Con la morte di Guglielmo II di Sicilia, detto il Buono, si chiude in pratica la lunga esperienza Normanna nell’Italia Meridionale, e bisogna dire che si concluse con un ottimo sovrano. Di lui Riccardo di San Germano nel suo Chronica, così ne parla:
«Nel tempo, in cui quel re cristianissimo, al quale nessuno fu secondo, teneva le redini di questo regno, fra tutti i principi egli era il più grande; copioso di ogni bene, era chiaro di stirpe, bello della persona, forte, avveduto, ricchissimo. Era il fiore dei re, la corona dei principi, lo specchio dei guerrieri, il decoro dei nobili, fiducia degli amici, terrore dei nemici, vita e forza del popolo, salvezza dei miseri, dei poveri, dei viandanti, fortezza dei lavoratori. Vigeva al suo tempo il culto della legge e della giustizia. Ciascuno nel regno era pago della sua sorte. Per ogni dove era pace e sicurezza; il viandante non temeva le insidie dei masnadieri, né il nocchiero quelle dei pirati».
Ed ancora di esso si dirà anche: “E pur l’universale della popolazione non aborriva per anco i Musulmani …; la voce del muezzin non facea ribrezzo nelle grandi città … onde gli eunuchi, gaiti o paggi che dir si vogliano, esercitavano gli ufficii di corte sotto quel velo sottilissimo d’ipocrisia che li facea apparire cristiani…; Guglielmo accogliea con onore i Musulmani stranieri, medici e astrologhi e largìa denaro a’ poeti …; i Musulmani soggiornavano in alcuni sobborghi senza compagnia di Cristiani; un qâdî amministrava la loro giustizia; frequentavan essi le moschee e ciascuna era anco scuola: fiorivano i loro mercati”.
Tutto ciò fa comprendere quella visione di tolleranza, di multiculturalità degli Altavilla e dei Normanni e che forse sarà di esempio indiretto per Federico II.
L’ eredità politica, artistica e culturale di Guglielmo II diverrà un crescendo così elevato da fare poi del Regno federiciano la espressione massima di buon governo, di mediazione e tolleranza. Ne beneficerà tutto il Meridione d’Italia, ed allo stesso livello del Regno ne beneficerà nel suo piccolo tutta l’area del Sannio.
Guglielmo non ebbe figli dalla consorte Giovanna d’Inghilterra, nominò dunque suo successore la zia paterna Costanza d’Altavilla consorte di Enrico VI, madre di Federico il quale dopo la reggenza di questa salì al trono. Senza voler divagare sulla figura dello Stupor Mundi, guardiamo a ciò che la sua politica portò nel Sannio, che di fatto fu l’aspetto generale del suo Regno.
Egli nella politica commerciale fece leva sulla promozione dell’agricoltura, finalizzata a non rendere il Regno dipendente dall’esterno ma bensì ad inserirlo nel grande spazio euro-mediterraneo dell’occidente che in quel periodo andava formandosi attraverso la disponibilità di capitali ed il bagaglio di conoscenze tecniche, geografiche e ambientali dei mercanti dell’Italia centro settentrionale. Aprì così il commercio ad operatori “stranieri”; toscani, genovesi, veneziani, non solo per i capitali, ma per i contatti che questi avevano rispetto alle rotte commerciali, il suo intento era esportare oltre che rendere indipendente economicamente il suo Regno. Quindi la Campania ed il Mezzogiorno si configurarono come fornitori di materie prime agricole e consumatori di prodotti lavorati esteri. Riuscì quindi ad accrescere il peso del Regno nel contesto internazionale stimolando le economie locali, e favorendo il potenziamento di quelle colture che alimentavano le più significative correnti di traffico. Un posto di primo piano lo occuparono i cereali, grano in particolare, ma soprattutto vino, castagne e nocciole e non ultimo il legname, mentre l’ulivo era destinato al commercio interno, senza dover così dipendere dalle importazioni estere. Con la creazione del contratto di pastinato il quale prevedeva alla scadenza contrattuale l’assegnazione di una parte del terreno sottoposto a miglioria, nell’area beneventana fu incrementata la produzione vitivinicola, da qui la lunga tradizione produttiva dell’area. Oltretutto contribuendo alla diffusione della piccola proprietà contadina, nelle zone più vicine alle città, ad esempio l’area di Telese, di Montesarchio, di Sant’Agata dei Goti, di Alife, Venafro ed altre città di fondazione romana, si crearono vere e proprie colture specializzate. La produzione era si in parte destinata all’esportazione, ma attraverso gli ecclesiastici ed i monasteri i laici potevano commerciare la vendita al minuto di vino a questi poiché tale produzione era per loro indispensabile non solo per il proprio consumo ma anche per la somministrazione a viandanti e pellegrini. Considerando che le diramazioni della via Latina verso Brindisi per l’imbarco verso la Terra Santa attraversavano le terre del Sannio si comprende quanto fosse stata illuminata tale idea. Un altro incremento produttivo fu la produzione di castagne; l’area del Roccamonfina è ancora oggi l’esempio di quell’esperimento produttivo commerciale di grande riuscita, il quale si esplica nel massimo dello splendore produttivo e commerciale nell’area avellinese a noi vicina. Ma non solo la coltivazione della castagna fu incrementata su tutta l’area del Matese e del Taburno. Si incrementò anche la coltivazione del noce, accanto alle nocciole, ed anche in questo ultimo caso ancora oggi basta guardare alle produzioni dell’avellinese, di parte del beneventano e dell’area di Pietramelara, Pietravairano, Vairano Patenora, Caianello, fino a Venafro. Le castagne secche e la farina di castagna, insieme a noci e nocciole raggiungevano dal Sannio, Napoli, dove in piccola parte entravano nel mercato locale, ed in buona parte imbarcata per le aree del sud del mediterraneo e del Vicino Oriente, ove tali prodotti erano molto molto apprezzati. Il vino invece in parte prendeva la via per il settentrione d’Italia ma il grosso della produzione veniva esportato in Francia, in Inghilterra fino a giungere al mare d’Azov. La qualità dei vini del Sannio erano ben apprezzati in Inghilterra, anche per un costo minore rispetto a quelli francesi, ed ancor più nella stessa Francia era un prodotto vendibile al ceto popolare e medio per un ottimo rapporto qualità prezzo, rispetto agli omologhi qualitativi della Francia stessa. Sarà poi organizzata e ben incrementata l’industria boschiva per l’esportazione del legname; fino all’epoca di Federico la produzione era limitata alle necessità locali, non esisteva di fatto una industria boschiva di taglio e lavorazione ben strutturata, almeno nell’area del Sannio. Dopo sarà così incrementata e specializzata a tal punto che ancora oggi è una peculiarità del territorio insieme a quello irpino, anche se nel tempo si è puntato più alla produzione di materia da riscaldamento che non alla trasformazione. Riprendendo il discorso degli “stranieri” accolti nel Regno ricordiamo che in passato una borghesia mercantile “straniera” in particolare amalfitani, veneziani e genovesi oltre ad una componente ebraica erano presenti a Benevento nel primo quarto del XII secolo, e questi saranno in seguito i finanziatori (divenuti autoctoni nel tempo e non più stranieri) di imprese commerciali nel Sannio sotto la spinta politico commerciale di Federico, i quali faciliteranno anche la crescita e la formazione di maestranze del posto che si inseriranno prima nel mercato della vendita al minuto, poi nella esportazione stessa. Oltretutto Federico andò a creare una organizzazione finanziaria e fiscale capace di ricavare il massimo dalla ricchezza del paese, e di potenziare al tempo stesso l’organizzazione dello Stato nel suo complesso puntando sul coinvolgimento del ceto borghese per il funzionamento non solo degli uffici finanziari, ma anche della cancelleria e degli organi centrali in generale, lasciando alla piccola aristocrazia le funzioni di carattere militare e giurisdizionale nonché le cariche ecclesiastiche. In questa prospettiva si colloca anche la fondazione dell’Università degli Studi di Napoli nel 1224. E ‘opinione concorde degli storici che essa non nacque solo dall’incontro tra una forte domanda di cultura e una consolidata offerta didattica, ma anche dal desiderio del sovrano di avere una scuola superiore per la formazione professionale dei funzionari pubblici. La vicinanza del Sannio a questa nuova realtà sarà non solo sprono culturale ed istruttivo, ma aprirà nuovi ulteriori spazi a realtà professionali che nel contempo formeranno famiglie di avvocati, giudici, funzionari dello Stato che daranno nel tempo prestigio al territorio e saranno elemento importante di equilibrio nel periodo angioino prima e aragonese dopo, quando invece i Baroni tenderanno a patteggiare per l’uno o per l’altro portando in diverse occasioni i territori del Sannio a sommovimenti politico militari di non poco conto, ma questa è un’altra storia.