• 4 Luglio 2024
Alimentazione

La Pastiera. “A Pasta ‘e ajer” (La Pasta di ieri) tradizione che risale a circa 600 anni fa, quando, con l’inizio della Primavera, i pescatori, approfittando delle belle giornate, riprendevano le battute di pesca che duravano anche più giorni. Per questo le loro mogli preparavano un pasto unico che li accompagnasse per tutto il tempo che trascorrevano in mare. Piatto unico che comprendeva un primo, un secondo e un dolce. Utilizzando uova, ricotta, zucchero, arancia e grano (che con il suo amido amalgamava il tutto e sostituiva lo strutto per via delle alte temperature) crearono questa pietanza che serviva per l’alimentazione di tutta la battuta di pesca. Inizialmente al posto del grano si utilizzava la pasta lessata il giorno prima. Da qui il nome, anche se poi venne sostituita dal grano cotto nel latte. E nel Napoletano ancora si fa “la Pastiera di pasta dolce”,  dove spaghetti o, meglio ancora, capellini, si usano al posto del grano.

Ma c’è chi racconta che le mogli dei pescatori, affinché il mare lasciasse tornare i loro mariti sani e salvi dopo la battuta di pesca, avessero lasciato sulle rive della spiaggia ceste piene di ricotta, frutta candita, grano, uova, arance e zucchero che furono mischiate dalle onde lasciando nelle ceste un dolce meraviglioso.

Le leggende sulla Pastiera si avvicinano alle favole. Tranne una. È storia che la Regina Maria Teresa d’Austria, soprannominata la “Regina che non ride mai” per il suo carattere austero, riservato ma sopratutto triste, consorte di Ferdinando II di Borbone, famoso per essere goloso, cedendo alle insistenze del marito, assaggiò una fetta di Pastiera e sorrise, con una espressione serena e felice. Questo il commento del sovrano: “E che marina! Pe fa ridere a tte, ce vò a Pastiera? E mò c’o saccio ordino al cuoco che, a partir d’adesso, stà Pastiera la faccia un po’ più spesso. Nun solo a Pasca, che altrimenti è un danno; pe te fà ridere adda passà n’at’ anno!”  

E, offrendo una fetta di Pastiera, ad un rifiuto i napoletani oggi rispondono “E dai, magnatell ‘na risata”.

La storia più fantasiosa sulle origini della Pastiera viene dalla sirena Partenope che scelse il Golfo di Napoli come residenza deliziando la popolazione con il suo canto melodioso. A lei, per ringraziarla,

gli abitanti fecero recare dalle sette più belle ragazze del Golfo quanto avessero di più prezioso. La farina, ricchezza della campagna. La ricotta, dono dei pastori. Le uova, simbolo di resurrezione. Il grano, quello tenero bollito nel latte. Il profumo degli agrumi appena sbocciati sugli alberi. Le spezie, nel ricordo di popoli lontani. E lo zucchero che rappresentava la dolcezza del suo canto.

La sirena gradì talmente tanto questi doni che volle mescolarli creando questo dolce fantastico.

Ma quella che si avvicina alla pastiera che noi conosciamo, sicuramente ci viene tramandata dal Convento di San Gregorio Armeno, famoso per essere il luogo da cui ebbero origine la maggior parte dei dolci napoletani. Intorno al XVI secolo una suora volle creare un dolce che unisse simboli cristiani come uova, ricotta e grano alle spezie provenienti dall’Asia e al profumo dei fiori d’arancio del giardino conventuale. E le monache divennero talmente brave nel fare questo dolce che durante la Pasqua lo regalavano alle famiglie aristocratiche della città.

Tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento incontriamo la prima ricetta scritta della pastiera, nel volume “Il cuoco galante” di Vincenzo Corrado del 1773 – chiamata “torta di frumento” – con l’indicazione di prepararla in aprile.

È per tradizione il dolce di Pasqua, ma nessuno vieta di realizzarla durante tutto l’anno.

Buon lavoro e buon appetito.

PASTIERA NAPOLETANA

Ingredienti:

gr. 300 di farina per dolci

gr.450 di zucchero

gr.150 di burro o strutto

9 uova

gr.500 di ricotta

gr.250 di grano duro

gr.100 di cedro candito

½ litro di latte

Limone, cannella, vaniglia, sale, burro, zucchero a velo.

1 bottiglietta di acqua di millefiori (in alternativa acqua di fiori d’arancio)

Tenete a mollo in acqua fredda per una settimana il grano duro.

Scolatelo e in altra acqua fatelo cuocere per mezz’ora. Scolatelo e rimettetelo in una casseruola con il latte, la buccia di un limone, un pizzico di sale e cannella q.b.

A fuoco basso fate cuocere il grano fino a quando il latte sarà completamente assorbito.

Intanto preparate su una spianatoia la pasta frolla con la farina, 150 gr. di zucchero, 150 gr di burro, tre tuorli d’uovo e un pizzico di sale.

Avvolgete la pasta in un tovagliolo e lasciatela riposare.

Versate il grano in una terrina, togliete la buccia del limone e, quando è freddo, mescolate la ricotta passata al setaccio, lo zucchero rimasto, un poco di scorza di limone grattugiata, l’acqua di millefiori, il cedro candito tagliuzzato, un pizzico di vaniglia, i tuorli di sei uova incorporandoli uno per volta ed infine, mescolando delicatamente, quattro albumi montani a neve ferma.

Stendete i tre quarti della pasta frolla in una sfoglia a forma rotonda e foderate con questa una tortiera ben imburrata.

Versate l’impasto di ricotta e grano nella tortiera e con la pasta rimasta tirata a sfoglia e divisa in striscioline, fate una griglia sopra il ripieno.

Mettete la tortiera in forno caldo e, a fuoco basso, cuocete la pastiera per circa un’ora. Lasciatela riposare per almeno24 ore e prima di servirla spolverizzatela di zucchero a velo.

Autore

Babette è una studiosa di cultura materiale ed in particolare di alimentazione. Si dedica a sperimentare soprattutto piatti d'epoca rivisitandoli senza alterarne la natura. Sta per pubblicare un libro di storia culinaria corredato da ricette