Il fenomeno, grande e vistoso, della sanità passiva non può essere svalutato, come fa Vincenzo De Luca, ad “affarismo” del Nord sulle spalle del Sud (in verità il presidente della giunta regionale ha detto anche “camorrismo istituzionale”). I malati, i pazienti e le famiglie meridionali – nel caso specifico della Campania – si spostano verso la Lombardia e il Veneto, l’Emilia e la Romagna per necessità e non certo per piacere. L’esodo sanitario dimostra in modo inequivocabile che il divario tra Nord e Sud non solo esiste già (grande scoperta dell’acqua calda) ma è ben “sfruttato” dai meridionali che non potendo contare su una sanità locale autonoma si rivalgono su un’altra possibilità che è offerta loro dalla sanità eteronoma o “diseguale”, in pratica che funziona. Questo, in fondo, altro non è che la risorsa di quello che un tempo si sarebbe chiamato Stato nazionale e tutti, sia al Nord sia al Sud, dovrebbero meglio considerare come pre-condizione per il benessere generale.
La passività, che si può vedere anche in altri settori – scuola, università, occupazione, servizi –, è molto istruttiva perché fa capire come la classe politica meridionale interpreti l’autonomia differenziata: con il vittimismo e con la demagogia con cui si arriva a sostenere che dal momento che il Sud non ce la fa e il Nord sì, allora, bisogna evitare che il Nord ce la faccia perché si creano cittadini di serie A e di serie B. Insomma, siamo dinanzi ad un’interpretazione plebea del principio di eguaglianza che dice muoia Sansone con tutti i filistei e i filistei altri non sono che lo Stato nazionale.
E’ soltanto uno dei tanti paradossi dell’autonomia differenziata vista da Sud: la classe politica – si pensi soprattutto a De Luca e Emiliano – accusano gli autonomisti addirittura di anti-Risorgimento ma, in realtà, nello strumentalizzare tanto l’eguaglianza quanto le diseguaglianze vestono loro stessi i panni antirisorgimentali. E’ chiaro a tutti, infatti, che la differenza tra Nord e Sud precede e non segue l’autonomia ed è usata dai meridionali come una concreta risorsa nazionale e non come un pericolo. Il problema della legge Calderoli, che promana direttamente dalla Costituzione riscritta dal centrosinistra, non consiste allora nell’impedire al Nord di auto-governarsi e di crescere ma nel consentire al Sud di fare altrettanto. E’ il problema storico dell’auto-governo locale che, purtroppo, al Sud è peggiorato proprio con le regioni con cui nel Mezzogiorno, a partire dagli anni Settanta, rinasce la “questione meridionale” perfino sotto forma di neofeudalesimo, come ebbe a scrivere l’ex ministro Carlo Trigilia. Ma se le cose stanno così – e stanno così – il problema è a Sud e non a Nord. E tutti i calcoli ragionieristici, che ora si fanno nel tentativo di dimostrare che l’autonomia è ingiusta, non servono a nulla perché l’ordine dei problemi non è di ragioneria ma di ragione ossia politico e di buon governo locale. Il caso della sanità passiva, che periodicamente sale all’onore della cronaca dei drammi meridionali, è di scuola. I meridionali, autonomia o non autonomia differenziata, devono fare i conti con il plebeismo della loro classe politica e dirigente, sempre in cerca di alibi, e con sé stessi.