• 12 Dicembre 2024
Editoriale

Quali saranno gli scenari politici e geopolitici del dopo elezione di Donald Trump non è un nodo semplice da sciogliere prima del suo arrivo alla Casa Bianca il prossimo Gennaio, ma si può provare a disegnare un quadro per poi vedere se esso andrà a rispecchiare l’analisi o meno. Le questioni importanti per l’amministrazione Trump saranno ovviamente il conflitto Russo-Ucraino e la questione Israelo- Palestinese, e non ultima la questione di maggiore interesse economico, o se vogliamo definirla la personale guerra economica di Trump, ovvero la Cina.

Durante la sua campagna elettorale Trump ha detto che avrebbe posto fine alle due guerre in corso in poco tempo. Sicuramente ci vorrà più tempo di quello dichiarato ma, date l’intenzione di concentrarsi sull’indo-pacifico e la consapevolezza che tenere aperto il conflitto ucraino rafforza l’asse Russia-Corea del Nord-Iran con la Cina subito dietro, appare probabile che Trump intenda porre fine alla guerra contro la Russia che l’Ucraina non può combattere senza l’aiuto statunitense.

A questo si aggiunge l’enormità del danaro versato all’Ucraina che da parte degli USA che ammonta ad oltre 200 miliardi di dollari. Su tale questione Trump ha espresso più volte la critica che tale denaro è stato tolto al welfare degliUSA. Di fatto con milioni di cittadini alla soglia dell’indigenza, e con una campagna spinta verso una forma di “nazionalismo” che è definito nello slogan “Make America Great again”, ovvero “Rendere l’America ancora grande” l’intento è rimettere in moto l’economia attraverso anche un ridare con il lavoro, nuova dignità a quella fetta di popolazione (si parla di oltre venti milioni di persone) che si sono ritrovati senza un lavoro fisso, e con un tenore di vita al limite della povertà. Non per nulla egli ha già guardato al rientro delle manifatture delocalizzate all’estero (come aveva già fatto), con l’intento ancora una volta di favorire l’imprenditoria attraverso agevolazioni fiscali, ma anche l’imposizione di tasse e dazi alle imprese statunitensi che continueranno a restare delocalizzate all’estero.

Le nuove misure comprese nel programma di Trump sono tre. La prima consiste come detto nella riduzione delle tasse alle imprese dal 21% al 15%. La seconda consiste nella imposizione di dazi del 10-20% ai Paesi “amici” (Europa) e fino al 60% a quelli “ostili” (Cina) ed alle imprese che continueranno a delocalizzare, tutto ciò allo scopo di riequilibrare l’enorme deficit commerciale degli Usa con il resto del mondo e ricostruire la base industriale. La terza consiste nel contrasto all’immigrazione cosa che è stata vista favorevolmente da una buona parte dei votanti immigrati, che vedono nell’immigrazione clandestina un furto a chi ha acquisito la cittadinanza, per via della concorrenza sleale che i primi attuano sul piano del lavoro, costretti come sono ad accettare paghe miserevoli ed in nero sfavorendo il sistema di paga normata e facendo perdere il lavoro a chi è cittadino statunitense. Ovvio che con ciò si è creata una guerra tra poveri, ma nell’ambito dell’economia è stata vista una soluzione vincente.

Tornando al conflitto Russo-Ucraino, non va dimenticato che Trump sulla questione all’inizio dell’anno si era opposto alla votazione per l’invio di nuovi aiuti e che il presidente dei senatori repubblicani, John Thune, pur non essendo un trumpiano di stretta osservanza, ha dichiarato che lavorerà a stretto contatto con l’amministrazione per il blocco di nuovi aiuti. Infine, Tulsi Gabbard, considerata non ostile a Putin e a Bashar Assad, è stata nominata da Trump direttrice della sicurezza nazionale e questo è già un segnale di cosa vuol fare Trump e dell’orientamento geopolitico futuro. Sul conflitto in Medio Oriente la questione è capovolta rispetto all’Ucraina. Nelle fila dell’amministrazione Trump sono molti i filosionisti, e la strategia geopolitica potrebbe essere quella di rafforzare i rapporti con i paesi del Medio Oriente con l’idea di giungere ad una soluzione di compromesso e pace che riduca l’apporto economico e militare dell’Iran verso Hezbollah, Hamas, le formazioni Houty yemenite, le milizie sciite irachene, e contemporaneamente  sostenere militarmente Israele convinti che l’Iran non avvierà un conflitto con questo conscio della propria debolezza militare. D’altronde le spese militari verso Israele sono “irrisorie” rispetto al conflitto in Ucraina e dunque sostenibili, ma il ritorno economico e di fiducia utile all’amministrazione del Tycoon giungerebbe dalle banche e dal settore della grande imprenditoria ebraica degli USA. In particolare però l’interesse dell’amministrazione Trump volge alla sicurezza dell’area medio orientale in funzione di deterrenza alla Cina, in considerazione che attualmente l’insicurezza dello stretto di Hormuz favorisce Pechino che riesce a far passare il petrolio acquistato in Iran in totale sicurezza.  L’appoggio a Israele, comunque, dovrebbe avere come limite quello di non spingere i regimi arabi “moderati” nelle braccia di Russia e Iran. Sostanzialmente l’obiettivo di Trump è la rivitalizzazione degli Accordi di Abramo (2020), che normalizzarono le relazioni tra Israele e Emirati Arabi Uniti, magari estendendoli a altri regimi arabi dell’area, a partire dall’Arabia Saudita. In parte in sostanza per alcuni versi Trump riparte dalle idee della sua prima amministrazione ma con una differenza importante la sua strategia questa volta ha maggiori possibilità di imporsi. Al primo mandato la vittoria fu quasi inaspettata e Trump non aveva il personale politico necessario per implementare le sue decisioni. Inoltre, la burocrazia, civile e militare, era ostile nei suoi confronti. Oggi, invece è arrivato preparato, con un personale politico adeguato e soprattutto a lui fedele che di fatto sta formando una nuova classe dirigente, relativamente giovane, che può mettere in pratica la nuova strategia sul lungo periodo. In questo nuovo personale politico ci sono anche elementi più giovani dei neoconservatori, mentre quelli più anziani e ormai “decotti” sono stati allontanati.

La strategia politica di Trump in realtà è in continuità con quella tradizionale. Ciò che lo differenzia è il modo in cui tale strategia viene attuata con una vera e propria rottura con il passato. Ad ogni modo, quella di Trump non è una strategia isolazionista ma bensì come detto nazionalista che è una cosa ben diversa, rispetto a come qualcuno l’ha voluta dipingere. Trump si inserisce all’interno del solco dell’imperialismo statunitense, con l’obiettivo dichiarato di restaurare la posizione di egemonia degli Usa. È evidente che un simile programma non può realizzarsi con un ripiegamento su sé stessi, bensì mediante una proiezione all’esterno, certamente con modalità e obiettivi nuovi, ma pur sempre con un deciso intervento sul piano internazionale.

Autore

Figlio della migrazione italiana degli anni 60 del XX° secolo, nato in Gran Bretagna e tuttora cittadino britannico a voler ricordare il mio essere nato migrante ed ancora oggi migrante (Interno). Sono laureato in Lettere (Università di Roma “La Sapienza) ad indirizzo Archeologico-Preistorico per la precisione in Etnografia Preistorica dell’Africa, un Master di primo livello in “Interculturale per il Welfare, le migrazioni e la salute” ed uno di secondo livello in “Relazioni internazionali e studi strategici”. Sono Docente a contratto di Demoetnoantropologia presso l’Università di Parma e consulente per il Ministero della Cultura in ambito Demoetnoantropologico. Mi occupo di relazioni con le comunità di diversa cultura del territorio di Parma e Reggio Emilia scrivo di analisi geopolitiche e curo una rubrica (Mondo invisibile) sul disagio sociale. Nel tempo libero da decenni mi occupo di ricerca antropologica, archeologica e storica del territorio della mia terra, della terra delle mie radici, Gioia Sannitica. Collaboro con diverse realtà divulgative e scientifiche on line (archeomedia.net- paesenews.it-Geopolitica.info-lantidiplomatico.it) creo eventi culturali, cercando sempre di dare risalto alla mia terra non intesa solo come Gioia Sannitica ma di quella Media Valle del Volturno, che fu il Regno Normanno di Rainulfo II Drengot.