
La letteratura si apre ad una diversità di chiavi interpretative che hanno, comunque, alla base un rapporto tra storia, metafora e memoria. Il dibattito che si è sviluppato interessa diversi ambiti. Ci sono comparazioni che vanno analizzati e applicate soprattutto nel campo delle letterature e delle nuove discipline letterarie.
La letteratura italiana contemporanea presenta le sue caratteristiche di fondo grazie a due coordinate che hanno una loro valenza critico – letteraria da una parte e storico – estetica per un altro versante. Lo storicismo cosiddetto dialettico anche in letteratura è fallito sia nella sua forma teorica sia in un confronto diretto con le linee letterarie che con gli stessi autori. La letteratura del Novecento italiano ha una sua valenza storica che andrebbe riscritta e riletta sia sul piano metodologico che su piano pedagogico. Gli autori hanno bisogno di essere riletti sulla base dei testi, delle opere che hanno lasciato e sulle loro testimonianze.
Ma c’è una letteratura nazionale che vive dentro quella letteratura cosiddetta della “provincia” che diventa espressione di una tesi nazional – popolare. Come c’è una letteratura che ha contenuti tematici riferiti alla provincia che vive dentro una dimensione europeista del linguaggio e dell’essere. ma è proprio la provincia che ha una sua identità ben specifica. Vediamo come. Sono recenti i testi di Piero Cudini sulla letteratura italiana del ‘900 (Bompiani) e di Giuseppe Petronio dedicato alla poesia come vita (Mondadori). In tutto questo il sentimento della provincia ha una sua identità ben delineata.
La “provincia” nella letteratura assume una contestualizzazione che può leggersi attraverso diverse chiavi di lettura che possono essere sia di ordine puramente letterario sia di ordine sociologico sia di ordine estetico, sia di ordine etico. Ma è l’aspetto letterario che assume una sua valenza di fondo che poi, alla fine, riesce ad inglobare tutti quegli elementi che diventano modello culturale. Ma la letteratura nel sentiero della provincia vi trova la realtà e il sentimento di appartenenza, il quotidiano e l’affermazione di una identità, l’ambiente e quel gioco delle immagini che è la poesia della crisi che si avverte nei personaggi. Il più delle volte il romanzo che viene definito come romanzo che racconta la provincia o che vive nel sentire la provincia come luogo di una realtà ha una duplice interpretazione. Una che si richiama fondamentalmente alla conformazione del neorealismo o del formalismo della descrizione della realtà. L’altra come trasposizione della storia in metafora. Da questo punto di vista ci sono scrittori che hanno fatto del raccontare la provincia come se fosse soltanto un luogo della realtà e non un luogo anche della memoria. Ci sono scrittori che si sono definiti nell’ascoltare il passaggio appunto di quel quotidiano senza fissare l’obiettivo sul quel tempo che non passa perché lo si respira e lo si cattura nella memoria. La memoria come simbolo. La memoria che non è l’altra faccia della realtà ma è soltanto il saper raccogliere i pezzi dei ricordi di una vita e distribuirli sulla pagina bianca.
Infatti anche Marcel Proust se letto con il metro critico dell’abbandono della realtà o del superamento dell’itinerario del quotidiano diventa, per la sua visione che dà alla memoria, uno scrittore che racconta il sentimento della provincia. Ma tutta la letteratura, quella letteratura del sensibile e del simbolo, è letteratura della provincia. Con un solo punto fermo comunque. Ed è quello di non considerare la rappresentazione dei fatti come elementi decodificatori della provincia come struttura, non solo letteraria, ma sociologica, del provincialismo. Dobbiamo partire da un presupposto preciso che è quello della differenza tra provincialismo e sentimento della provincia in letteratura perché il dato centrale non è il sociologico ma il letterario. O meglio è il poetico che trova un senso specifico nel rapporto tra scrittore e provincia. E’ un discorso abbastanza vasta ma che potrebbe essere circoscritto immediatamente proprio attraverso alcuni scrittori. Corrado Alvaro è scrittore della provincia quando ci racconta il sentimento dell’uomo e il labirinto. Di una provincia che diventa non regionalismo ma universalismo che però trova appunto nella Calabria non solo un sentire storico quando un sentire estetico. La Calabria (o il Sud) in questo caso si fa tradizione e facendosi tale resiste agli urti della realtà grazie ad un presupposto forte che è dettato dal mito. La Calabria è il mito nella riscoperta di una identità che si fa interpretazione simbolica. La poetica del mito non è la poetica del localismo che ha pure la sua importanza ma è soprattutto la trasformazione dei luoghi reali in luoghi dell’anima. Dei luoghi della contemporaneità dell’uomo che viaggiano nel recupero dei valori della tradizione appunto.
Così come accade in Vitaliano Brancati. Raccontare la provincia è raccontare spaccati di realtà che superano la comparazione con la cronaca per diventare fissazioni di immagini che vanno oltre ogni pur lievitato descrittivismo. Ma si racconta per bloccare un avvenimento. La provincia in Elio Vittorini è la malinconia che suscita il ricordo nella rievocazione dei distacchi e dei ritorni. Ma la provincia resta comunque sempre un sentimenti di appartenenza. Sono tre i concetti diversificanti. 1) Il localismo. 2) Il provincialismo. 3) L’europeismo. Ci sono, indubbiamente, ragioni storiche che, comunque, vengono superate dal sentimento dell’appartenenza che si esplicitano nella definizione dei luoghi e delle metafore. C’è ancora un’altra dimensione che si affaccia davanti a questa riflessione ed è quella del rapporto – scontro tra città e campagna.
Un dato che ha fatto molto discutere proprio in quel contesto di dibattito tra “Strapaese” e “Stracittà” ma che oggi trova una sua enucleazione letteraria senza cadere in alcuna retorica. Ma è un problema più volte posto nel corso dei decenni passati anche senza ricorrere dettagliatamente ad una polemica. Credo che il dibattito creatosi ai tempi di “Strapaese” e “Stracittà” sia stato importante per una qualificazione e una definizione tra scrittore delle piccole cose e scrittore dalle gloriose cose. Le piccole cose sono quelle che sottolineano il valore della letteratura . Cesare Pavese ha improntato tutta la sua ricerca letteraria proprio nel gioco della trasparenza tra città e campagna. E queste due categorie vengono specificate grazie alla indicazione di quella griglia simbolica che è parte funzionale ad una letteratura del ritorno. La città come disordine. La campagna come ordine. La campagna come mito e tradizione. La città come realtà del moderno. E ancora la campagna come profezia e la città come confusione. Carlo Levi poneva la questione città – campagna nella coesistenza “di due civiltà diversissime, nessuna delle quali è in grado di assimilare l’altra. Campagna e città, civiltà precristiana e civiltà non più cristiana, stanno di fronte; e finchè la seconda continuerà ad imporre alla prima la sua teocrazia statale, il dissidio continuerà”. Ma la provincia è piuttosto un sentire che un realismo senza fondo e senza sfondo. Il passato è la tradizione che sta nel quotidiano. In questi termini va letta la riscoperta di una letteratura che trova nel sentimento della provincia il suo senso e il so dire. E’ praticamente una letteratura, da questo punto di vista, antigramsciana. La provincia nella letteratura è, pur attraverso diverse interpretazioni, l’affermazione della tradizione e quindi la capacità di dare identità al passato attraverso il presente. Antonio Gramsci sosteneva che: “il passato non vive nel presente, non è elemento essenziale del presente, cioè nella storia della cultura nazionale non c’è continuità e unità. L’affermazione di una continuità e unità è solo un’affermazione retorica o ha valore di mera propaganda suggestiva, è un atto pratico che tende a creare artificialmente ciò che non esiste, non è una realtà in atto”. Si rivela un processo anticiclico e antivichiano. Elementi sostanziali in una letteratura che riscoprendo la provincia riscopre la centralità del mito, del simbolo, della metafora e dei personaggi che si intrecciano nella costruzione del narrato. I personaggi si dichiarano rappresentandosi nel destino. E non nell’ambiente o negli ambienti che sono istituzione della realtà. Gramsci uccideva il passato nel presente. La letteratura nazionale è letteratura della provincia. Perché la provincia riesce a raccogliere i valori e i significati di una identità che non si trova nella storia ma nelle eredità. Gramsci non credeva nelle eredità. Ma è appunto il radicamento che fa della letteratura della provincia una letteratura sì del viaggio ma in modo forte una letteratura del ritorno. Per alcuni che provenivano dalla scuola gramsciana o direttamente dall’impegno politico la letteratura soprattutto intesa come manifestazione di un “decoro” provinciale doveva rappresentare il risultato di un impegno solidificato nel rapporto tra politica stessa e cultura. Ma questo non si verifica e lo scrittore si allontana quando si rende conto che la politica ingabbia la cultura e in modo particolare l’espressione letteraria che è uno dei “canovacci” della creatività. Su questa strada si trovano quasi tutti gli scrittori. Rocco Scotellaro che aveva fatto del suo canto della provincia una manifestazione non solo artistica ma anche culturale tout court abbandona dopo aver dovuto accettare troppe amarezze la politica. Ignazio Silone che con Uscita di sicurezza lancia un vero e proprio monito constata l’incompatibilità tra politica e cultura e afferma lasciando l’impegno politico: “Ebbi la chiarissima percezione dell’inanità di ogni furberia, tattica, attesa, compromesso. Dopo un mese, dopo due anni mi sarei trovato da capo. Era meglio finirla per sempre. Non dovevo lasciarmi sfuggire quella nuova, provvidenziale occasione, quell’uscita di sicurezza. Non aveva più senso star lì a litigare”. E’ Carlo Levi che sostituisce alla storia il mito. La storia che la si voleva intrisa di partecipazione politica. Con la politica non si capisce il tempo, il mondo, la realtà stessa. La politica è compromesso. La letteratura non può essere compromesso. Per questo fa una scelta. E questa scelta va in direzione della riscoperta del mito. Cosa significava: “quello che si usa chiamare la Storia”? Si allontana dalla politica perché, attraverso la letteratura, quella letteratura che nasce nel sentiero della provincia e con il sentimento della provincia è una visione che richiama nei contenuti e nell’espressione il mito. E in Paura della libertà si potrà leggere: “Ogni nostra parola è intrisa di religioni spente”. Il mito e il simbolo sono elementi che scoprono nel radicamento il senso dell’appartenenza e la rivelazione delle origini delle civiltà. In fondo la letteratura è civiltà, è il saper raccogliere i tasselli delle civiltà. Quelle civiltà che si raccordano tra tradizione, mito e religiosità. Si pensi anche alla funzione che ha avuto Antonio Fogazzaro con il suo Piccolo mondo antico. Qui la provincia è vissuta come luogo reale ma in modo particolare come sentiero della nostalgia e del sentimento. Si pensi ancora ad Antonio Delfini. Si pensi a Luigi Capuana che soprattutto con le sue favole recupera quel senso ad una tradizione che il moderno aveva lacerato. La città viene immaginata come solitudine mentre la campagna è appunto il recupero del senso. C’è una coscienza storica che si lega al documento. C’è una coscienza letteraria che si lega alla lingua, all’espressione, ai valori di fondo del narrare un viaggio esistenziale. Da Fenoglio, in cui la campagna è anche documento, a Rea, in cui la provincia è recuperare i frammenti di una familiarità che può anche leggersi, in alcune occasioni, come elemento antropologico e folcloristico. Da Giovanni Verga, in cui naturalismo e verismo sono la provincia o meglio sono quella determinata provincia, ad Antonio Beltramelli in cui la Romagna viene impattata come estetismo ed provincialismo. Ma sono soltanto pochi elementi che danno comunque il senso di una letteratura che vive nella vita. Ed è dentro i segni della memoria che la letteratura continua a vivere in questo tempo che chiede riferimenti. La letteratura appunto è un processo che sottolinea identità ed eredità. Su questi aspetti ci sono processi culturali che hanno un loro senso soltanto se si superano quelle forme e quelle concettualizzazioni realistiche e neovanguardiste che hanno dominato lo scenario degli ultimi cinquant’anni. Il realismo si supera proponendo una letteratura della metafora, del mito e delle nostalgie sommerse che si ritrovano nel senso dell’appartenenza.
In conclusione. C’è una letteratura provinciale che nasce nel Sud e c’è una letteratura meridionale che cerca di proporsi con temi che hanno una visione nazionale. Il gioco culturale è tutto “costruito” sulle identità e quindi sulle appartenenze che sono da leggersi come radicamenti, come radici, come espressione di quel senso delle origini che trova proprio nel Mezzogiorno una chiave di lettura fondamentale. Indubbiamente anche la letteratura fa i conti, deve fare i conti, con una tradizione che non è solo letteraria ma anche storica. Il Carlo Levi che ha scritto il suo romanzo sulla Lucania non poteva non confrontarsi con delle realtà che erano vive anche nel pensiero di Salvemini. Il Corrado Alvaro che ha dipinto la realtà dell’Aspromonte non ha dimenticato la visione storica, non solo letteraria, di Vincenzo Padula. Letteratura e storia (o meglio: arte e storia) potrebbero costituire una chiave di lettura significativa ma il discorso, come fa Rasulo, va inquadrato in una impostazione più complessa e più generale. In Sociologia dell’arte di massa Rasulo scrive: “E se pure è vero che un’opera d’arte non può essere spiegata interamente con la situazione storica che l’ha prodotta, è innegabile che il suo valore extratemporale, più che affermarne l’autonomia, vuole indicare come in essa abbiano trovato espressione universale i motivi stessi dell’anima umana nel suo rapporto con il mondo. “Ciò dimostra che la socialità dell’arte non risiede nel contenuto (che può solo occasionalmente riguardare soggetti desunti dall’economia e dalla politica) ma nella sua intrinseca efficacia; nell’essere arte e nient’altro”. L’arte come rivelazione e non come duplicazione del reale. La letteratura si confronta costantemente con la storia. E quando il critico e storico della letteratura Petronio in una non lontana intervista parlando degli scrittori e poeti pugliesi ha sostenuto che nessuno di questi può essere antologizzabile in una antologia contemporanea fa una scelta non solo letteraria ma anche politica e storica ed estetica.