
La Commissione europea ha indicato che gli edifici esistenti dovremmo essere ristrutturati per il 2-5% annuo per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione. Secondo un’analisi di Bruegel, si stima una spesa aggiuntiva di 76 miliardi di euro all’anno per le ristrutturazioni degli edifici residenziali entro il 2030. Ora, avendo S&p fissato a circa 42 miliardi di euro il 15% degli edifici peggiori, potrebbero essere necessari dai 10 ai 25 anni per recuperare i soldi spesi per la ristrutturazione degli edifici. Ma qual che è peggio e preoccupante è che il report S&P Global Ratings, dedicato al settore immobiliare residenziale europeo, con particolare riferimento ai costi della decarbonizzazione, con un sondaggio cui hanno partecipato 20 società immobiliari residenziali europee, ha valutato che per un appartamento di 80/100 metri quadri, per adempiere agli obblighi della Direttiva green, le ristrutturazioni potrebbero costare sino a 50mila euro.
Tutta l’operazione perciò graverà non solo sulle tasche dei privati, ma anche sui bilanci degli Stati membri che dovranno attingere alla fiscalità generale, quindi imporre nuove tasse all’intera collettività nazionale.
Secondo un modello elaborato tempo fa da Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, contenuto nell’Efficiency Energy Report 2024 (Energy Performance), solo per sistemare gli edifici con classe G occorrerebbero 180 miliardi di euro perché sarebbero da efficientare almeno il 43% degli immobili. E lavorare sul 43% di cinque milioni di edifici vorrebbe dire attivare 800 mila cantieri all’anno, Ma per un’operazione di larga scala di queste dimensioni serviranno strumenti finanziari appositi come, ad esempio, la cessione del credito.
Per rispettare gli obiettivi della direttiva “Case green” occorreranno tra gli 800 e i mille miliardi anche secondo uno studio di Deloitte.
Da noi è un conto più salato che in altre zone d’Europa perché le abitazioni in classe F e G sono in Italia il 63%, una quota molto maggiore rispetto a Germania (45%), Spagna (25%) e Francia (21%). Pesa poi sopratutto l’età avanzata degli edifici. Secondo la Deloitte nel 2024 il parco immobiliare italiano è costituito da più di 13 milioni di edifici, di cui circa l’89% ad uso residenziale. Gli immobili produttivi e commerciali rappresentano solo il 2% ciascuno del patrimonio complessivo. Oltre l’83% degli edifici residenziali risulta costruito prima del 1990 (un dato più alto della media Ue, che è del 76%) e più della metà (57%) è risalente a prima degli anni ’70. Solo il 3% del nostro patrimonio residenziale, invece, è realizzato dopo il 2011.
Nelle previsioni della Von der Leyen il prossimo budget Comunitario Ue dovrà essere “potenziato”, per tenere conto degli investimenti necessari a realizzare il Green Deal. Per gli stessi “gnomi” di Bruxelles la riconversione ecologica e il rispetto degli impegni climatici costeranno all’Unione 620 miliardi di euro all’anno da qui alla fine del decennio, tra investimenti pubblici e privati. Questi impegni rischieranno di presentare il conto alle nostre aziende, mettendone fuori gioco molte, perché anche per i governi nazionali, il margine di azione è ridotto essendo tornato operativo il Patto di Stabilità.
La nostra, come si sa, è una situazione molto particolare, in Italia il 75,1% delle persone vivono in case di proprietà, contro il 63,6% della Francia, il 59,3% della Danimarca e il 50,5% della Germania, con una quota molto rilevante di proprietà condominiali, che rende più difficile e complesso tutto il processo di efficientamento.
La Direttiva europea, infatti, nonostante le buone modifiche intervenute, non ha tenuto in debita considerazione la profonda diversità del patrimonio edilizio italiano rispetto a quello degli altri Paesi europei, oltretutto costituito da immobili realizzati in epoche anche molto lontane nel tempo ed in contesti unici dal punto di vista territoriale, storico, artistico, culturale.
Questo patrimonio edilizio è tradizionalmente di proprietà diffusa dei privati, delle famiglie italiane (si calcola che siano circa 10 milioni le famiglie, che dovrebbero eseguire lavori), che per realizzare questo “sogno” hanno utilizzato da sempre i propri risparmi racimolati con grandi sacrifici.