
Fausto Gianfranceschi fa parte della ristretta pattuglia di intellettuali che animarono, con il loro apporto originale, la cultura non conforme a muovere dal secondo dopoguerra. Uomo colto, erudito,animato da un non comune coraggio esistenziale. Lo ho conosciuto negli ultimi anni della sua vita e me ne rammarico, benché avessi letto e molto apprezzato, al momento del nostro incontro, i suoi libri. Era stato colpito da un mio scritto dedicato all’analisi del nichilismo, comparso sulla rivista di Sandro Giovannini «Letteratura-Tradizione». Giano Accame fece da intermediario tra noi e mi fissò un appuntamento con Gianfranceschi. Andai a trovarlo nel suo appartamento, era il 2008. Per il Settimo Sigillo era da poco uscita la mia monografia dedicata a Carlo Michelstaedter. Mi ricevette nel suo studio, parlammo a lungo del mio saggio ma, soprattutto, della sua formazione intellettuale e spirituale, della sua frequentazione di Evola e della sua successiva opzione di fede cattolica.Compresi che l’uomo Gianfranceschi incarnava esemplarmente il mondo ideale cui aveva aderito.
In questi giorni, la rilettura della nuova edizione di un suo bellissimo volume, L’amore paterno, comparso nel catalogo Iduna, mi ha definitivamente persuaso della veridicità dell’impressione di allora (per ordini: associazione.iduna@gmil.com, pp. 127, euro 12,00). Il libro è preceduto dall’introduzione di Gianfranco de Turris, nella quale è rievocata, in tono nostalgico e appassionato, la loro amicizia. De Turris, inoltre, ricostruisce organicamente l’iter intellettuale e professionale di Gianfranceschi. Il libro del quale parliamo è prezioso, aureo, un inno alla vita, scritto per celebrare ciò che, per la cultura dominante è tabù, l’amore paterno. Le sue pagine narrano, in una descrizionesostenuta da una prosa affabulatoria da cui traligna in ogni parola, la gioia che Fausto visse in occasione della nascita della figlia Michela. L’autore si intrattiene, in particolare, sui rapporti instaurati con la bimba nei primi tre anni della sua vita. Sappia il lettore che, in quel frangente, lo scrittore aveva cinquant’anni e da poco aveva perso, a causa di un tragico incidente stradale, ilfiglio Giovanni, poco più che ventenne. L’elaborazione di questo terribile lutto, il confronto con l’ineluttabilità della morte, erano stati messi a tema da Gianfranceschi nel volume, Svelare la morte.
La nascita di Michela fu, per Fausto, un ritorno alla vita, un riconciliarsi con la sua positività e la sua meraviglia: «Riflettendomi nell’aura di mia figlia neonata […] ho visto che leggevo nel libro dell’uomo cominciando dallo stato giusto: quando è intonso, non quando è consunto e riscritto tanto male» (p. 10). Viviamo nelle mefitiche nubi create dal sistema della menzogna, in un mondo centrato sulla degradazione del piacere perseguita dall’utopismo, che vorrebbe emendare, correggere la natura e la vita. Il risultato cui si è giunti lungo questa via, è un mondo tanatocratico, nel quale la memoria, personale e comunitaria, è obliata. Per la qualcosa, rileva lo scrittore: «Tutto, oggi, ha bisogno di essere riscoperto nella sua semplicità ed evidenza» (p. 11) e l’accoglienza amorevole, calda e partecipe di un figlio riconduce alla semplicità, all’innocenza pura dei bambini. Lo seppe Hofmannsthal, ricorda Gianfranceschi, che scrisse: «Solo gli artisti e i bambini vedono la vita così com’è […] Sono gli unici in grado di concepire la vita come totalità» (p. 5). Nel venire al mondo di un figlio è da vedersi: «la nascita dalla quale ricomincia sempre la storia dell’uomo nella perenne fedeltà all’archetipo e nell’innumerabile varietà di destino» (p. 11). Si tratta della continua ri-creazione del mondo nel tradere, nella trasmissione della vitae del sapere di padre in figlio.
Se per l’adolescente il padre incarna l’esempio, la Legge, per il bambino l’amore paterno si mostra allo stato puro, carico di sorgiva freschezza. Lo scrittore rievoca le prime cure prestate a Michela, ricorda il suo primo vagito, il cingerla tra le braccia quale germoglio di vita, il suo discorrere con lei nel silenzio: «I figli fanno crescere. Quale meraviglia assistere al melodico risveglio della tua anima neonata» (p. 21), afferma Gianfranceschi. In tale contesto, l’affermarsi della Parola in Michela assume per il padre senso di evento cosmico: «La vita fluisce in te anche dalle parole che ti danno posto nel mondo» (p. 28). L’alimentazione dell’infante non è mero bisogno biologico, ma atto che lo unisce alle radici della realtà, di cui i bambini sono ornamento e lode. In forza della loro sensibilità totalizzante, la casa, luogo degli affetti, è templum, ha valenza sacra, così come le persone che la abitano. Tutto ciò è negato dalla cultura barbara che ci attornia, che vorrebbe ridurre l’uomo a puro istinto, ad animalità. L’intuizione fantastica del mondo di Michela, è prova che il cuore sente, percepisce e parla.
Il bambino si rispecchia, si scopre nella propria natura più intima, nel dare e ricevere amore: «principio permanente di vita» (p. 46). La paura della bimba chiarisce come la vita sia effimera, solo i bambini sanno confrontarsi serenamente con i mostri della fiabe: hanno consapevolezza che il male è inscritto nello stesso bene e consente di conoscerlo per antitesi. In ogni bambino vige il sentimento poetico del mondo, che molti adulti dimenticano. Lo si evince dallo stupore di Michelaper il bello, per le immagine che tanto l’attraevano nei libri d’arte, per la meraviglia dei giardini, colta durante le passeggiate a Villa Pamphili. In questi luoghi, stante la lezione di Rosario Assunto, pensatore ricordato da Gianfranceschi, Prometeo e Orfeo sono conciliati, l’agire dell’uomo è sintonico a quello che fa mostra di sé nella manifestazione naturale: i loro viali illuminati dal sole conducono in uno spazio-tempo carico di atmosfera, magico. Lo scrittore si rivolge alla figlia con queste parole: «Se sono tuo padre, e se sono un padre vero, non posso chiudere gli occhi davanti all’evidenza che ogni destino […] si forma nel legame con atri destini» (p. 125), innanzitutto nella famiglia.
L’amore paterno, ne abbia contezza il lettore, non è semplicemente testimonianza del sentimento di un padre per la figlia, è libro antimoderno che guarda a un futuro libero dalle miserie riduzioniste del presente: un encomio commosso al sempre della vita.