• 4 Dicembre 2024
Editoriale

Si aprono scenari meravigliosi sulla vallata del Sannio, lungo la discesa che a capofitta porta verso la vallata, partendo dalla Croce del Taburno fino a baciare le vette del Matese. I boschi sono rumori di rami secchi e foglie ingiallite, lungo sentieri calpestati dalle zampette di lepri in fuga dietro il grugnire dei cinghiali. Fra i faggi il cinguettio degli uccelli si nasconde dietro l’albeggiare che risveglia ogni creatura ed ogni profumo baciato dall’armoniosa rugiada che fresca incanta erba e rocce. Sono silenzi assordanti che si sposano con la melodia di un incantevole luogo che da secoli siede sul mondo dopo l’abbandono al riposo notturno di ogni uomo. Il capo poggiato sui caldi cuscini, sotto le prime coperte autunnali è impregnato ancora dei sogni che nel tepore dell’abbraccio notturno hanno segnato una nuova fantastica storia che si proietterà a colorare i racconti mattutini, davanti al caffè bollente, fra un buongiorno e un brivido del primo fresco dell’inizio del giorno benedetto dall’autunno. Alla ricerca del nuovo vivere quotidiano, ci si veste di colore, scaraventandosi fuori casa, ci si perde fra le strade nella speranza che dietro ad ogni passo si possa ripercorrere il percorso che conduce ad un presente migliore, si, migliore di quello che molto spesso è destinato ai giovani attanagliati nei piccoli borghi, dove la realtà sembra accompagnare alle soglie di regioni lontane ragazzi e desideri.

Dai cortili delle case si propaga il profumo del mosto mentre rastrelli, reti e sofisticati strumenti già scuotono gli alberi per la raccolta delle olive. Un tempo dopo San Martino si partiva con la raccolta negli uliveti, ora alla vendemmia segue immediatamente il rituale dei frantoi dove l’olio extravergine brilla di un verde puro e delicato, ricco di valori proteici e salutari. I trattori solcano le zolle di terra che dopo la raccolta dell’uva rimescolano i racconti e le fatiche di chi ha vendemmiato. Mani callose e immagini di visi solcati di rughe abbronzate sotto il sole caldo di chi abita tutto l’anno la campagna e che si lascia accarezzare dai raggi che fanno maturare i raccolti e la loro pelle all’unisono.

La gente dei campi è gente vera, viva, preziosa che si fonde con l’essere parte del mondo, che rispetta la pioggia e il vento, che gioisce al sole e che piange alla grandine, che si sottrae al riposo per far crescere ogni seme. La gente di questa grande vallata abita nei paesi che sembrano scarni e privi di ricchezze moderne; eppure, sono tutti fieri di essere nati e di resistere nei secoli nelle stesse case dove i loro avi custodirono i loro sogni e le loro fatiche. Ponte, Torrecuso, Guardia Sanframondi, Faicchio, Puglianello, San Lorenzo, Melizzano, Frasso Telesino, Solopaca, Telese e tutti gli altri paesi che si confondono fra la nebbia sottile dei mattini uggiosi, segnano la storia di un dipinto che dei protagonisti hanno saputo piazzare in primo piano le tradizioni che non moriranno mai e che restano a riaffermarsi ad ogni cambio generazionale, Una dote che è cultura e che viene posta fra le mani di ogni figlio di questa terra a custodirne bellezza e  valori. Ogni figlio difatti è responsabile di tramandare l’amore per la sua terra, di non dimenticarla mai dovunque dovesse essere il posto dove sarà portato a vivere. Un giorno faranno ritorno alle origini e saranno orgogliosi di guardarsi alle spalle rivedendo gli innumerevoli successi partendo dalla semplicità dei luoghi che gli appartengono da sempre.

Guardando le montagne è impossibile non sentire il cuore che si fa grande, diventa sempre più colmo di amore, sempre più stretto in una morsa che stringe di sentimenti che dalla gioia passa alla nostalgia, ai ricordi, alle piccole e grandi gioie, ai sorrisi da bambini, alle cadute che sbucciavano le ginocchia, ai baci della mamma che, come per magia con un lieve soffio sulle ferite, leniva il dolore. Quante pedalate sulla “Graziella” portavano lungo stradine e a girare mille volte intorno allo stesso albero in mezzo al cortile, in quanti posti impensabili giocando a nascondino si condivideva con le lucciole e la luna le serate estive. Quanti pezzi di gessetti colorati segnavano i quadrati per saltare alla campana, passando da un numero all’altro per poi ritornare alla partenza dopo aver raccolto il sassolino nella casella dove era stato fatto cadere.

Si stava per ore e ore seduti davanti ai caminetti accesi ad ascoltare i racconti dei nonni sulle streghe di Benevento, per poi andarsene a dormire con il viso sotto le coperte ed il terrore che da un momento all’altro le janare dei racconti diventassero figure reali. Ma ad annientare tali paure, ricorreva il saluto della mamma che dopo la preghiera “dell’angelo custode” e dopo aver rimboccato le coperte con un bacio sulla fronte, metteva con le proprie labbra dolci quel sigillo che preservava da ogni timore. Ed erano sogni d’oro, erano sogni di bimbo, di allegria e di semplicità che accompagnavano al risveglio con il buon umore.

Ed era tutto una scoperta, ogni filo d’erba, le lucertole, il cane in giardino, il canto della civetta, il contare le ore chiedendo al cuculo di indovinare la nostra età, il suono della chitarra, i primi solfeggi davanti ad un pianoforte, i primi amori, il diventare adulti, padri e madri, nonni e poi sempre più grandi… fino a spegnersi chiudendo lo sguardo verso la montagna, spegnendo la luce verso quel cielo che da sempre si poggia alle vette. Ed è storia nuova a chiudere un vecchio libro, ed è nuovo silenzio a dar voce a nuove scoperte e a dare nuovi colori alle strade che altre vite cammineranno. E saranno nuovamente attratti dall’incanto della nostra terra, dalle case dei nostri borghi, dalle storie di mille racconti, dai lavori delle stesse terre, dai raccolti dagli stessi vigneti, dall’oro antico degli stessi uliveti.

Si udiranno ancora e ancora i silenzi assordanti di una natura che ci appartiene, che dimora libera e altezzosa da secoli, come la bella dormiente sulla catena del Taburno. E le acque delle sorgenti si riverseranno nei fiumi che attraverseranno le nostre terre nutrendo lembo dopo lembo la nostra storia infinita che dai Sanniti, popolo forte, sente pulsare ancora nei nostri cuori il loro battito di vita.

Autore

Carmela Picone nasce nel 1969 a Solopaca , in provincia di Benevento. Dopo aver conseguito il Diploma di Maturità Classica, leggendo Pirandello scopre la passione per il teatro. Partecipa e vince un concorso letterario con La Libroitaliano Editore e vede le sue poesie pubblicate in un’antologia. Scrive il romanzo “Gocce d’Amore” che ottiene immediato successo tanto da interessare un regista romano che chiede all’autrice di scrivere una sceneggiatura tratta dal proprio libro per la progettazione di un film. Nel 2021 scrive “La poesia delle parole semplici” una silloge pubblicata dalla Atile Editore. Le passioni restano la scrittura, i viaggi ,la recitazione e la pittura . Ama molto viaggiare, scoprire nuove culture, ammirare nuovi paesaggi e far tesoro delle emozioni che ne scaturiscono dopo ogni luogo ammirato. La sua ambizione più grande resta quella di promuovere il territorio nel quale è nata, e dove oggi s’impegna nel sociale per tenere vive le tradizioni e per portare alla conoscenza di tutti la meraviglia e i tesori della sua terra. piccola perla del Sannio.