• 21 Novembre 2024
Cultura

Figli orfani di padri o padri orfani di figli?

Come sosteneva lo storico francese Marc Bloch già a inizio Novecento, “Gli uomini sono figli dei loro tempi più che dei loro padri,” fornendo un’efficace definizione ante litteram del concetto, istituzionalizzato negli anni Sessanta, di “gap generazionale”, che oggi fa riferimento in particolare alle differenze culturali, sociali, tecnologiche e di valori tra diverse generazioni. Possiamo ben dire che attualmente si vive un gap generazionale causato principalmente dall’evoluzione assai repentina delle nuove tipologie di comunicazione e dalla difficoltà di creare un canale comunicativo strutturato e valido tra diverse generazioni.

Certo, in linea generale, il veloce sviluppo di nuove tecnologie in ambito comunicativo ha interessato maggiormente i giovani e giovanissimi, forse illudendoli di essere pienamente padroni di strumenti tanto piccoli da entrare nelle tasche, ma in realtà più grandi di loro, e ha sicuramente tagliato fuori i più vecchi da una comunicazione maggiormente al passo coi tempi, ma credo che per affrontare al meglio un tema così sentito, si debba superare per un momento la retorica quasi poetica del buon nonnetto, che tanto vorrebbe divertirsi con i nipoti ma che è impossibilitato a farlo, trovandoli chiusi nel loro mondo digitale, in quanto questa risulterebbe essere una visione quantomeno riduttiva.

Credo che oggi, in ogni fascia d’età, si viva interiormente il profondo dramma di trovarsi calati in un mondo di cui i più giovani si sentono illusoriamente padroni e in cui i più vecchi provano a esserlo, e che in realtà chiude perciò tutti in profonde capsule, riducendoci allo stato di “isole”. Ed è proprio in questa ulteriore tematica che viene a iscriversi il problema di cui abbiamo parlato, in quanto, di fronte a una fruizione dei media comunicativi estremamente personalizzata, appare apparentemente impossibile trovare punti di incontro o veri e propri spunti di dialogo su temi che storicamente suscitano dialogo fra appartenenti a diverse generazioni. La cosa realmente drammatica è che se prima, dialogando sui detti temi, si poteva quantomeno giungere allo scontro, oggi non si può giungere neanche più a quello; questo è una dinamica sofferta in egual misura, benché forse si tratti di una sofferenza sopita, da figli e padri che, infatti, appaiono essere quasi orfani reciprocamente, come suggerisce Bloch nell’attualissima frase riportata all’inizio. Mancano dunque i veri e propri momenti di scambio fra due mondi sicuramente differenti, allontanati ulteriormente dalla difficoltà di trovare momenti d’incontro e che di ciò soffrono. Scene di nonni e nipoti, padri e figli riuniti attorno al fuoco ci riportano ad anni luce fa, famiglie riunite a guardare e magari commentare un programma televisivi ci appaiono pura utopia, individui isolati e rinchiusi nel loro piccolo e reciprocamente inaccessibile mondo, triste realtà. È indubbio che questo costituisca un problema non da poco, in quanto riduce fortemente la consapevolezza in ognuno di noi di ciò che per lungo tempo si è stati e di dove siamo destinati come comunità (mai come oggi, infatti, abbiamo la sensazione di un profondo distacco tra le generazioni, tanto che è difficile immaginare anche per un giovane stesso le caratteristiche di chi raggiungerà l’età matura tra dieci o vent’anni) privandosi della conoscenza di memoria e saperi centenari per i giovani e di attitudini e abitudini moderne per i più anziani; questa situazione poi limita anche la possibilità data alle varie generazioni di provvedere efficacemente in maniera assistenziale ai bisogni delle altre.

Alla luce dei suddetti problemi, quale strategia potremmo attuare per provare ad arginarli? Sicuramente la più importante consiste nel promuovere il dialogo intergenerazionale. Può effettivamente apparire triste ravvisare la necessità di indurre dall’esterno qualcosa che dovrebbe costituire un processo naturale, ma oggi pare essere l’unica strategia realmente efficace quella di organizzare incontri regolari in cui persone di diverse età possano discutere temi di interesse comune, promuovendo così il dialogo e la comprensione reciproca.

Volendo scendere nel particolare, per dialogo intergenerazionale si intende dunque lo scambio fra due generazioni diverse, che arricchisce entrambe le parti grazie a un confronto di punti di vista, mentalità, conoscenze, e approcci alla vita. Le relazioni intergenerazionali sono la via per sviluppare e mantenere un senso di fiducia tra le persone in un’epoca in cui i sentimenti di coesione sociale si stanno affievolendo sempre di più.

Il dialogo intergenerazionale può essere definito come una sorta di patto educativo che include persone di età diverse: basato su reciprocità e mutualità, vede individui appartenenti a varie generazioni lavorare insieme per acquisire competenze e valori. Alla base c’è l’idea che persone di tutte le età possano imparare insieme l’una dall’altra. Questo è un processo che dovrebbe verificarsi spontaneamente all’interno delle famiglie, dove la conoscenza viene condivisa di generazione in generazione. Recentemente, tuttavia, grazie a vari studi, si è osservato che questo passaggio risulta facilitato quando avviene in gruppi sociali più ampi, fuori dalla cerchia familiare: nella società odierna, le diverse generazioni tendono spesso a condurre vite separate e la mancanza di contatto fra loro può portare a un deterioramento della coesione sociale all’interno della comunità.

Laura Carstensen, professoressa di psicologia alla Stanford University e direttrice dello Stanford Center for Longevity, nel suo report “Hidden in Plain Sight: How Intergenerational Relationships Can Transform Our Future” del 2016, sostiene che nei prossimi decenni la popolazione over 70, negli Stati Uniti, aumenterà ancora di più, rappresentando un patrimonio di esperienza utile allo sviluppo delle giovani generazioni. Una preziosa risorsa che è sotto gli occhi di tutti, ma che al momento non viene presa sufficientemente in considerazione, secondo l’esperta. Nei suoi studi, in particolare, la Carstensen ha scoperto che quando il cervello delle persone invecchia tende a migliorare sotto diversi punti di vista, ad esempio nella risoluzione di problemi complessi e nelle abilità emotive. Per questo è convinta che sia uno svantaggio per la società non condividere questa saggezza e questo sapere con le generazioni più giovani. Il dialogo intergenerazionale, infatti, è un ottimo modo per i giovani di acquisire il senso della storia, del contesto in cui vivono e delle prospettive future. I più piccoli hanno bisogno degli anziani per costruire la propria identità e una persona anziana può anche diventare un punto di riferimento importante, soddisfacendo quel bisogno naturale e molto umano di avere qualcuno da assumere come modello da seguire. Avviare un buon dialogo intergenerazionale tra anziani e più giovani risulta in fin dei conti vantaggioso per entrambi, in quanto rappresenta la base per costruire comunità attive e più sicure, ridurre le ineguaglianze, diminuire l’isolamento sociale e la solitudine degli anziani, costruire relazioni di valore, migliorare la salute e il benessere psicologico, aumentare la connettività digitale per i più anziani.

Attualmente, attività del genere vengono organizzate e condotte principalmente da enti a carattere associativo, ma sarebbe forse decisiva l’istituzionalizzazione di simili meccanismi con politiche che promuovano l’inclusione intergenerazionale, come incentivi per le aziende che adottano pratiche inclusive o la creazione di spazi pubblici che favoriscano l’interazione tra generazioni. Per portare avanti ciò, è poi fondamentale sostenere serie attività di ricerca e monitoraggio conducendo studi e sondaggi per comprendere meglio le dinamiche intergenerazionali e identificare le aree di intervento più efficaci; un’attività di studio che non deve essere indirizzata esclusivamente a specializzati gruppi di ricerca ma anche agli stessi giovani, protagonisti delle attività di scambio: l’idea sarebbe quella di integrare nei curricula scolastici e nei programmi di formazione aziendale moduli che insegnino l’importanza della diversità generazionale, aiutando a valorizzare e riconoscere le competenze uniche che ogni generazione porta con sé e promuovendo un ambiente inclusivo.

Adottando un approccio multidimensionale che coinvolga individui, comunità, istituzioni e politiche pubbliche, è possibile ridurre significativamente il gap generazionale e promuovere un dialogo costruttivo tra le diverse generazioni.

Autore

Alessandro Ebreo è nato ad Avellino il 30 agosto del 2007. Frequenta il Liceo Classico "Rinaldo d'Aquino" di Montella e il corso di pianoforte al conservatorio "Domenico Cimarosa" di Avellino, esibendosi, in varie occasioni, in ambito accademico. Nel 2023, esordisce come cantante nell'opera lirica "Il barbiere di Siviglia" con l' Orchestra Filarmonica di Benevento. In ambito letterario, un suo componimento poetico, dal titolo "Sacrificio", è stato pubblicato, nel 2023, dalla casa editrice "Delta 3 edizioni", nella raccolta "Parole di legalità". Nel 2024, è risultato secondo classificato al "Premio Ginestra" con un elaborato sul tema della violenza di genere, dal titolo "Il posto che mi spetta".