Ciò che accade a Gaza non può più essere considerata un effetto collaterale del conflitto, ma è un genocidio e su ciò ha deliberato la Corte Internazionale di Giustizia. Ma ciò che maggiormente colpisce è il silenzio dell’ONU su tale specifico argomento. Di fatto essa tace insieme all’intero Occidente in modo imbarazzante, eppure siamo di fronte non più ad un eccesso di difesa ed una vendetta per i fatti del 7 Ottobre 2023, ma siamo di fronte ad uno sterminio. Esiste un sistema di valutazione che definisce gli elementi di riconoscimento di uno sterminio ed a Gaza sono presenti tutti. Tra tali elementi uno ha a che fare con l’annichilimento della persona, con il trasformarla agli occhi degli altri in animale e ancor meno; un volantino nazista del 1941 definiva gli ebrei ancor meno degli animali in una forma di annichilimento che spingeva verso una dimensione spirituale negativa, tale da ridimensionarli quale male allo stato più recesso dell’animo umano, e si esprimeva dicendo: “insulteremmo gli animali se descrivessimo questi uomini ebrei come bestie. Essi sono l’incarnazione dell’odio satanico verso l’intero genere umano.”
Oggi il ministro della difesa di Israele Gallant dichiara “stiamo combattendo contro animali umani, e dobbiamo comportarci di conseguenza”.
Netanyahu ha dissentito affermando che lui non definiva i militanti di Hamas come animali umani perché ciò “avrebbe insultato gli animali”.
Il vice-presidente del Knesset ha scritto che Gaza andrebbe cancellata dalla faccia della terra, per poi dichiarare che a Gaza “non ci sono persone non implicate, dobbiamo andare lì ed uccidere, uccidere, uccidere. Dobbiamo ucciderli prima che loro uccidano noi”.
Un veterano di guerra novantacinquenne nel ricevere un’onorificenza da parte del presidente Herzog per avere fornito un “esempio meraviglioso a generazioni di soldati” ha esortato le truppe che si accingevano ad invadere Gaza a “spazzare via le loro memorie, le loro famiglie, le loro madri ed i loro figli”. Ciò non è certo differente dai volantini e dalla propaganda nazista degli anni 30 e 40 del 900.
E tutto ciò è sinonimo di una visione che supera, secondo molti, anche gli eventi del genocidio del Rwanda dal punto di vista dell’annichilimento delle persone, del condizionare la visione dell’altro. Ciò è possibile poichè in Rwanda si trattava di un fenomeno interno del paese anche se ovviamente violento e con una dinamica di sterminio di una parte della popolazione, mentre a Gaza è divenuta una azione guidata da una forza armata e da un governo dunque dai decisori e questo fa si che gli accadimenti a Gaza, come li definisce Pino Arlacchi sono un nuovo Olocausto o meglio un secondo Olocausto. E’ vero che i numeri sono ben diversi, cosi come lo furono per il genocidio del Rwanda, ma le dinamiche di genocidio sono strutturate come nel secondo conflitto mondiale, a guidare la macchina della morte è una forza armata dello stato e dove ad oggi pare che nessun militare abbia disobbedito ad un ordine.
Pino Arlacchi definisce, ampliando lo spettro temporale della storia che l’attuale distruzione di Gaza giunge da un tempo diverso, che la forma dell’Olocausto ha un tempo lungo ma con tutti gli elementi come detto di questo; “se adottiamo la chiave di lettura genocidiale, dobbiamo riconoscere che lo sterminio palestinese parte dalla “Nabka” la catastrofe del 1948 da cui è nato lo Stato di Israele. Il suo atto fondativo ha visto 700mila palestinesi cacciati con la violenza dalle loro case e dalla loro terra dalla milizia sionista che divenne l’esercito di Israele. Tutto ciò facendosi beffa dei piani di insediamento stabiliti dall’ ONU, ed inaugurando una catena di crimini e di illegalità che arriva fino ai nostri giorni. E che sta alla radice della fondazione dello stato di Israele nonchè di Al Fatah, Hamas, Hezbollah e simili. Alle 700mila vittime della Nabka vanno aggiunte quelle dei massacri successivi: 1956 Kafr Qassim, 1982 Sabra and Shatila, 1999 Kafr Qana, 2002 Jenin, più i tre assalti a Gaza precedenti, le tre invasioni del Libano e lo stillicidio di morti palestinesi durante le Intifada, in Cisgiordania, Gerusalemme, Israele. Pulizie etniche e soprusi della vita di tutti i giorni per 76 anni di fila. Si raggiunge presto la cifra di almeno 900mila morti e un paio di milioni di feriti. Non siamo ai 6 milioni del primo Olocausto, ma la qualità è la stessa.”
La “qualità” dunque può essere la parola chiave degli accadimenti, anche se tale parola suona alquanto ironica, ed ancora più ironico è da parte degli USA e dell’Occidente a voler difendere contro ogni logica e realtà le motivazioni di Israele sui numeri delle vittime. Una ipocrisia che ci fa comprendere come in Europa manchino leader che abbiano il benché minimo spessore. Nessuno dei leader dei 27 paesi sembra avere alcun comprensione della realtà, o meglio più che comprensione il coraggio e la responsabilità di opporsi in modo concreto a certi meccanismi. Ed a questo si può aggiungere l’ONU stessa che potrebbe fare ma sembra in empasse, eppure secondo Arlacchi si possono attuare e mettere in campo quelle dinamiche istituzionali che fanno peso e danno un segno, egli dice: “ Sto già proponendo di espellere Israele dall’ Assemblea generale, come già avvenuto con il Sudafrica dell’apartheid nel 1974. Occorre stabilire un embargo mondiale alla fornitura di armi a Israele. Per finire con una conferenza internazionale che determini una soluzione del conflitto tra Tel Aviv e il resto del mondo attraverso metodi che prevedano anche l’uso della forza. Sono pessimista anche perché non ci sono i leader, gli statisti all’altezza della situazione. In Sudafrica c’era un uomo del calibro di Nelson Mandela, che arrivò al punto, da ex capo dell’ala terroristica dell’ANC, di imporre ai suoi di riconciliarsi con i torturatori bianchi pur di raggiungere la pace. Nethaniau è da ricovero. Biden, beh, lasciamo stare. E lasciamo stare anche la Von der Layen. Trump ha scarso senso della realtà perchè crede che se vince comanderà l’America, nonostante i tre avvertimenti che lo Stato Profondo gli ha già inviato. Il Segretario Generale dell’ONU si è fatto dichiarare persona non grata da Israele solo per avere fatto il 10% di quanto avrebbe potuto fare adoperando le sue prerogative. Papa Francesco è l’unico che si salva, ma la sua è una autorità morale che non può scendere troppo in campo.”
Ma a tutto ciò quello che appare forse drammatico è la mancanza di empatia agli accadimenti, sembra che in Occidenti ci sia una forma di sedazione agli avvenimenti, se prima è apparso un momento di forte contestazione poco per volta essa si è assopita. A questo indubbiamente non manca la disinformazione ed una scarsa propensione dei media a trattare in modo costante l’argomento. Si fa fatica a trovare media che nel sistema informativo denuncino con costanza gli accadimenti e le responsabilità di Israele, ci si limita alla “conta dei morti” all’aggiornamento di questa o quella operazione e poco altro. E la denuncia costante di pochi giornalisti è soggetta a pressioni, a tentativi di silenziare giungendo in non pochi casi alla demonizzazione. Concludendo, con un pensiero che dovrebbe appartenere a tutto l’Occidente, ma al nostro paese in particolare quale base e pilone portante della cultura cristiana che di fatto ha forgiato la storia e l’evoluzione dell’Europa. Il dovere morale di sostenere la pace, facendo ognuno quel che può con quel che può, senza essere spettatori degli eventi, ma criticando gli eventi e chi li crea, avendo il coraggio morale di opporsi nel nome della salvaguardia della vita, avendo il coraggio di esporsi indipendentemente dal ruolo sociale che si occupa, senza timore, senza aver paura di essere demonizzati, di essere eventualmente isolati. E personalmente la mia morale, il mio senso di giustizia, la mia esperienza in missioni umanitarie all’estero ed in Italia, la mia formazione culturale ed il mio credo religioso che definisco multireligioso e multiculturale, penso mi obblighi a non tacere, a non aver timore di esprimere i fatti e gli avvenimenti in una ottica reale, libera e di libertà di espressione.
Ho voluto, dopo aver letto un articolo di Pino Arlacchi affrontare ancora una volta la questione del conflitto a Gaza e lo faccio perché non voglio essere uno spettatore, così come non voglio esserlo per il conflitto Ucraino di cui ho più volte scritto. Ho voluto approcciare ancora una volta il conflitto a Gaza poiché nei prossimi mesi potrei non avere la forza fisica e mentale per affrontare e discutere su un argomento così specifico. E’ un particolare momento della mia vita (come se non mi fossero purtroppo mancati) e potrei essere più concentrato sugli avvenimenti di questa. Quindi nella mia visione di dare voce agli oppressi, condannare la guerra in ogni sua forma e in ogni sua giustificazione ritorno dunque sull’argomento.