• 16 Marzo 2025
Cultura

Ernst Jünger è, al di là dei giudizi politici espressi sulla sua opera, uno dei grandi nomi della letteratura europea del Novecento. Un illustre “figlio del secolo XX”, periodo di contraddizioni e tragedie, ricco di slanci ideali. Nella vasta produzione jüngeriana un ruolo di primo piano riveste il libro che lo rese noto al grande pubblico, Nelle tempeste dacciaio. Un volume dedicato a rievocare, in presa diretta, la partecipazione dello scrittore al Primo conflitto mondiale sul fronte occidentale. È da poco disponibile per il lettore italiano un volume di Nils Fabiansson, Ernst Jünger nelle tempeste dacciaio della Grande Guerra, comparso nel catalogo di Italia Storica Edizioni, il cui senso è svelato dal sottotitolo, Un compendio documentale e fotografico sullesperienza di guerra del tenente Ernst Jünger nel Primo conflitto mondiale (pp. 184, euro 25,00). Il volume è curato da Andrea Lombardi, la traduzione è di Vincenzo Valentini. L’autore è uno storico ed archeologo svedese, autore, tra le altre cose, di una guida di viaggio sul fronte occidentale del conflitto che inaugurò il “secolo breve”.

Per comprendere le intenzioni dello studioso svedese è bene muovere dalle considerazioni di Christopher Tilley, docente di storia materiale, che a proposito del paesaggio ha rilevato che: «i luoghi sono da sempre molto più che punti di localizzazione, perché hanno significati e valori distintivi per le persone» (p.7). Lo stesso Jünger sostenne, a più riprese, di essere magneticamente attratto da alcuni “luoghi”.Per questo motivo, Fabiansson conduce il lettore sui campi di battaglia descritti da Jünger Nelle tempeste dacciaio, non solo confrontando e fornendo l’esegesi delle molteplici revisioni cui quest’opera fu sottoposta dalla scrittore, ma servendosi di un ricchissimo apparto iconografico contenete fotografie tratte da archivi pubblici e privati (particolarmente suggestive e rievocative dell’“atmosfera”, del “clima spirituale” allora aleggiante sulle trincee, risultano essere quelle in bianco e nero), di pagine dei diari dello scrittore tedesco, di mappe da lui disegnate su taccuini e immagini dei luoghi delle battaglie come appaiono oggi. Fabiansson, si badi, non mira a realizzare una sorta di turismo bellico-letterario, che Jünger non avrebbe apprezzato, ma resta fedele allo sguardo stereoscopico e glaciale dello scrittore. I testi inerenti la guerra del tedescosono stati costruiti su quelli che Jünger definì “speciali poteri percettivi”, che gli consentirono di osservare dolore e morte con sguardo privo: «di sentimentalismi, con asciuttezza e fredda precisione» (p. 9).

Il narrato si articola in cinque capitoli che analizzano le fasi del conflitto a muovere dall’agosto del 1914 per giungere ai tragici eventi del novembre 1918, momenti al cui centro si staglia la figura dell’uomo Jünger e si conclude in un Epilogo, nel quale l’autore presenta le numerosissime traduzioni all’estero di Nelle tempeste dacciaio. Troppo spesso si è sostenuto che Nelle tempeste dacciaio sia stato, sic et simpliciter, testimonianza dell’eroismo mostrato in combattimento dall’autore. In realtà, la lettura di Fabiansson ci restituisce uno Jünger a tutto tondo, umano troppo umano, che in molti plessi del libro racconta che: «in diverse occasioni avesse (aveva) lasciato i suoi commilitoni in balia del nemico» (p. 9). Il fatto che citi tali esempi di fallimento personale è  fatto rilevante. Lo scrittore tedesco seppe affrontare, in molte circostanze, come emerge da questo studio, con sprezzo del pericolo, il rischio della morte. Patì ferite alle gambe e alla testa (conservò il suo elmetto con il foro del proiettile che lo aveva trapassato) e, per questo, fu insignito delle più alte onorificenze militari al merito. Nonostante ciò, nel 1972 affermò che: «i ricordi dei suoi giorni di scolaro erano più vividi di quelli di combattente di guerra» (p. 10). Si lagnava, infatti, anche alla luce della sua nuova visione della vita, ben rilevata dalla esegesi del suo pensiero da Evola, che i lettori si intrattenessero, a molti decenni di distanza dalla loro pubblicazione, sui suoi scritti di guerra definiti ormai «Vecchio Testamento» (p. 10).

Non fu solo il “cuore avventuroso” a indurre Jünger ad arruolarsi volontario, ma anche la precisa volontà di meravigliarsi e di comprendere in profondità il senso della guerra, si chiese se essa celasse ancora, di là dai massacri che la “guerra dei materiali” imponeva, per chi la viveva in prima persona, una possibilità realizzativa. La sua risposta fu positiva. Il combattimento determina il superamento della routine borghese, ponendo l’uomo di fronte alla potestas che lo anima e che aleggia in tutta la natura. La guerra distruttiva pare travolgere tutto. Le descrizioni dei campi di battaglia dello scrittore tedesco, ci fa entrare nelle vive cose del paesaggio bellico, attraversando e confrontandosi con l’eterna metamorfosi ciclica che lì costituisce. Jünger seppe, come colse il filosofo Karl Löwith, che il permanente e lo stabile nella vita umana è dato solo dalla “trascendenza” della natura. Durante il Secondo conflitto mondiale, rilevò che la Piccardia: «con le sue dolci ondulazioni, i villaggi incastonati nei frutteti, i pascoli, attorno ai quali si allineano i filari di alti pioppi […]» (p. 22),lo avevano fatto fremere dalla gioia. Non casualmente, durante il periodo trascorso a Monchy e a Douchy, di cui dice in Giardini e strade, si dette nelle trincee, alla “caccia sottile” degli insetti. Quindi, neppure nelle circostanze drammatiche della guerra, in Jünger venne meno la passione entomologica, nella convinzione che nel “particolare” si dia il principio, l’universale. Catalogò ben 143 tipologie di insetti.

Anche il potere di Eros non fu obliato dal senso della morte incombente, in quanto, grecamente, Eros e Thanatas si dicono in uno. Così, il 5 giugno 1916, annota laconicamente: «Jeanne a Combrai» (p. 25), a testimoniare un fugace amore di trincea. Così come non furono tacitati in lui gli affetti più cari. Significativa è la narrazione di Fabiansson degli incontri con il fratello Friedrich Georg, durante i quali i due goderono degli effetti rilassanti del vino di Borgogna e delle fumate, in pipe di sepiolite, del tabacco Navy cut inglese (a causa delle ferite riportate, il pensatore durante la Prima guerra, sperimentò anche l’etere e altre sostanze psicotrope). Commovente, inoltre, il ricordo che Jünger ci ha lasciato dei suoi camerati, siano essi ufficiali o fedeli attendenti che, per lui,  sacrificarono la vita.

Il libro dello studioso svedese, non è quindi, un semplice “compendio” per leggere Nelle tempeste dacciaio, ma volume di rilevo per l’esegesi dell’intera opera di Ernst Jünger.

Autore

Giovanni Sessa (Milano, 1957) vive a Frascati (RM). Suoi scritti sono comparsi su riviste, quotidiani, in volumi collettanei e Atti di Convegni di studio. Ha curato e prefato decine di volumi. Tra le ultime pubblicazioni, La meraviglia del nulla. Vita e filosofia di Andrea Emo, Milano 2014; Julius Evola e l’utopia della Tradizione, Sesto S. Giovanni (Mi) 2019; L’eco della Germania segreta. “Si fa di nuovo primavera”, Sesto S. Giovanni (Mi) 2021; Azzurre lontananze. Tradizione on the road, Sesto S. Giovanni (Mi) 2022; Icone del possibile. Giardino, bosco, montagna (Mi) 2023. E’ Segretario della Fondazione Evola.