Eugenia Roccella è ministro della Famiglia, alla quale nel recente Salone del libro non è stato consentito di parlare da una banda di stalinisti e femministe, in passato ha ricoperto il ruolo di sottosegretario al Welfare e alla Salute e in un ulteriore passato è stata leader del Movimento di liberazione della donna e ha partecipato alle battaglie radicali degli anni Settanta.
Il breve profilo biografico di questa politica e femminista sarebbe incompleto se non si dicesse che Eugenia Roccella – Geni – è una scrittrice. Il suo ultimo libro è Una famiglia radicale (Rubbettino) e reca in copertina la dicitura “romanzo” anche se meglio gli si addice la definizione di “memorie” che, però, pagina dopo pagina diventano, ecco il punto, un particolare romanzo di formazione. Il titolo è ambivalente perché ha un doppio significato: la famiglia radicale di cui si racconta la storia è, insieme, tanto la sua famiglia quanto i radicali – ossia quelli che, per capirci, sono identificati semplicemente con la figura carismatica di Marco Pannella e che, invece, avevano al loro interno molte anime e figure.
Ma per Eugenia Roccella, per la scrittrice più che per il politico, la famiglia radicale è proprio la sua famiglia, quella di papà Franco, che con Mario Pannunzio e Pannella fonda il partito radicale, e di mamma Wanda, pittrice, cantante, femminista.
La famiglia è radicale perché è estrema, perché c’è e non c’è, perché Franco e Wanda si amano e si vogliono bene ma non riescono proprio a metter su una famiglia normale (sempre ammesso che a questo mondo esista una famiglia normale – e lo dico non per parto intellettuale ma per esperienza di vita) e così Eugenia, che è l’io narrante del romanzo, alla tenerissima età di sei mesi si ritrova a vivere a Riesi, in Sicilia, in casa dei nonni, con la zia Sarina che le fa da mamma.
L’infanzia siciliana e il rapporto con il nonno le daranno un’impronta che con il tempo verrà alla luce e le permetterà di lasciare la famiglia radicale, ma quella politica e non l’altra di Franco e Wanda: “Franco in fondo aveva visto giusto – scrive verso la fine del romanzo –, ero la nipote di mio nonno, credevo come lui, che la vita fosse la costruzione della coscienza, davo il mio amore per sempre, e per sempre lo volevo”.
Ma le figure che dominano il romanzo sono quelle di Franco e Wanda (tanto che il titolo poteva essere anche questo: “Storia di Franco e Wanda”). La dolcezza dei ricordi della figlia, che non giudica come un dio cattivo ma come un padre buono, è la parte migliore del libro che racconta gli affetti, gli errori e le generosità dei genitori con un gusto per le cose umane che consente al lettore di ritrovarsi in una comunione di effetti e difetti che non tarderà a far propria.