• 2 Luglio 2024
Itinerari

Alfredo Zazo, che non ha bisogno di presentazioni, in uno scritto del febbraio 1947 indirizzato alla Commissione sulle autonomie locali illustrò e difese le ragioni tradizionali e pratiche che erano alla base dell’esistenza della regione sannita. Lo storico, in altre parole, scriveva e parlava Per il riconoscimento della regione sannita in nome e per conto di quel Sannio che già Plinio salutò con l’appellativo di gentium fortissimarum Italiae. Sappiamo molto bene oggi – o almeno lo sa chi non vuole ingannarsi – che alla base del fallimento dello Stato italiano vi è lo sciagurato regionalismo e che nel Mezzogiorno la nascita dell’istituto regionale segna l’avvio di una nuova forma di feudalesimo. Tuttavia, l’intervento di Alfredo Zazo merita di essere riletto e considerato, sia per ragioni politiche e istituzionali sia per motivi culturali.

Alfredo Zazo iniziava con una osservazione netta ma rigorosa: la Campania ancora non c’era e il Sannio già esisteva da tempo con una sua individualità politico-territoriale. Furono, peraltro, gli stessi Sanniti nel I secolo d.C., in fondo, a designare l’ager campanus con il nome di Campania dopo aver conquistato il territorio di Capua. Una regione sannita, invece, esisteva già da svariati secoli e in una prima fase aveva come suo centro il Matese con la fondazione di quattro città  – Boviano, Isernia, Alife, Telesia –  per poi in una seconda fase estendersi su un territorio che andava dal Sangro intorno al Matese fino al fiume Ofanto e ricoprendo le attuali tre province di Campobasso, Benevento e Avellino aveva come sua naturale “capitale” la città del Sabato e del Calore. La distinzione tra Sannio e Campania è tracciata – si direbbe – sul campo e la vittoria di Roma sui Sanniti non riesce a sopraffare quel grumo di civiltà in evoluzione “se – osserva giustamente Zazo – il rude guerriero sannita lodato dal poeta latino per la sua vigorosa tempra, l’amore per i campi e le virtù familiari, fu portato ad esempio sino a noi”. Del resto, le guerre sannitiche bastano a testimoniare l’importanza che la stessa Roma attribuiva ai Sanniti che con la loro fierezza e con la loro ostinata idea di indipendenza impedivano la unificazione della penisola sotto il dominio romano.

Anche dopo la sconfitta definitiva – dopo, dunque, l’umiliazione storica delle Forche Caudine: uno dei “luoghi” più famosi della Storia anche se il luogo esatto è e resterà sempre di difficile se non impossibile identificazione – il Sannio rimase stretto a sé nei suoi confini geografici ed etnici. Al nord il Sangro, a sud l’Ofanto e i Lucani, a est l’Apulia, a ovest gli Aurunci e i Campani e il fiume Volturno: il Sannio sfiderà i secoli giungendo fino a noi. Le divisioni di Augusto prevedevano il Sannio, né il Sannio scomparve con le riforme di Costantino e ancora il Sannio è menzionato da Cassiodoro e perfino al tempo di Paolo Diacono e nemmeno il frazionamento del Principato di Benevento in quelli di Benevento, Capua e Salerno oscurò il Sannio. Saranno solo le vicende ulteriori, così ricche di cambiamenti e sviluppo politico-territoriali, a mettere in ombra il nome del Sannio che fu diviso in tre aree: Molise, Benevento con il Papato, Irpinia. Tuttavia, il “mito” sannita resiste al tempo se con l’unità d’Italia i lavori della Commissione nominata da Cavour conducono proprio alla distinzione tra Campania (Napoli, Caserta, Salerno) e Sannio (Benevento, Campobasso, Avellino). La stessa distinzione si ritrova nel governo Crispi quando si prova a metter su carta le regioni e nel 1922 l’Istituto geografico militare di Firenze mise davvero su carta geografica la regione Sannio su precisa indicazione di Bosco Lucarelli.

Alla unità storica corrisponde quella del suolo e delle genti. Il Matese, il Taburno, il Partenio e il Terminio sono i monti che insieme costituiscono e difendono il Sannio. L’Appennino sannita, con le sue alture e le sue vallate, con la vegetazione, le querce, gli ulivi, le vigne, i pascoli, i boschi, si distingue in modo naturale dalla Daunia e la Campania felix. Le genti sannite, abituate alla resistenza, conservano la vitalità, l’energia, la creatività. Insieme, geografia e storia costituiscono una individualità umana. L’antico Sannio era pastorizia e agricoltura e quando Roma volle liberarsi dell’ostacolo sannita devastò soprattutto campi e agricoltura.

Il Sannio – questa la tesi difesa da Alfredo Zazo – è, dunque, una regione naturale e va riconosciuta perché con “l’esperimento regionale che arditamente verrà ad attuarsi in un clima nazionale sconvolto dalla guerra e dal disagio economico” – traspare qui l’ironia dello storico – è necessario puntare su bisogni e interessi comuni che possano essere messi a frutto. Non era, forse, dello stesso avviso anche Federico Torre quando nel 1861 in una sua memoria a stampa presentata al Parlamento nazionale difendeva la regione sannita e invitava a non allargare i confini regionali per non cadere nel municipalismo? Zazo riprende Torre e mostra che l’unione a Napoli finirebbe per snaturare lo stesso concetto di regione e, in sostanza, muove la prima critica al cosiddetto “napolicentrismo”. Lo storico, illudendo generosamente se stesso, si diceva convinto che il riconoscimento giuridico del Sannio come regione non poteva non esserci e si spingeva fino a ricordare che lo stesso nome di Italia è legato al Sannio: Viteliu donde Italia si legge sulle monete coniate nel centro di Corfinio. I Sanniti sognarono l’unificazione del Mezzogiorno e  – è vero –  non vinsero Roma ma ne conquistarono la virtus, eppure le glorie passate non bastarono al riconoscimento della regione sannita e oggi con il fallimento del regionalismo il discorso di Alfredo Zazo ha per noi  – o dovrebbe avere per noi –  il senso dell’orgoglio o del riscatto che non passa per la creazione di enti ma attraverso la storia e la cultura e quell’operosità che è insita nel nome stesso dell’antico Sannio. Al netto, però, di ogni forma di mitologia.

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.
Itinerari

Alfredo Zazo, che non ha bisogno di presentazioni, in uno scritto del febbraio 1947 indirizzato alla Commissione sulle autonomie locali illustrò e difese le ragioni tradizionali e pratiche che erano alla base dell’esistenza della regione sannita. Lo storico, in altre parole, scriveva e parlava Per il riconoscimento della regione sannita in nome e per conto di quel Sannio che già Plinio salutò con l’appellativo di gentium fortissimarum Italiae. Sappiamo molto bene oggi – o almeno lo sa chi non vuole ingannarsi – che alla base del fallimento dello Stato italiano vi è lo sciagurato regionalismo e che nel Mezzogiorno la nascita dell’istituto regionale segna l’avvio di una nuova forma di feudalesimo. Tuttavia, l’intervento di Alfredo Zazo merita di essere riletto e considerato, sia per ragioni politiche e istituzionali sia per motivi culturali.

Alfredo Zazo iniziava con una osservazione netta ma rigorosa: la Campania ancora non c’era e il Sannio già esisteva da tempo con una sua individualità politico-territoriale. Furono, peraltro, gli stessi Sanniti nel I secolo d.C., in fondo, a designare l’ager campanus con il nome di Campania dopo aver conquistato il territorio di Capua. Una regione sannita, invece, esisteva già da svariati secoli e in una prima fase aveva come suo centro il Matese con la fondazione di quattro città  – Boviano, Isernia, Alife, Telesia –  per poi in una seconda fase estendersi su un territorio che andava dal Sangro intorno al Matese fino al fiume Ofanto e ricoprendo le attuali tre province di Campobasso, Benevento e Avellino aveva come sua naturale “capitale” la città del Sabato e del Calore. La distinzione tra Sannio e Campania è tracciata – si direbbe – sul campo e la vittoria di Roma sui Sanniti non riesce a sopraffare quel grumo di civiltà in evoluzione “se – osserva giustamente Zazo – il rude guerriero sannita lodato dal poeta latino per la sua vigorosa tempra, l’amore per i campi e le virtù familiari, fu portato ad esempio sino a noi”. Del resto, le guerre sannitiche bastano a testimoniare l’importanza che la stessa Roma attribuiva ai Sanniti che con la loro fierezza e con la loro ostinata idea di indipendenza impedivano la unificazione della penisola sotto il dominio romano.

Anche dopo la sconfitta definitiva – dopo, dunque, l’umiliazione storica delle Forche Caudine: uno dei “luoghi” più famosi della Storia anche se il luogo esatto è e resterà sempre di difficile se non impossibile identificazione – il Sannio rimase stretto a sé nei suoi confini geografici ed etnici. Al nord il Sangro, a sud l’Ofanto e i Lucani, a est l’Apulia, a ovest gli Aurunci e i Campani e il fiume Volturno: il Sannio sfiderà i secoli giungendo fino a noi. Le divisioni di Augusto prevedevano il Sannio, né il Sannio scomparve con le riforme di Costantino e ancora il Sannio è menzionato da Cassiodoro e perfino al tempo di Paolo Diacono e nemmeno il frazionamento del Principato di Benevento in quelli di Benevento, Capua e Salerno oscurò il Sannio. Saranno solo le vicende ulteriori, così ricche di cambiamenti e sviluppo politico-territoriali, a mettere in ombra il nome del Sannio che fu diviso in tre aree: Molise, Benevento con il Papato, Irpinia. Tuttavia, il “mito” sannita resiste al tempo se con l’unità d’Italia i lavori della Commissione nominata da Cavour conducono proprio alla distinzione tra Campania (Napoli, Caserta, Salerno) e Sannio (Benevento, Campobasso, Avellino). La stessa distinzione si ritrova nel governo Crispi quando si prova a metter su carta le regioni e nel 1922 l’Istituto geografico militare di Firenze mise davvero su carta geografica la regione Sannio su precisa indicazione di Bosco Lucarelli.

Alla unità storica corrisponde quella del suolo e delle genti. Il Matese, il Taburno, il Partenio e il Terminio sono i monti che insieme costituiscono e difendono il Sannio. L’Appennino sannita, con le sue alture e le sue vallate, con la vegetazione, le querce, gli ulivi, le vigne, i pascoli, i boschi, si distingue in modo naturale dalla Daunia e la Campania felix. Le genti sannite, abituate alla resistenza, conservano la vitalità, l’energia, la creatività. Insieme, geografia e storia costituiscono una individualità umana. L’antico Sannio era pastorizia e agricoltura e quando Roma volle liberarsi dell’ostacolo sannita devastò soprattutto campi e agricoltura.

Il Sannio – questa la tesi difesa da Alfredo Zazo – è, dunque, una regione naturale e va riconosciuta perché con “l’esperimento regionale che arditamente verrà ad attuarsi in un clima nazionale sconvolto dalla guerra e dal disagio economico” – traspare qui l’ironia dello storico – è necessario puntare su bisogni e interessi comuni che possano essere messi a frutto. Non era, forse, dello stesso avviso anche Federico Torre quando nel 1861 in una sua memoria a stampa presentata al Parlamento nazionale difendeva la regione sannita e invitava a non allargare i confini regionali per non cadere nel municipalismo? Zazo riprende Torre e mostra che l’unione a Napoli finirebbe per snaturare lo stesso concetto di regione e, in sostanza, muove la prima critica al cosiddetto “napolicentrismo”. Lo storico, illudendo generosamente se stesso, si diceva convinto che il riconoscimento giuridico del Sannio come regione non poteva non esserci e si spingeva fino a ricordare che lo stesso nome di Italia è legato al Sannio: Viteliu donde Italia si legge sulle monete coniate nel centro di Corfinio. I Sanniti sognarono l’unificazione del Mezzogiorno e  – è vero –  non vinsero Roma ma ne conquistarono la virtus, eppure le glorie passate non bastarono al riconoscimento della regione sannita e oggi con il fallimento del regionalismo il discorso di Alfredo Zazo ha per noi  – o dovrebbe avere per noi –  il senso dell’orgoglio o del riscatto che non passa per la creazione di enti ma attraverso la storia e la cultura e quell’operosità che è insita nel nome stesso dell’antico Sannio. Al netto, però, di ogni forma di mitologia.

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.