Per un anno intero, ogni mese, abbiamo posto un’attenzione particolare alle molteplici violenze perpetrate ai danni delle donne. Dovunque nel mondo quotidianamente le donne subiscono discriminazioni sul lavoro, violenza psicologica, economica, fisica, e forme di sessismo. Abbiamo messo in luce che la violenza di genere, colpisce il genere femminile di qualsiasi età, nazionalità e cultura, che le donne non sono ritenute degne di rispetto e di eguale trattamento. L’accanimento avviene principalmente nell’ambiente familiare che in realtà dovrebbe proteggere e non sottomettere per poi ritrovarlo anche in altri ambiti.
Il corpo della donna è strumentalizzato per la riproduzione e per la soddisfazione di bisogni ed esigenze maschili. Tutto questo è sostenuto da un retaggio culturale ormai tutto da rivedere. La violenza o l’atto di aggredire, può avvenire in famiglia, generando una violenza assistita anche per i figli, può essere generata fuori dal nucleo familiare da estranei oppure manifestata da gruppi di persone.
Ciò che abbiamo sottolineato è la varietà della violenza: intenzionale, criminosa, pianificata, che si traduce in un comportamento costante subito in silenzio dalla persona stessa. La violenza ha un forte impatto sulla persona, lasciandola in preda ad un senso di impotenza e vivendo il tutto come un evento traumatico.
Le donne sono soggetti che manifestano una predisposizione a essere vittimizzati. Più esposte all’aggressione e più vulnerabili. E nel caso della violenza domestica, si mette in atto un processo di vittimizzazione che favorisce l’adattamento alla nuova situazione.
Il dolore fisico e psicologico, è talmente forte che subentra la negazione, e quasi si minimizza l’accaduto, subentra il meccanismo di onnipotenza, fa di tutto per compiacere l’uomo, assume comportamenti atteggiamenti ben accetti dall’altro, fino ad arrivare a un nuovo episodio di violenza. E il ciclo ricomincia, lasciando la donna con un forte senso di impotenza e bassa autostima. Ma c’è da chiedersi: come mai la donna accetta tutto ciò? Innanzitutto, già in adolescenza ha interiorizzato il modello di cura verso gli altri, e quindi viene chiamata a metterlo in pratica. Si ripropone quel modello appreso all’interno della famiglia di origine, focalizzando l’attenzione sul bisogno degli altri e meno a sé stesse. Non è detto che l’adozione di questo modello porti sempre ad episodi di violenza, ma predispone ad una risposta adattiva nel caso insorgessero, con difficoltà a fuggire da essi, tollerando il ciclo della violenza. Oppure ha difficoltà ad abbandonare l’aggressore, perché dipende economicamente da esso, oppure perché crede che nei confronti di lui abbia mancanze rispetto al proprio ruolo di cura.
La donna potrebbe sviluppare un rapporto positivo con l’aggressore, creare un legame che non spezza presentando la sindrome di Stoccolma. Quest’ultima applicata alle donne maltrattate presenta la percezione di una minaccia, la convinzione che si manifesti, l’isolamento nei confronti di altre alternative, non riuscire a scappare e vedere gli atteggiamenti dell’aggressore in positivo. Si concentra sugli aspetti positivi ignorando i negativi, vive in uno stato di ansia, cerca di sopravvivere, ha paura per i propri figli e rimane con l’aggressore.
L’aggressore attraverso le violenze psicologiche e le minacce crea un ambiente favorevole alla sottomissione isolandola dal mondo esterno. Mantenendo il controllo. La donna vive senza energie, con un vuoto interiore, nell’indifferenza per ciò che le sta capitando, fino a sviluppare patologie debilitanti. Importante per chi subisce violenza è prendere coscienza della sua condizione, parlarne con qualcuno, non tenere il segreto per sé. Mentre la società deve dare una risposta sempre più adeguata, pertinente e fornire strumenti di sostegno. È necessario fare tutto il possibile per creare una società dove si possa crescere serenamente e nel rispetto reciproco dei diritti individuali della persona.