Gonzague de Reynold (1880-1970) è stato uno dei più grandi scrittori politici del Novecento ad occuparsi della identità e della formazione dell’Europa. Come spesso accade a chi ha le idee molto chiare, la sua opera, non collimante con lo “spirito del tempo”, è stata da tempo relegata nel dimenticatoio. Eppure oggi, rileggendola, ci si rende conto della straordinaria visione analitica del pensatore svizzero, fondata su una cultura davvero non comune, che a cavallo tra le due guerre è stato uno degli intellettuali europei più conosciuti e discussi. Sul finire della sua lunga vita, disse di sé: ” “Sono stato preso a lungo per un uomo del passato, un reazionario. Non si è mai immaginato un momento che il richiamo al passato poteva essere una nostalgia dell’avvenire”. Migliore autoritratto non avrebbe potuto tracciare.
L’avvenire al quale si riferiva altro non era che quello del destino continentale che, pur nella bufera della Seconda guerra mondiale, immaginava proiettato in una dimensione unitaria che non voleva dire “totalitaria”, nel senso di un’accozzaglia di Stati dominati da una nazione egemone o da una burocrazia senza patria e senza volto. I suoi numerosi scritti al riguardo sono stati indagati con certosina costanza dal compianto Giovanni Cantoni (1938-2020), il più lucido ed appassionato studioso del pensiero di de Reynold in Italia, che anni fa trasse da essi una esaustiva composizione di ampio respiro che possiamo considerare la sintesi di una vastissima opera: La Casa Europa, preceduta da un suo approfondito saggio , edita dall’editore D’Ettoris
La lettura del corposo, ma leggibilissimo (per via dell’eleganza e della semplicità della scrittura, conferma ciò che lo storico francese Daniel Halévy (insuperato biografo di Nietzsche), disse di Gonzague de Reynold: ” Se c’è in Europa, un europeo, è lui.” E che europeo lo sia stato, per vocazione, convinzione ed elezione soprattutto non v’è dubbio alcuno.
Nacque infatti a Friburgo da una famiglia cattolica ed aristocratica, studiò a Parigi alla Sorbona, divenne giovanissimo protagonista del mondo culturale elvetico ricco di pensatori che, tanto per ricordarlo agli immemori, provenienti soprattutto dalla Germania, dalla Francia e dall’Italia animarono tra la seconda metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento le più illustri università della Svizzera, a cominciare da quella di Basilea. Docente a Ginevra e a Berna, nel 1931, costretto alle dimissioni dopo l’uscita del suo discusso saggio “La Démocratie et la Suisse”, Gonzague de Reynold si trasferì nella natale Friburgo dove riprese l’insegnamento universitario.
Durante il suo percorso formativo fu influenzato dallo zio Arthur de Techtermann ed insieme ad Adrien Bovy, Charles Ferdinand Ramuz e ai fratelli Alexandre e Charles-Albert Cingria, nel 1904 lanciò la rivista “La Voile latine” che diede impulsi innovativi alla letteratura della Svizzera francofona. Con “Histoire littéraire de la Suisse au XVIIIe siècle” (1909-12) divenne l’esponente di spicco dell’elvetismo. Nel 1914 fondò l’associazione culturale “Nuova società elvetica”.
A partire da questa data cominciò a pubblicare opere nelle quali manifestò una visione definita “conservatrice” della Svizzera fondata sulla storia e sulla geografia: Contes et légendes de la Suisse héroïque (1914), Città e paesi svizzeri (1914-20, l’unica opera tradotta integralmente in italiano), La Suisse une et diverse (1923). Come accennato, nel 1929 il saggio La démocratie et la Suisse scatenò una furiosa polemica per gli attacchi di de Reynold alla concezione politica liberale-radicale, sottolineando le debolezze della democrazia e la necessità di creare uno Stato autoritario e federalista, posto sotto il comando di un landamano, vale a dire un presidente dotato di forti poteri, figura peraltro tuttora presente in molti cantoni svizzeri.
Dopo il ritorno a Friburgo si dedicò alla scrittura del suo libro più importante: La formation de l’Europe (1944-57), vasta opera che spazia dalla morfologia alla teologia della storia, alle tradizioni europee, alla enunciazione di uno spirito comune fondato sulle radici greco-latine e soprattutto sul cattolicesimo, che andrebbe tradotta in tutte le principali lingue europee.
Gonzague de Reynold scrisse numerosissimi articoli e sviluppò un notevole impegno di conferenziere, il tutto funzionale alla sensibilizzazione dell’identità europea, distanziandosi peraltro, tra l’altro, dai movimenti in favore dell’unificazione continentale per come la vedeva avanzare: un coacervo di interessi che avrebbero soppresso la “patria comune” alla quale aspirava e che è il filo conduttore de La Casa Europa. Fondò nel 1957 un Istituto Friburgo che elaborò la Carta delle lingue (1968) e dal 1958 si dedicò alla stesura delle sue Mémoires. Per il complesso della sua opera, nel 1955 fu insignito del gran premio Schiller, uno dei più prestigiosi ed ambiti nel mondo germanico.
Umanista eccellente, avversario, come le migliori intelligenze del tempo non attratte dal socialismo e dal liberalismo, di una concezione utilitaristica della vita, Gonzague de Reynold è stato sempre considerato un maestro del pensiero conservatore, mantenendo, come da chiunque gli è stato riconosciuto, sempre le distanze dal fascismo e dal nazismo, anche se conobbe Mussolini e divenne un ammiratore di Antonio Oliveira Salazar.
Nel presentare Gonzague de Reynold ai lettori italiani, Giovanni Cantoni mette in chiaro le idee del pensatore svizzero in maniera tale da suscitare equivoci. E sottolinea: “Che cos’è l’Europa? È essa un continente? Apparentemente no, essendo meglio qualificabile come penisola asiatica. È essa caratterizzata da unità etnica? Proprio no, oggi più che mai. Essa è invece fondata su un’unità culturale tanto che, per esempio, Isocrate affermava doversi chiamare “[…] Elleni coloro che hanno in comune con noi la cultura piuttosto che l’origine”. In tale solco si è collocato anche san Giovanni Paolo II quando, alle soglie del terzo millennio, ha parlato di Europa come “[…] concetto prevalentemente culturale e storico, che caratterizza una realtà nata come continente grazie anche alla forza unificante del cristianesimo, il quale ha saputo integrare tra loro popoli e culture diverse”). Dunque, dire “Europa” significa fare riferimento soprattutto a una costruzione culturale, a una “casa comune europea” a più stanze, che trascende le basi geografica ed etnica convenzionali”.
Ecco spiegata la ragione della raccolta di saggi ed elementi sparsi, magnificamente raccolti da Cantoni che rappresentano la sostanza del saggio “mai scritto” (nel senso che non lo ha concepito così come appare in questa silloge italiana) da Gonzague de Reynold. Il quale avrebbe certamente apprezzato l’inquadramento dell’identità europea che viene fuori dalle pagine de “La Casa Europa”.
Il libro è costruito sulle considerazioni sparse da de Reynold nell’indirizzare il cammino della ricerca di una comunità in fase di costruzione. Si evince che il tempo si è dilato e lo scopo è andato raffreddandosi. Da penisola asiatica quale era considerata, l’Europa è divenuta una terra di conflitti e di perduti ideali comuni che pure in una certa fase si erano ritrovati soprattutto sulle sponde del Mediterraneo. La progressione dal Medio evo, quando una certa idea dell’Europa cominciava a delinearsi, ad oggi è stata negativa sotto molteplici aspetti. Soprattutto perché si è perduto il senso dell’armonia tra i popoli europei e non si è applicato l’antico principio romano della salvaguardia delle diversità nell’unità. Oggi vediamo gli esiti di una tale tragedia culturale ed antropologica cui si è cercato di porre rimedio inventando una regione di libero scambio chiamata Europa, ma prima di un’anima. Che fare?
De Reynold offre spunti di grande interesse e non immiserisce il suo pensiero nel tecnicismo economico e politico. Piuttosto fa riferimento alla cultura europea che bisognerebbe recuperare; una cultura inclusiva e fondata sulla tradizione. Scrive: “Pensare il nostro tempo significa riposizionarlo nella continuità storica, sulle grandi linee di forza; significa spiegarlo con il passato; significa chiedersi da dove viene per meglio distinguere dove va. Pensare il nostro tempo significa risalire nel passato con le preoccupazioni e le inquietudini contemporanee, poi ridiscendere nel presente con tutta l’esperienza storica del passato”.
C’è qualcuno in giro capace di compiere un’opera del genere, titanica abbastanza da farci sentire in balia del nulla ancor più di quanto in realtà lo siamo? Chi ha immaginato l’Europa così come è andata costruendosi, non ha tenuto conto delle sue radici e della sua identità. Per questo l’Europa si è perduta nel dedalo di una casa traballante piena di muri sconnessi e di incomprensioni culturali.