La Storia, quella volutamente con l’iniziale maiuscola, non è tanto o solo quella dei grandi numeri ma anche e forse soprattutto quella dei singoli Uomini e Donne che, trascendendo il loro destino di singoli, si fanno simbolo di qualcosa di più grande. E’ in estrema sintesi questo il significato della parabola eroica del Milite Ignoto, che nel 1921, con la tumulazione all’Altare della Patria a Roma, è divenuto fiaccola eterna dell’amore per l’Italia dei tanti, tantissimi che durante la Grande Guerra hanno offerto la loro giovinezza. E non solo, perché il Soldato Italiano che riposa nel cuore della Capitale è profondamente legato anche alle donne (mamme, fidanzate, mogli, figlie, sorelle…) che hanno sofferto la perdita di una parte del loro cuore.
Al Milite Ignoto, la cui figura continua ad attraversare il tempo e lo spazio rappresentando con immutata forza l’amore per la propria terra, per la propria storia e per la propria famiglia, chi vuole anche soltanto sentirsi parte di una comunità nazionale dalle radici antiche, non può (e non deve) far mancare momenti di commemorazione e ricordo. Ed anche, ovunque e allorquando sia possibile, momenti altrettanto importanti di approfondimento e conoscenza della sua storia e di conseguenza di tutto quello che ruota attorno ad essa.
Ecco perché in queste righe, pur se con un semplice accenno (che ci auguriamo faccia da spunto per ulteriori letture), abbiamo deciso di tracciare brevemente la storia del Soldato Ignoto. Una storia che si fa comunitaria dal momento in cui Maria Bergamas, una donna del popolo nativa di Gradisca di Isonzo, si inginocchia, nella basilica di Aquileia, di fronte ad una bara, mentre pronuncia il nome del suo perduto figlio Antonio. Un figlio che, irredentista, aveva scelto di vestire nella Grande Guerra la divisa italiana disertando la chiamata alle armi dell’Austria Ungheria. E aveva combattuto coraggiosamente, meritandosi una decorazione al Valore. Poi purtroppo, come molti altri, aveva perso la vita, ma il luogo in cui era stato sepolto non era più stato individuato: lui e i commilitoni che gli riposavano accanto, dunque, furono dichiarati dispersi.
Per rendere onore ai circa 650 mila che, tra morti e mai più ritrovati (come Antonio Bergamas), non tornarono mai a casa dalle trincee del primo conflitto mondiale, su iniziativa del colonnello Giulio Douhet si decise di individuare la salma di un soldato senza nome che potesse rappresentare tutti i Caduti. E seppellirla con i massimi onori nel corso di una cerimonia solenne che unificasse a livello di sentire collettivo il dolore delle tante famiglie italiane che avevano perso qualcuno. E anche l’amore e la gratitudine di tutti per il loro sacrificio. La proposta venne accolta ed incorporata in una legge votata da tutte le forze politiche allora presenti in Parlamento.
Per scegliere il Caduto che avrebbe dovuto simboleggiare tutti i figli, padri e fratelli morti per l’Italia, venne istituita una Commissione composta da decorati al Valore Militare che, seguendo una meticolosa procedura che escludeva ogni possibilità di identificazione (unico elemento certo: l’essere stati soldati italiani), individuò undici Salme riesumate nei pressi dei principali campi di battaglia della Grande Guerra. Composti in undici bare, tutte uguali, di legno grezzo, i resti degli Undici ignoti furono disposti nella basilica di Aquileia, dove il 28 ottobre 1921, Maria Bergamas – che in quel momento rappresentava tutte le mamme e donne d’Italia – fece la sua scelta.
La mattina successiva le sacre spoglie del Milite Ignoto vennero issate su un vagone scoperto, al centro di un apposito treno che le avrebbe portate fino a Roma. Il viaggio fu lungo e lento: il convoglio, infatti, percorse circa 800 chilometri, procedendo a velocità ridotta in modo che le decine di migliaia di persone accorse lungo i binari potessero, con enorme e sentita commozione, rendere silenziosamente omaggio a quello che veniva sentito nei cuori come figlio di tutti.
Il 2 novembre il convoglio fece il suo ingresso a Roma e la mattina del 4 novembre 1921, anniversario della Vittoria e Giornata dell’Unità nazionale e delle Forze Armate, si compì l’ultima intensa parte del viaggio: portata in spalla da decorati di Medaglia d’Oro al valore militare, la bara salì la scalinata del Vittoriano. E dopo che la Medaglia d’Oro conferita al Milite Ignoto venne posta sul coperchio del feretro insieme ad un semplice elmetto da fante, la Salma venne calata nell’apposito sacello al centro dell’Altare della Patria, dove ancora oggi riposa.
Il rito era compiuto. Fu un rito sacro e comunitario. Un rito che, simboleggiando l’offerta di sé per senso del dovere e amore di Patria, legò in eterno, in una definita continuità ideale, sociale, culturale e valoriale tra passato, presente e futuro, l’essenza e la coscienza degli italiani di ogni tempo. Morti e vivi. Un rito, va ancora infine sottolineato, che ha rappresentato (e continua ancora oggi a rappresentare) la sublimazione dell’essere Comunità, segnando al contempo il superamento dell’individualismo inteso in senso personalistico ed in certo modo egoista.
Ed è proprio questo, insieme all’amore e al rispetto per un simbolo di sacrificio e Patria, il motivo per cui, a cent’anni e più di distanza, è importante (anzi, importantissimo) ricordare e commemorare il Milite Ignoto. Che era e resta un simbolo di amore e fiducia nella grandezza dell’Italia.