente istruito e dedito alla ricerca scientifica. Ferdinando II fu educato anche ad una religiosità sentita, vissuta con convinzione nelle pratiche del culto, non scevra da amore per le manifestazioni esterne e da una certa superstizione, tipicamente napoletana; ad essa si accompagnarono convinzioni morali ispirate ai principi cristiani, seguiti rigidamente.

Studiò seguendo un piano formulato da Monsignor Olivieri, che andava dal catechismo e dalla storia sacra al latino, ad aritmetica e geometria, alla geografia, alla retorica e alla logica, alla storia, a principi di filosofia e di giurisprudenza. Parlò correntemente varie lingue moderne. Altissimo, robusto, fu amante degli esercizi fisici, e si appassionò a tutti gli aspetti della vita militare. Intelligente, dotato di memoria straordinaria (ricordava i nomi di tutte le persone conosciute, anche dei soldati), ambizioso, desideroso di ben figurare, Ferdinando fu precocemente maturo. Il padre, fisicamente e moralmente provato, ne assecondò il desiderio di assumere responsabilità precise. Divenuto monarca nel 1830 a 20 anni, avviò una importante serie di riforme economiche e mirò subito alla riorganizzazione dello Stato, a questo scopo iniziò il proprio regno concedendo una larga amnistia politica e chiamando ai posti di comando gli antichi seguaci di Murat e gli antichi rivoluzionari del ’21. Così si circondava anche di uomini capaci e ricchi d’esperienza. Questi dettero un nuovo impulso alla vita del Regno, che ebbe un periodo di risveglio anche perché il governo personale di Ferdinando, colpiva e reprimeva molti vecchi abusi del sistema precedente non immune da venalità e corruzione. In questo modo il Re riuscì a pacificare le parti sociali ancora in tumulto dopo il periodo napoleonico. Ferdinando si preoccupò di migliorare le finanze, con una serie di regi decreti, il nuovo Re ridusse l’opprimente burocrazia degli uffici statali e provvide alla riorganizzazione del bilancio, ridusse del 50% la sua lista civile e quella della casa regnante, rinunciando a 360.000 ducati, abolì le riserve di caccia reali di Persano, Venafro, Calvi e Mondragone ed alcuni uffici superflui, come la polizia di palazzo e la carica di cacciatore maggiore, abbassò lo stipendio annuo dei ministri a 6.000 ducati annui, distribuì fra 50 comuni le terre destinate al pascolo dei regi armenti e ridusse della metà le pene per i condannati politici.

Per diminuire la pressione fiscale e aumentare il consenso introdusse con il decreto dell’11 gennaio 1831 il dimezzamento del dazio sul macinato che nel 1847 venne abolito. Allargò il sistema previdenziale, che era stato introdotto nel Regno per primo in Italia già nel 1816, fu migliorato e istituito per tutti i dipendenti dello stato, attraverso la ritenuta degli stipendi, esso decretava che dopo vent’anni di servizio si aveva diritto a un terzo dello stipendio, dopo venticinque alla metà, dopo trentacinque ai cinque sesti e infine dopo quarant’anni l’intero stipendio. Per migliorare le condizioni delle carceri emise un decreto, che stabiliva che una commissione di sei persone dovesse visitare tutte le prigioni del Regno per favorirne il miglioramento, e per permettere degna sepoltura a tutti i cittadini emise in atto un decreto con il quale obbligava i comuni a costruire un cimitero. Per incrementare i commerci e aumentare il naviglio furono migliorati i cantieri navali di Napoli e Castellammare che superano di gran lunga quelli di Genova per tonnellaggio. Nei cantieri navali si moltiplicarono in pochi anni i bastimenti che passarono da 8 mila tonnellate nel 1824 alle 100 mila tonnellate raggiunte nel 1835 e poi alle 250 mila tonnellate nel 1860. Il miglioramento dei cantieri navali, che aveva permesso nel 1818 la realizzazione della “Ferdinando I”, che fu la prima nave a vapore realizzata in Italia fu seguita dal piroscafo “Francesco I°” nave per passeggeri, sulle rotte tra Napoli – Palermo – Civitavecchia – Livorno – Genova e Marsiglia e divenne due anni più tardi la prima nave da crociera al mondo. Si crearono nuovi bacini portuali: a Castellammare, Gallipoli, Molfetta, Gaeta, Ortona, Barletta, Ischia e Bari; furono dotati di un moderno faro a fanale a eclissi con apparato lenticolare i porti di Nisida, Napoli e Castellammare. In campo agricolo fu iniziato il preludio delle bonifiche delle paludi Sipontine nella piana di Manfredonia.

Gli investimenti nelle vie di comunicazione favorirono lo sviluppo dell’industria, nel 1835 si contavano 117 fabbriche di lana, le cartiere Lefebvre e Polsinelli arrivarono ad impiegare oltre mille dipendenti. Lievemente in ritardo risultò lo sviluppo dell’attività metalmeccanica, ma si favorì lo sviluppo dell’attività da parte di industria private come la Marcy e Henry, l’opificio Zino e Henry, la Guppy e Pattinson, le Reali ferriere ed Officine di Mongiana che vinsero l’appalto per realizzare il materiale da usare per il ponte sul Garigliano e soprattutto delle Officine di Pietrasa a capitale pubblico, che costruivano locomotive e materiale ferroviario, e che costituivano il maggiore complesso industriale italiano. In termini quantitativi questo portò nel periodo tra il 1838 e il 1856 ad un incremento del 20% nelle importazioni e del 5,5% nelle esportazioni e Francia e Regno Unito rappresentarono i maggiori partner commerciali. Ma fu in politica estera che può oggi, alla luce di una revisione attenta ed una attenta analisi dei documenti conservati nel Grande Archivio di Stato di Napoli (documenti ufficiali, lettere inviate ad ambasciatori e monarchi, epistolari con Papi ed Imperatori), essere considerato un antesignano più che liberale dei tempi sotto alcuni particolari aspetti. Egli era si un monarca assolutista per quel che concerne la visione del termine secondo i canoni del tempo, ma era un uomo che pensava che bisognava che ci si distaccasse dalle ingerenze delle potenze del tempo (Austria, Gran Bretagna, Francia) restando di fatto neutrale. Propose, nel 1832 dopo l’occupazione della Romagna da parte dell’Austria e di Ancona da parte della Francia una Lega di Stati italiani, a carattere difensivo e offensivo, contro le interferenze interne ed esterne delle potenze straniere, con il Pontefice Gregorio ad esserne il promotore. Ma questirifiutò così come rifiutarono il Granduca di Toscane Leopoldo II ed il Re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia. Il cancelliere austriaco Klemens von Metternich, temendo che il sovrano borbonico volesse avere, tramite la Lega, la supremazia italiana e il possesso di qualche terra pontificia, chiese ufficialmente il 7 gennaio 1834 lo schema della nuova alleanza, mentre le corti di Berlino e San Pietroburgo fecero sapere che non avrebbero accettato modifiche ai trattati del Congresso di Vienna. Così senza l’appoggio degli altri regnanti italiani l’idea della Lega italica fu dunque accantonata e Ferdinando divenne da quel momento inviso ai sovrani dell’Italia settentrionale. Da quel momento fu costretto a bilanciare e rivedere più volte i rapporti con le potenze egemoni di Francia, Austria e Gran Bretagna, cercando nel tempo di distaccarsi quanto più possibile dal peso di tali paesi. La classe liberale regnicola non ebbe la capacità di vedere lontano, convinti che bisognava ottenere il dettato costituzionale nell’immediato e avviarsi ad una unificazione dell’Italia, senza comprendere che in alcune decisioni costituzionali Ferdinando mirava a tenere il suo Regno fuori dai contesti di intervento esterno nei fatti italiani. Non fu compreso e nelle azioni del 1848 vi fu anche una spinta alla forzatura di una parte liberale nonostante Ferdinando fosse in accordo su una alleanza militare con il Piemonte e la partecipazione al processo unitario, ma la modifica della costituzione rispetto al giuramento voluto da Ferdinando che fu accettata dalla maggioranza dei liberali moderati, fu messa in discussione con un intervento dei liberali radicali i quali dichiararono che le truppe regie avevano circondato la sede del parlamento, notizia falsa ma che fu così ben orchestrata da portare alla rivolta. A quel punto le truppe lasciarono le caserme per riportare l’ordine e ne nacque quella che fu chiamata la rivoluzione del 48. A Ferdinando fu chiaro da quel momento che più del suo volere vi erano influenze di potenze straniere negli affari italiani e specialmente nel Regno. Cercò negli anni di dare al proprio Regno quella neutralità sullo stile della Svizzera comprendendo che una unità influenzata da altri sarebbe significato per il nuovo paese essere succubi di altri nella politica sia interna che estera. Isolandosi pacificamente sperava che il Regno potesse divenire scevro da interessi, militari ma soprattutto di strategie politiche internazionali ed economiche che avrebbero fatto dei suoi sudditi persone al servizio di altri. Aveva proposto una Italia federale in stile elvetico con l’idea che ci sarebbe poi stato un momento per ridiscutere tale forma unitaria in un modo diverso, e che il tempo avrebbe permesso di strutturare leggi, politiche bancarie ed economiche in modo equo, per poi apprestarsi come detto ad una guida diversa o anche a restare un paese federale. Non fu ascoltato e fu emarginato poiché forse aveva ben visto cosa poteva essere e servire una unità d’Italia realizzata più dall’esterno che dall’interno. D’altronde non si può non pensare all’interesse di altri e della stessa casa Savoia quando, al momento dell’unità nel 1860 la quantità di lire-oro conservati nei banchi nazionali in Italia pari a 668 milioni di lire-oro, 443 milioni erano del Regno delle Due Sicilie. Proiettandoci ad oggi, si può dire che con 150 anni di anticipo, Ferdinando II delle Due Sicilie aveva ben visto gli accadimenti, ed oggi se fosse in vita avrebbe detto “che ve avev ritt ie, nun mmavet vulut ascutà e mòcchest è e t

Autore

Figlio della migrazione italiana degli anni 60 del XX° secolo, nato in Gran Bretagna e tuttora cittadino britannico a voler ricordare il mio essere nato migrante ed ancora oggi migrante (Interno). Sono laureato in Lettere (Università di Roma “La Sapienza) ad indirizzo Archeologico-Preistorico per la precisione in Etnografia Preistorica dell’Africa, un Master di primo livello in “Interculturale per il Welfare, le migrazioni e la salute” ed uno di secondo livello in “Relazioni internazionali e studi strategici”. Sono Docente a contratto di Demoetnoantropologia presso l’Università di Parma e consulente per il Ministero della Cultura in ambito Demoetnoantropologico. Mi occupo di relazioni con le comunità di diversa cultura del territorio di Parma e Reggio Emilia scrivo di analisi geopolitiche e curo una rubrica (Mondo invisibile) sul disagio sociale. Nel tempo libero da decenni mi occupo di ricerca antropologica, archeologica e storica del territorio della mia terra, della terra delle mie radici, Gioia Sannitica. Collaboro con diverse realtà divulgative e scientifiche on line (archeomedia.net- paesenews.it-Geopolitica.info-lantidiplomatico.it) creo eventi culturali, cercando sempre di dare risalto alla mia terra non intesa solo come Gioia Sannitica ma di quella Media Valle del Volturno, che fu il Regno Normanno di Rainulfo II Drengot.