L’attacco del 7 ottobre 2023 lanciato da Hamas contro Israele ha riacceso i riflettori su una contrapposizione che va avanti da molti decenni e su cui non si riesce a trovare una soluzione.
Le ostilità tra Israele e Palestina sono radicate nel tempo, hanno generato episodi di violenza e portato nei decenni scorsi a una serie di guerre che hanno coinvolto anche altri Paesi. I motivi di questo contrasto sono molto complessi, si intrecciano a questioni religiose e, con gli anni, hanno finito per mescolarsi anche ad altri interessi. Alla base c’è però una disputa territoriale, scoppiata con la creazione dello Stato di Israele.
Da ricordare però che Hamas non è sinonimo di Palestina: si tratta di un’organizzazione religiosa islamico palestinese, di stampo paramilitare e politico, considerata un gruppo terroristico non solo da Israele ma anche dal fronte delle potenze occidentali. Quindi se è vero che Hamas ha radici palestinesi, non si può dire che tutti i Palestinesi si riconoscano nei metodi della lotta armata di Hamas
Quando si parla del conflitto israelo-palestinese, si prende spesso come “punto di partenza” la cosiddetta dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917. Quel giorno, con un testo di appena 67 parole, il governo inglese, per bocca del ministro degli Esteri Arthur Balfour, informò Lord Walter Rothschild, uno dei principali leader della comunità ebraica nel Paese, che vedeva “con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale per il popolo ebraico” e si sarebbe adoperato “per facilitare il raggiungimento di questo scopo”.
La lettera, che nascondeva anche interessi strategici, fu scritta in un periodo in cui alcuni sostenevano che gli ebrei dovessero tornare ad abitare in Terra Santa; al tempo stesso, precisava che non andava fatto nulla che pregiudicasse “i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche della Palestina, né i diritti e lo status politico degli ebrei nelle altre nazioni”. L’Assemblea generale dell’Onu, allo scopo di dare una patria a tutti gli ebrei dispersi nel mondo,
approvò un piano di partizione della Palestina. Nacque così lo Stato di Israele, che fu proclamato il 14 maggio 1948.
La costituzione di Israele fu subito messa in discussione e diversi Paesi arabi decisero di attaccare per contrastare il nuovo Stato. Nonostante Israele fosse stato creato da poco, si preparava da tempo a un conflitto e riuscì a vincerlo l’anno dopo, conquistando un territorio più ampio di quello che il piano dell’Onu gli aveva assegnato. I palestinesi commemorano ogni anno questa sconfitta nel giorno della ‘Nakba’ (catastrofe), che cade il 15 maggio. Nel 1956 Israele oltrepassò poi il confine egiziano con il sostegno di Francia e Regno Unito, facendo esplodere la cosiddetta crisi di Suez.
Nel 1967 scoppiò la Guerra dei sei giorni, un conflitto nato per ragioni simili a quelle che avevano contribuito alle tensioni del 1949 e portò Israele a conquistare altri territori, compresa la Cisgiordania. Contrariamente a quanto era successo in precedenza, la comunità internazionale non riconobbe le conquiste territoriali: Israele continuò però a controllarle, motivo per cui da allora si parla di ‘territori occupati’. Le ostilità mai sopite fecero scoppiare un nuovo conflitto nel 1973, noto come la guerra dello Yom Kippur, che vide prevalere Israele ancora una volta. In ognuno di questi conflitti, il neo Stato si era confrontato anche con l’Egitto. A partire dalla seconda metà degli anni Settanta, i rapporti tra i due Paesi iniziarono però a normalizzarsi, grazie agli accordi di Camp David.
L’Egitto divenne così il primo Paese arabo a riconoscere Israele, ma il trattato di pace non fu ben visto da tutti. Il presidente Sadat, che aveva iniziato la guerra del ’73 per riconquistare la penisola del Sinai e “ristabilire i diritti del popolo palestinese”, fu bollato come un traditore e ucciso da alcuni integralisti islamici. Il suo Paese venne poi espulso dalla Lega araba.
Né il caso dell’Egitto né gli insuccessi militari degli altri Paesi misero a tacere le rivendicazioni palestinesi che, negli anni successivi, vennero portate avanti anche da nuove realtà, come appunto Hamas, e assunsero anche la forma della lotta armata. La tensione tornò ad alzarsi a livelli preoccupanti il 9 dicembre del 1987, quando il malcontento fece esplodere la prima “intifada delle pietre” e i manifestanti iniziarono a lanciare sassi e molotov contro le forze dell’ordine israeliane.
Ufficialmente, il casus belli fu un incidente in cui un autotreno delle forze militari israeliane colpì due furgoni che trasportavano operai di Gaza a Jabaliyya, un campo profughi di 60 mila persone, uccidendo quattro palestinesi. Dietro la sommossa, si nascondeva però un crescente malcontento dovuto anche all’occupazione da parte di Israele dei territori conquistati con la guerra del 1967.
È generalmente accettato che la diaspora ebraica abbia avuto inizio intorno all’VIII-VI secolo a.C., con la conquista degli antichi regni ebraici e con la deportazione di parte delle loro popolazioni operata dagli Assiri e dai Babilonesi. Molte comunità ebraiche nel IV secolo d.C. si stabilirono poi in varie zone del Medio Oriente, in Spagna, Cina, Francia, India e crearono importanti centri di giudaismo, attivi nei secoli a venire. Le soppressioni della grande rivolta ebraica nel 70 d.C. (la prima guerra giudaica) e della rivolta di Bar Kokhba, nel 135 d.C., (La rivolta condotta da Simon Bar Kokheba – il cui nome significa “Simone Figlio della Stella” – è stata l’ultima grande sollevazione ebraica contro l’occupazione romana e si consumò tra il 132 e il 135, concludendosi con la sconfitta dei ribelli e la repressione dei rivoltosi nel sangue) contribuirono notevolmente all’espansione della diaspora. Molti ebrei furono espulsi dallo Stato della Giudea, mentre altri furono venduti come schiavi.
La Palestina ( filistea) era un territorio ottomano che con la fine della prima guerra mondiale divenne protettorato britannico, il quale avrebbe dovuto favorire l’autonomia del territorio. La Palestina era un territorio a metà tra una colonia e un territorio indipendente. Allo scoppio
della seconda guerra mondiale e l’inizio dello sterminio nazista degli ebrei inizia un movimento immigratorio, sostenuto dalla teoria sionista, di ebrei verso questa terra.
La teoria sionista: voleva uno stato indipendente per gli ebrei, ed individuava nella Palestina il luogo dove sarebbe dovuto sorgere, senza contare la popolazione che era già insediata lì.
Balfour politico inglese si dichiara favorevole all’istituzione di uno stato ebraico in Palestina. L’Occidente si sente corresponsabile di questo conflitto proprio per il consenso dato.
Durante la seconda guerra mondiale il flusso migratorio divenne più intenso. Alla fine della guerra alcuni ebrei non vollero tornare indietro, e rimasero in quella terra.
La Gran Bretagna assiste a violenze tra ebrei estremisti e palestinesi e subisce attacchi terroristici, e così chiede aiuto all’ONU, affinché venga risolta questa situazione.
Nel 1947: l’ONU propone la spartizione del territorio in due aree:
uno stato israeliano: a cui sarebbe spettato il 55% di circa 600.000 abitanti,
uno stato palestinese: a cui sarebbe spettato il 45% del territorio, con una popolazione di circa un milione di abitanti; questo stato non avrebbe goduto di continuità territoriale (Gaza e la Cisgiordania).
Lo Stato palestinese è contrario alla spartizione dell’ONU per due motivi:
la poca terra che gli è stata assegnata rispetto ai suoi abitanti e
l’esistenza dello stato di Israele.
Nel 1948: David Ben Gurion proclama unilateralmente (cioè senza un accordo con la controparte) lo stato di Israele, che viene riconosciuto dalle più grandi potenze del mondo; si scatena la guerra contro gli arabi.
L’opinione pubblica probabilmente fu influenzata dalla pubblicazione delle foto della Shoah e gli USA avevano tutto l‘interesse a riconoscere lo stato perché avrebbero avuto, in medio oriente, un alleato filoccidentale.
La nascita dello Stato di Israele provoca due tipi di conflitti:
guerra contro gli arabi: cominciata nel 1948 per la proclamazione dello stato ebraico. La guerra riguarda i confini, e viene persa dai palestinesi. Gli israeliani delineano i loro confini includendo terre non previste dall’ONU, ed occupa Gerusalemme, che per l’organizzazione internazionale sarebbe dovuta essere divisa in due parti; tensioni con gli arabi in terra di Israele: a seguito della guerra, i palestinesi si ritrovano improvvisamente in terra di Israele, e per questo cominciano a insediarsi lungo il confine dove subiscono episodi di violenza da parte degli stessi arabi (perché sono diventati profughi, e per questo sono andati anche in altre terre).
Nel 1967: una guerra durata sei giorni, a seguito della quale Israele occupa molti territori: Cisgiordania, Gaza, Golan e il Sinai. In seguito lo stato ebraico raggiunge la sua massima espansione. Mentre Golan e Sinai vengono restituiti, la Cisgiordania e Gaza no e quindi sono considerate dall’ONU terre occupate. Quando venne restituito il Sinai all’Egitto venne stipulato un patto con il quale gli egiziani riconoscono la legittimità dello stato di Israele (i primi in Africa). Il politico egiziano che firmò il patto fu ucciso da un arabo, il quale considerava vergognoso l’accordo.
Nel 1972 vengono sequestrati e poi uccisi atleti israeliani da parte degli arabi. Nel 1973 con la guerra del Kippur, i palestinesi attaccano gli ebrei, per rivendicare i territori; questa guerra viene vinta dagli israeliani e i territori rimangono per lo più invariati.
Crescono le tensioni tra i palestinesi ed ebrei in terra di Israele che sfrutta l’odio nei confronti degli arabi per poter fare degli adepti (seguaci di un’ideologia).
Si verifica l’intifada, “guerra di pietre”, cioè una sollevazione dei palestinesi contro gli israeliani (e di conseguenza contro i loro militari).
Solo recentemente è stata confermata la legittimità dello stato palestinese, il quale dovrebbe possedere la Cisgiordania e Gaza.
L’OLP il movimento per la liberazione della Palestina, il cui leader è Arafat, capo di un’organizzazione segreta, ha stetti legami con i terroristi, ma l’ONU ha bisogno di un interlocutore arabo ufficiale, e così, per poterlo diventare, Arafat si allontana, almeno pubblicamente, dalle posizioni terroriste. Negli anni ’90, gli accordi di Oslo-Washington, sanciscono che i palestinesi devono riconoscere la legittimità dello stato e devono porre fine alla lotta armata, mentre gli ebrei devono considerare legittimo lo stato palestinese, e cedere loro la Cisgiordania e Gaza.
Il rappresentante israeliano pagò con la vita l’accordo ( Il 4 novembre del 1995, alla fine di una manifestazione a sostegno degli accordi di Oslo, il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin viene ucciso da Yigal Amir, un colono ebreo estremista di destra contrario a ogni negoziato con i palestinesi).
Viene riconosciuta un’autorità palestinese per un governo, ma senza avere però uno stato.
Dal 3 gennaio 2013 l’Autorità Nazionale Palestinese ha adottato il nome di Stato di Palestina sui documenti ufficiali..
La questione palestinese oggi
Questo conflitto non ha ancora trovato una situazione di stabilità anche per i diversi governi che si susseguono e che, seguendo politiche differenti, portano a risultati che fanno progredire la situazione, o che la fanno arretrare.
L’ONU vuole accogliere nell’assemblea un rappresentante palestinese, ma Israele si rivela particolarmente contrario a questo.
Non si sa se in questo stato, l’opinione pubblica coincida con le decisioni prese dal governo, o quanto l’opposizione sia consistente. Talvolta le scelte dello stato sono state criticate per la violenza, ma talvolta considerate troppo indulgenti, e in questo caso l’opinione pubblica ha posizioni più radicali del governo.
Il 7 ottobre 2023 Hamas, il gruppo palestinese politico e paramilitare, ha iniziato l’operazione ’Alluvione al-Aqsa’, il cui intento è porre fine a quelle che definiscono violazioni israeliane.
Hamas ha attaccato Israele con missili e razzi sulle città nel Sud e nel centro del Paese. In poche ore sono stati centinaia i morti e migliaia i feriti da entrambe le parti. Israele ha poi avviato una risposta armata, giungendo ad una vera e propria crisi umanitaria per via dell’elevato numero di vittime, di feriti e di sfollati che ha provocato.
La questione israelo-palestinese rimane una delle questioni più spinose e dolorose della politica internazionale. Con la giusta visione politica e con una comprensione approfondita della storia, delle cause e delle possibili soluzioni, l’auspicio è che un giorno vicino, molto vicino, possa essere raggiunta una pace duratura per la convivenza civile dei popoli.