
Anni fa, il testo di Francis Fukuyama “La fine della Storia” aveva illuso che con la fine del XX secolo si stesse aprendo una fase finale della storia in quanto tale. “La nostra storia personale è conclusa, e siamo diventati le persone che eravamo destinati a diventare e lo resteremo per il resto della vita”. Pura illusione. La consapevolezza di cambiamenti strutturali nell’ambiente, nei rapporti sociali, storici, individuali, sociologici e psicologici, non solo ha smentito le premesse ma ha gettato nel panico tutti coloro che hanno creduto ad una narrazione, comoda ed artefatta, improntata ad un benessere e una felicità ormai acquisite e irrinunciabili. La riprova del disincanto è il naufragare in un individualismo sfrenato, unica ciambella di supposto salvataggio, che ci allontana dalle comunità di destino (famiglia, socialità, sentimento della nazione…) dove il vivere quotidiano è, nella sua organizzazione e gestione, delegato ad un ristretto numero di persone, senza alcuna volontà partecipativa e/o di indirizzo. Il singolo individuo o la massa dei singoli, ormai maggioritaria vive e si esprime secondo alcune costanti di riferimento:
1° la pancia– ogni opinione è figlia di impulsi poco lungimiranti, poco razionali, spesso errati, neppure ideologici. Emozioni ed interessi personali sono un mix devastante. Lo si percepisce sui grandi temi come il Lavoro, la sua mancanza di prospettive e riorganizzazione; il Benessere come stadio primario della felicità, coniugando diritti personali a doveri comunitari, inficiato dalla insoddisfazione di un successo ammaliante quanto patologico; l’Etica intesa come comportamento di fronte a situazioni rilevanti (es. come intendere la giustizia, il rapportarsi con gli altri oltre la formula dell’amico nemico, che senso e limite dare all’inclusività ….etc.).
2° la paura– di ogni cambiamento. Si preferisce dirsi conservatori per non accettare il “mettersi in gioco” e difendere il proprio mondo il cui orizzonte coincide col proprio giardino o peggio con perimetro del proprio appartamento. Paura dell’attacco alla proprietà privata, invasione di islamici prima e immigrati poi, perdita del lavoro e minaccia delle nuove tecnologie, risposte al cambiamento ambientale, crisi fonti energetiche fossili, denatalità e conseguenze pensionistiche, decadimento del welfare sociale, etc. Ogni giorno si vive difendendosi da tutto e tutti nella consapevolezza che non c’è autorità in grado di essere al ns fianco, tutelarci e darci un orizzonte spendibile e rassicurante.
3° l’ignoranza– Inconsapevolezza o incompetenza alla mercede dell’ideologia “woke” e della “cancel culture”. Bellissima e dettagliata l’analisi del filosofo Marcello Veneziani nel suo libro Senza Eredi: “Viviamo in un’epoca priva eredi, dove il passato viene dimenticato ed il futuro non ha continuità. Una società, senza padri e senza figli, che perde il senso della trasmissione culturale, condannandosi all’oblio”.
Sembrerebbe la scoperta dell’acqua calda, ma a ben pensare il mondo che ci circonda vive in queste ambasce che preludono e hanno il sapore della fine. Non della fine dell’uomo certamente, ma di un sistema politico che accettando la formula del liberalismo economico sfrenato e del capitalismo finanziario ne è rimasto schiavo e incapace di affrontare il superamento del post capitalismo nella società post moderna. Che significato dare alla constatazione che partecipa alla vita politica solo il 70% dei cittadini? Che il restante 30% avoca a sé istituzionalmente le responsabilità di un governo che come peso specifico è minoranza di un paese? Che, chiunque governa, parla di destini nazionali e formule gestionali tese all’autoconservazione del potere, come un Moloch che cerca di includere categorie minoritarie ed esclude la maggioranza delle persone che sentono singolarmente di essere sole ed impotenti; che parte da zero per affrontare i problemi societari rinunziando alla conoscenza della storia ed alla sua analisi puntando tutto sulla tecnologia che poi diviene tecnocrazia e quindi dittatura tecnocratica; che fa da anticamera alla oikocrazia, la prevalenza degli interessi privati (globalizzati, di clan e centri di potere sovranazionali) sugli interessi pubblici?
Questa ricerca trova ultimamente due pubblicazioni fortemente esplicative e formative.
Un saggio dello scrittore Alessadro Sbordoni su “Semiologia della fine, saggi sulla fine del capitalismo e l’apocalisse” Cosa avviene alla fine del mondo che abbiamo finora immaginato? Ecco la sfida lanciata da Alessandro Sbordoni, con tredici pungenti saggi sulla fine del mondo nella cultura del XXI secolo. L’autore sottolinea la rilevanza del post-capitalismo nella cultura pop contemporanea, delineando la relazione tra filosofia, cinema, musica, arte e tecnologia attraverso la lettura di autori come Mark Fisher, Byung -Chu Han, Franco Berardi Bifo, Braudillard ed Eugene Thacker. Tra le mani abbiamoun manifesto per l’immaginazione di un nuovo inizio dopo la fine del capitalismo.
Un saggio di Fabio Armao su “L’ età dell’oikocrazia. Il nuovo totalitarismo globale dei clan.” Il trionfo del capitalismo neoliberale ha assunto ormai i contorni di una clanizzazione della società e dell’economia globale. I principali protagonisti di questa fase storica non sono più gli stati-nazione, ma gruppi che agiscono come clan. Stiamo per precipitare in una nuova forma di totalitarismo, un inquietante “Behemoth globale” da cui Armao ci mette in guardia, invitandoci a cambiare la nostra visione del mondo.
Come il lettore noterà si tratta di riferimenti che non sono intrappolati nelle gabbie di Destra e Sinistra, categorie oggi usate solo in negativo per dividere o arruolare consensi; mentre occorre parlarsi e confrontarsi con spiriti liberi e coraggiosi per riscoprire pensieri e uomini di valore, pensieri tradizionali ma menti aperte. Penso ai colloqui tra Massimo Cacciari e Marcello Veneziani. Tra Alain De Benoist e Michelle Onfray, alle analisi di Franco Cardini e Domenico De Masi e potremmo continuare sulla tangente di un pensiero che rompe gli schemi e ci sappia restituire un orizzonte di vita.
Dice Veneziani ” A parte la chiacchiera quotidiana che è la crosta ipocrita del nostro vivere, i cambiamenti riguardano due mondi opposti: la mutazione sempre più rapida degli assetti tecnologici e la solitudine sempre più problematica delle persone, fino a far coincidere l’interiorità con la fragilità e la depressione. Manca il mondo di mezzo, la vita, il reale, la natura, che non è la sua contraffazione ideologica nota come ambiente, green, etc; le relazioni vere che non sono semplicemente i contatti. Forse altri cambiamenti insondabili stanno avvenendo ma sfuggono all’occhio esterno, vedremo gli effetti o la loro emersione”. E siccome la solitudine vissuta come abbandono e angoscia uccide la creatività e muore, tramite la noia, nel nulla, ci sovviene un passo di Byung-Chul Han, che scrive nella Società della Stanchezza: “la noia profonda [è] il culmine del riposo spirituale. La pura frenesia non crea nulla di nuovo, ma riproduce e accelera ciò che è già disponibile”. La noia è pura ripetizione, riproduzione senza finalità. Se produce sogni della fine, è perché la fine stessaèdiventata impensabile.
Tutto è una copia, di una copia, di una copia. Ogni giorno assomiglia un altro. Settimana dopo settimana, tutto si ripete di nuovo. Finché, ecco, un pensiero di creazione o devastazione. Allora la noia è eliminata; il nulla neutralizza la mera ripetizione. D’altronde, creazione e distruzione necessitano di un principio di nulla: soltanto quando la tentazione del nulla prevale sull’indolenza del qui e ora, solo in questo momento, creare o distruggere diventa possibile.
Questi i segni della fine, della decadenza, della degenerazione che diviene una realtà con cui misurarsi quotidianamente. I limiti imposti da questa infezione sociale e gli effetti collaterali producono cambiamenti radicali nelle nostre vite, inquinando le nostre relazioni familiari e sociali e spingendoci verso l’isolamento. Ma non ci dobbiamo lasciar andare. Occorre reagire. Tramite una nuova consapevolezza, iniziare un’esplorazione di sé e del proprio vissuto più significativo, arrivando a reinterpretare il nostro mondo alla luce della patologia sociale che ci opprime, occorre una nuova narrazione, singola e collettivache assuma via via un sapore di riscoperta e di riscatto nonché di denuncia di un sistema sociale – votato alla competizione, all’edonismo e all’indifferenza – che lascia ai margini coloro che non sono più in grado di rispondere alle sue logiche. Questa fragilità, si trasforma da limite in evoluzione esistenziale che sfocia nella “disobbedienza” di chi non accetta passivamente l’isolamento e la prostrazione imposta dalle dinamiche oikocratiche. Questa presa di coscienza assume la sonorità di una specie di canto dell’anima che cerca “l’alba dentro l’imbrunire”, in ciò che si dà per scontato ma che scontato non è affatto. Franco Battiato scriveva: “vuoto di senso crolla l’Occidente, soffocherà per ingordigia e assurda sete di potere – e dall’Oriente orde di fanatici”. In pochi sono riusciti a vedere e prevedere così lucidamente.
E Battiato ci catapulta nel pensiero di Georges Gurdjieff. Il maestro insegnò che trovare l’alba dentro l’imbrunire è difficile, ma non impossibile, e che c’è una apertura al pensiero filosofico interiore di ciascuno di noi che ci consente di cercare questa alba, questa luce dentro un tunnel che può avvolgerci e dal quale sembriamo destinati a non uscire mai. Cercare l’alba dentro l’imbrunire significa cercare la luce dentro l’oscurità, credere con tutte le forze che nelle tenebre e nella morte sia già nascosta, come un seme, la luce e la rinascita. All’interno di questa dinamica è contenuta la necessità di rinnovarsi, di cercare una rinascita, di cambiare ottica, di assumere una nuova visione del mondo, di convertire il proprio sguardo e la propria direzione. La sfida è dunque trovare l’alba che, seminata, germoglia all’imbrunire.