Fra le e accuse lanciate dall’opposizione al governo, alla sua maggioranza e, in generale, alla cultura a cui in particolare FdI si ispirerebbe, campeggia in questi giorni quella di omofobia. Si tratta di accuse condite da gossip e inquadrate in quella più ampia contro la società patriarcale, che vengono confutate con argomenti di vario spessore dalla pubblicistica “di destra”, ma il sottofondo squisitamente metapolitico richiede approfondimenti e riflessioni che vanno aldilà della cronaca e delle polemiche della “piccola” politica.
Qui proviamo ad offrire qualche spunto, a partire da esperienze personali e da letture: senza avere preordinato alcun messaggio, ne verrà fuori uno scenario, nel corso degli anni, che non ha mancato di sorprendere anche me, quando ho messo in fila qualche ricordo, pur nel quadro di una prevedibile linea evolutiva dei costumi (e delle leggi), a proposito dei rapporti fra questa minoranza e tutto il resto della società. Superfluo sottolineare come le problematiche attinenti all’omosessualità attraversino la storia dell’umanità, a partire dalla terribile condanna di Jahvé nei confronti delle città di Sodoma e Gomorra, fino agli odierni casi di cronaca. Non è qui il caso di seguire le alternanze, nella storia, fra l’implacabile rigore e la tolleranza, fra la timorosa riservatezza e l’orgogliosa esibizione di questa modalità – peraltro assai variegata – dell’identità sessuale; tuttavia, dal minuscolo osservatorio della mia esperienza, posso riassumere la vicenda in una parabola breve.
Già nell’infanzia ebbi sentore che qualcosa di diverso si nascondeva dietro la netta distinzione fra maschi e femmine nei miei compagnetti di classe nelle elementari; poi vi furono le parole a mezza bocca di molestie – ma di quale natura? – rivolte al fratellino di un mio coetaneo vicino di casa. Aggiungo che nei pressi della casa dei nonni materni – si sussurrava – vivevano due uomini come marito e moglie. Nella mia adolescenza romana, ricordo che nelle scorribande di strada con cugini e amici, fra una partita di pallone e un pomeriggio nella sala biliardi, a volte si andava a chiacchierare e a sfotticchiare, ma senza malignità, “Claretta”, un travestito che abitava ai margini del nostro quartiere. Al liceo poi l’oggetto di qualche battutaccia – senza che si arrivasse a forme di bullizzazione – era un compagno dai modi un po’ effeminati, che osava indossare una camicia rosa.Tanto per dire che abbiamo convissuto con questa realtà, senza menarne scandalo.
Avevo ormai capito che “la cosa” esisteva, ma non me ne scandalizzavo né ero interessato ad approfondire. Vennero poi le letture di Julius Evola (specie in “Metafisica del sesso) e di Otto Weininger (“Sesso e carattere”), di Sigmund Freud e di Wilhelm Reich, e qui il discorso si fece serio. Insomma, all’origine, come ricordavano anche Mircea Eliade nel suo “Mefistofele e l’Androgine” e la stessa Genesi, maschio e femmina erano compresenti nella stessa Persona primordiale. Da questa figura mitologica discendeva, secondo tutti gli studiosi sopra menzionati – ma non solo – che nessuno può dirsi totalmente maschio o totalmente femmina. Seguivano, nei secoli, svariati tentativi di ricondurre non più al mito, ma alla scienza, una tale conclusione: oggi sappiamo che si verifica una sorprendente convergenza fra gli studiosi cattolici ed alcuni scienziati laici – in primis Paolo Crepet – secondo i quali non esiste una sola prova scientifica dell’esistenza di un “terzo sesso” (che nel frattempo sarebbe esploso in una galassia di varianti di gusti, inclinazioni e opzioni, per ora sintetizzate nella sigla “lgbtq+”).
A dire il vero, alcune di queste varianti non sono recenti: basti pensare alla cultura greca classica, dove vigeva una generalizzata ed approvata bisessualità, mentre a Roma si registravano per lo più gli spettacoli pecoreccio di origine fescenninica– estesi però a tutta la sfera sessuale – e poi la satira tagliente di un Marziale, rivolta specie ai sospettati di omofilia; fino ad arrivare al Settecento libertino dei castrati, celebrati cantori oggetto di attenzioni da parte di famosi seduttori, primo fra tutti Giacomo Casanova. A proposito di epoche, sensibilità e leggi diverse, non si erano ancora spenti i roghi né dischiuse le prigioni per i sodomiti e, tanto per volare ai nostri tempi, dopo le camere a gas del regime nazista, in alcuni paesi islamici si emettono ancor oggi condanne, anche capitali, nei confronti di omosessuali. Insomma, nella storia, antica e recente, vi è di tutto.
Quanto ai rapporti fra l’omosessualità e la Destra, nelle sue varie declinazioni, la traccia di omofobia non solo appare errata dal punto di vista lessicale, (non di fobia, cioè di paura, si tratterebbe, ma semmai di avversione e di condanna), basterebbe risalire ai prodromi di alcuni aspetti del Fascismo, nell’impresa di Fiume e nella Carta del Carnaro, ispirata ai principi di libertà fin nel campo del sesso. Riguardo alla cultura riferibile, negli anni 30 del Novecento e oltre, ai regimi fascisti, basterebbe ricordare figure di omosessuali dichiarati quali Henry de Montherlant e Robert Brasillach (abbiamo poi letto un recente articolo di Annalisa Terranova, la quale su “Libero” ha chiarito quale fosse la posizione di Giorgio Almirante sull’argomento). E tornando alle conoscenze personali, mi limiterò a ricordare il caso di Paolo Isotta, anche lui omosessuale dichiarato, compianto faro della cultura “di destra”.
Detto tutto questo, spiegherò in breve che cosa non mi piace nella deriva odierna. Riconosco che, nei secoli, ma poi in epoche più vicine a noi, prevaleva un’atmosfera di vergogna e di silenzi, di sospetti e di sottili sanzioni sociali, fino alle condanne pubbliche come quelle subita da Oscar Wilde, ma anche di costrizioni più o meno larvate: per tutte, basterà ricordare quella nei confronti di PyotrTchaikovsky, omosessuale indotto ad un matrimonio indesiderato, come illustrato nel film di Ken Russel, “L’altra faccia dell’amore”, o il caso di Rock Hudson, costretto a ruoli di dongiovanni, fino alla scandalosa sorpresa di un outing originato da una delle prime manifestazioni dell’AIDS, allora definito “malattia degli omosessuali” (e tralasciamo analoghi esempi meno noti, capitati alla gente comune).
Qui però siamo ad un massiccio e vorticoso capovolgimento delle prospettive: dai silenzi e dalle condanne, siamo passati alla tolleranza ieri, e oggi, alle grottesche esibizioni e in non pochi ambienti (spettacolo, moda, comunicazione e perfino nella Chiesa cattolica) alla costituzione di vere e proprie potenti lobbies. Siamo partiti da quella lontana constatazione che non esistono il Maschio e la Femmina assoluti, per portare alla luce gli aspetti rimossi della psicologia del profondo, per inoculare nell’educazione, nelle sensibilità, nella cultura, appunto, l’idea che “gay è bello” e che ognuno di noi può scegliere, senza lasciarsene vincolare, l’identità sessuale che preferiamo. Per inciso, è questo un aspetto dell’abolizione dei confini, tanto deplorata, ma solo sotto il profilo territoriale, da un intellettuale come Régis Debray (“Elogio delle frontiere”), con il corollario dell’abolizione dei ruoli e di una gran confusione nei costumi diffusi, nella quale si agitano maschi depilati e imbellettati e femmine-pugili.
Va da sé che nei casi di adolescenti fragili e insicuri, questa deriva alimentata dal mainstream può avere l’effetto di una spinta decisiva verso comportamenti – e magari decisioni gravi, come la transizione psicologica, farmacologica e chirurgica – da un sesso all’altro. Senza contare che una simile “cultura” spiega la proliferazione dei casi di omosessualità conclamata e fa da altra faccia della medaglia rispetto a quella ispirata alla cancellazione e demonizzazione del passato, e va annoverata fra le concause della crisi demografica, che sta affossando la civiltà “occidentale”.