• 9 Marzo 2025
Cultura

Scrivere di letteratura al femminile significa dare speranza alle donne che, ancora oggi, combattono contro mentalità retrograde e, soprattutto, evidenziare la capacità di tutte quelle donne che sono riuscite a scavalcare un retaggio sociale e culturale di emarginazione.

Scrivere di Grazia Deledda, dunque,  significa trattare una scrittrice atipica, moderna nelle sue narrazioni, ma un po’ dimenticata: fu inserita con grande difficoltà nel canone della letteratura italiana fra i classici e non sempre è oggetto di insegnamento scolastico e universitario.

Eppure, all’estero, in California, Margherita Heyer-Caput ha avuto il piacere di studiarla: <<antesignana di un movimento culturale al femminile di livello occidentale…tra le prime a gettare ponti per le culture dei diritti delle donne>>.

Dal 1895, data di fondazione del Premio Nobel-istituzionalizzato, poi, nel 1901-Grazia Deledda è stata l’unica donna italiana e la seconda dopo la svedese Selma Lagerlof a vincere il Premio Nobel per la Letteratura.  Quest’ultimo le fu conferito il 10 Dicembre 1927 <<per la sua potenza di scrittrice>>. In tal modo, divenne nota a livello internazionale e, di seguito, fu tradotta in diverse lingue europee.

Dal carattere taciturno, a tratti cupo, ma anche ribelle, grande capacità di osservare l’animo umano , nel centro storico di Nuoro nacque, il 27 settembre 1891, da una famiglia abbiente, la grande scrittrice Grazia Deledda. Il padre fu Sindaco di Nuoro nel 1863, laureato in Legge, non esercitò mai la professione di avvocato; si dedicò, invece, all’ imprenditoria, nutrendo particolare interesse per la composizione di poesie in sardo. Circa la sua formazione, ella seguì, in parte, lezioni private da un professore di Lettere, Pietro Ganga e, poi, proseguì gli studi da autodidatta; si affermò ben presto sulla scena letteraria come una delle più grandi scrittrici italiane.

Sin da ragazza, infatti, percepì dentro di sé un particolare interesse per la scrittura: in lei sussulta la voce del talento a cui si affrettò a dare una risposta. Si trovò, però ,a dover fronteggiare la mentalità gretta e patriarcale della piccola società di Nuoro: la donna era subordinata all’uomo e doveva occuparsi solo della famiglia. Insomma, il destino della donna era già stabilito <<figli e casa, casa e figli>>. Deledda, invece, non si conformo’, impose il suo pensiero innovativo di fronte ad una mentalità molto chiusa, cercando di sgretolare quel mondo patriarcale contadino.

Ventenne, proveniente da una piccola località sarda che non teneva conto del suo talento o delle capacità intellettuali al femminile, scriveva nel suo diario “sono piccolissima e ardita come un gigante”. Così, iniziò la sua carriera: allo scandalo della sua prima opera, “Fior di Sardegna” non si arrese, sfruttando la vena talentuosa dalla quale scaturirono ben cinquantasei romanzi, per poi giungere al grande successo letterario.

Con i sogni tra le mani, adolescente ardita, percepiva, dunque, il bisogno di realizzarsi, di intraprendere un destino più roseo, migliore, felice, rispetto a quello di <<figli e casa, casa e figli>>, che l’avrebbe portata a frequentare ambienti sociali diversi, più aperti e a confrontarsi con essi.

Ad accorgersi del suo talento fu l’amico, scrittore, archivista e storico Enrico Costa. Anche lo scrittore calabrese Giovanni De Nava, si complimentò per la sua scrittura. Con quest’ultimo iniziò a scambiare epistole d’amore, ma per mancanza di risposta di Giovanni , si interruppe il loro scambio epistolare.

Ben presto si trasferì a Roma e, vivendo  l’ambiente romano, raggiunse la completa maturità; da questo periodo nacquero opere come “Cenere”, “Canne al vento”; è questo il periodo in cui  le sue narrazioni incentrate sull’ambientazione regionale si arricchiscono di motivi diversi, tali da attirare un pubblico sempre più ampio. Il suo linguaggio muta, perché si caratterizza di un lessico ricercato, preciso e di altissimo livello. La Deledda morì giovane, nel 1936, a causa di un brutto male, lasciando incompiuta la sua opera autobiografica “Cosima, quasi Grazia”, edita postuma.

La scrittrice riposa a Nuoro, nella Chiesa della Solitudine, mentre, la sua casa natale situata nel centro storico di Nuoro, ad oggi è adibita a museo.

Nei suoi anni fruttuosi, ha anche collaborare con diverse riviste; è di gran lunga interessante ricordare che nel 1903 pubblicò “Elias Portolu”, opera che sigillò la sua professione di scrittrice e le permise di intraprendere la stesura di numerosi romanzi e opere teatrali, tra cui “Cenere”, “Sino al confine”, “Colombi e sparvieri”, “Canne al Vento”, “Il Dio dei venti”, “La madre”. In essi l’autrice sviluppa i drammi dell’esistenza umana, proiettati sui paesaggi della Sardegna.

Tra i tanti temi affrontati è, dunque , da annoverare l’etica patriarcale della società sarda, motivo che rispecchia l’ambiente che visse in gioventù; inoltre, aleggia nelle sue opere anche il motivo dell’ esistenza umana e la sorte. Molte sono anche le opere in cui si intrecciano vicende d’amore, di dolore, di morte e da cui emerge il significato etico del peccato e della colpa.

L’opera più famosa della scrittrice è “Canne al vento” che, dal 12 gennaio al 27 aprile del 1913, uscì a puntate sulla rivista “L’illustrazione Italiana”; in seguito fu pubblicata dall’editore milanese ,Treves.

Un romanzo da cui fioriscono ,nella mente del lettore, suggestioni che si inanellano, momenti di riflessione e di introspezione: <<Un dolore cocente lo punse, ma col dolore un intenso desiderio di fare qualche cosa contro il destino.>>

Il tema profondo sviluppato nell’ opera allude al titolo: l’uomo è fragile come “una canna al vento”. Fragilità umana e dolore dell’ esistenza sono due motivi che accomunano gli uomini  rapportati per similitudine alle canne. In “Elias Portolu” esplica: <<Uomini siamo, Elias, uomini fragili come canne, pensaci bene. Al di sopra di noi c’è una forza che non possiamo vincere.>> Anche Blaise Pascal ripropone ciò: <<L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. (…) Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. È in virtù di esso che dobbiamo elevarci , e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale.>>(Blaise Pascal, Pensieri).

Deledda nonostante fosse vicina cronologicamente a Verga, si distacca dal verismo di questi. Certo, in “Canne al vento” ripropone l’immagine di un ambiente e realtà sociali, ma si focalizza sulla disgregazione interiore dei personaggi, sulla colpa dalla quale nasce l’angoscia. Quindi, l’autrice fotografa e sviluppa il motivo della fragilità umana.

L’ambiente descritto nel romanzo è quello scenario arcaico della Sardegna rurale del primo Novecento. Si racconta la decadenza della famiglia Pintor a causa del ritorno del nipote fragile Giacinto.

Uno scrigno che vanta esempi di vita incasellati in un ambiente che è tra il reale e il fantastico. Colori, suoni, odori accompagnano la narrazione che cade sovente nel fantastico, contrassegnato dalla presenza di fate crudeli, di leggende di folletti. Vi si riscontra anche il conflitto tra istinti e convenzioni sociali, passioni abrogate, sensi di colpa , di espiazione, che conducono a sacrifici dolorosi. Tutto ciò è attraversato da un filo rosso invisibile, che accompagna e traccia la narrazione , ovvero la figura di “canne al vento”.  L’uomo, dunque, appare in balia della sua fragilità e spinto da un potere superiore,  divino.

Scrittrice e traduttrice frequentò, al di fuori della piccola isola, personaggi importanti, con i quali strinse amicizia; inoltre, fu molto attenta e sensibile al sociale.

Il primo scritto critico relativo a Grazia Deledda fu quello di Ruggiero Bonghi che, nel 1895, sottolineò il suo talento. Non rimase inosservata, tanto da essere apprezzata da Giovanni Verga, come anche da Emilio Cecchi, Pietro Pancrazi, Luigi Capuana, Giuseppe Antonio Borgese, Federigo Tozzi che riconobbe una narrativa caratterizzata da tratti di novità. Fu, inoltre, molto apprezzata anche all’estero. Altri giudicarono negativamente la Deledda, vedendola prigioniera di elementi del verismo o psicologismo russo assimilati con ritardo, debitrice a Tolstoj, Dostoevskij nel mettere in scena la fragilità e i drammi umani. Benedetto Croce, invece, vi riscontrò una certa imperizia nel vivere il dramma interiore degli artisti.

Recentemente la sua vita-ha combattuto con tenacia per raggiungere i suoi obiettivi – è stata oggetto di attenzione da parte di Elisabetta Rasy, Martha King, Marcello Fois. Dal romanzo di quest’ ultimo “Quasi Grazia”(2016), è stato ricavato uno spettacolo teatrale, con Michela Murgia in qualità di scrittrice.

La Deledda ha dato voce ai più deboli, alle fragilità umane, con un tocco di umanità, spirito critico e capacità di osservare il dramma interiore che attraversa gli uomini. Nelle sue opere, come tanti altri scrittori , ha dato sfogo, attraverso una vena di sensibilità ed empatia, ad una certezza, ovvero la fragilità dell’uomo. La scrittrice, inoltre, ha combattuto alacremente affinché potesse realizzarsi nel campo professionale e lo avrebbe potuto fare solo rompendo gli schemi della località nativa.

Non ha taciuto dinanzi al suo talento ma, a testa alta, ha proseguito sulla via del successo, portando a conoscenza i suoi lettori dei paesaggi sardi e della società patriarcale sarda della sua epoca.

Come Grazia, auspico che il mondo al femminile tenga sempre ben viva l’idea che non siamo nate solo per essere oggetto di riproduzione – idea risalente alla polis greca- poiché c’è anche altro da donare a questo mondo a livello culturale e intellettuale.

Autore

Originaria di San Salvatore Telesino,laureanda in Lettere e Filosofia presso l'Università di Napoli, Federico II, sin dall'adolescenza si è dimostrata attenta alle tematiche sociali e di attualità. Ha collaborato , per alcuni anni, con il gruppo "Spazio Giovani". Inizia a suonare il pianoforte durante l'infanzia, in seguito, decide di interrompere questo percorso per cimentarsi in altre passioni, come la scrittura. Nel 2021 scrive il romanzo introspettivo intitolato "Scaffali di ricordi", pubblicato nel 2022 dalla casa editrice 2000diciassette. Ha partecipato a diverse presentazioni di libri-soprattutto romanzi- in qualità di relatrice. Si dimostra, inoltre, particolarmente interessata alla Letteratura Italiana novecentesca e ai fatti culturali della sua località d'origine: a ciò dedica alcuni articoli di stampo culturale. Collabora, infatti,con più testate giornalistiche. È impegnata, attualmente, nella stesura di articoli culturali e di cronaca per svariate e note testate giornalistiche.