• 8 Settembre 2024
Cultura

Qualcuno li chiama reazionari, altri conservatori, mi riferisco ai vari Monaldo Leopardi, Principe di Canosa, Clemente Solaro della Margarita, a pensatori rispettabili come Antonio Rosmini, Taparelli D’Azeglio. L’azione di questi reazionari, risulta un argomento poco studiato dalla storiografia nazionale. Ho appena letto un saggio abbastanza approfondito e impegnativo che da tempo dovevo leggere: Italia reazionaria. Uomini e idee dell’antirisorgimento”, (Bruno Mondadori, 2017) l’autore è Nicola Del Corno, docente di “Storia delle Dottrine Politiche” e “Storia del pensiero politico contemporaneo”, presso la facoltà di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Milano. Il testo è di 256 pagine ma scritte con la grafia piccola, composto di dieci capitoli. Nell’introduzione cita diversi nomi di studiosi che più o meno hanno studiato questi pensatori, definiti reazionari e tutti vissuti nell’Ottocento.  

Tra gli autori che hanno cercato di rivalutare i pensatori che hanno operato nello schieramento controrivoluzionario e reazionario, Del Corno cita Silvio Vitale, che ha ripubblicato la famosaEpistola del Canosa contro Pietro Colletta”. Francesco Leoni, con la sua Storia della Controrivoluzione in Italia (1789-1859)”. In Italia i pensatori controrivoluzionari dell’800, sono stati accostati sempre alle parole, reazione, tradizione e conservazione, concetti intrinsecamente ‘cattivi’, è bastato mettere queste etichette addosso ai vari De Maistre, Donoso Cortes per essere collocati fuori dalla storia. Sono stati collocati, fuori dalla storia aggiogati al carro perdente e sepolti negli angoli più riposti delle biblioteche”; eppure per Del Corno, questi uomini che lui cerca di presentare furono portatori di istanze di valore universale. Secondo Isabella Rauti, il movimento reazionario italiano fu ricco di idee”, e se non riuscì a diventare protagonista nel dibattito pubblico, la colpa è di quei sovrani che non riuscirono a capire l’importanza del loro ruolo politico. Infine merita un riferimento gli studi di Angela Pellicciari, che fin dal suo L’Altro Risorgimento”, ha colto il lavoro devastante dei Poteri forti, dell’internazionale liberale di derivazione protestante e massonica, nell’attacco al Papato e a tutti i Regni preunitari. Tuttavia nell’introduzione Del Corno sostiene che i nostri reazionari o conservatori, a livello dottrinale non possono essere paragonati ai vari conservatori di alto spessore, come Burke, De Maistre, Bonald, Haller, Donoso Cortes.

La prima figura esaminata dal professore della Statale è quella di monsignor Paolo Vergani, è il 1° capitolo, (tra Illuminismo, Rivoluzione francese e Restaurazione). Fu assessore alle finanze e al commercio nello Stato pontificio. Non posso dilungarmi nella descrizione di queste figure, peraltro molti di loro, cancellati sistematicamente dalla storia ufficiale. Il professore ne fa un’adeguata descrizione citando diverse opere.  

Il 2° capitolo affronta La Restaurazione secondo il principe di Canosa.Un dispotismo vigoroso ed estremamente attivo”. Più che un teorico, il napoletano Antonio Capece Minutolo, noto come il principe di Canosa, si considerava un politico in senso stretto, ossia un uomo di Stato, un uomo d’azione. Per due volte fu titolare del ministero di polizia del regno delle Due Sicilie, negli anni 1817 e 1821. Incarichi che per lui non furono per niente esperienze gratificanti, fu rimosso dopo breve tempo perché il suo programma, la sua linea di azione era inconciliabile con quella di Luigi de’ Medici, primo ministro del governo napoletano, che sostanzialmente si ispirava alle nuove tendenze politiche scaturite dal Congresso di Vienna, in cui Canosa non poteva assolutamente riconoscersi. Canosa era critico nei confronti di Medici perché era sceso a compromessi con i napoleonidi e i murattiani. Canosa non si accontentò neanche della restaurazione  borbonica di Ferdinando, che non aveva fatto quella epurazione degli elementi eversivi da lui auspicata. Fu una restaurazione incompiuta, soprattutto perché si premiarono i settari, i malvagi, i ribelli e i regicidi, questo fu il programma della restaurazione. Certamente Canosa aveva una visione politica, del mondo, dualistica e manichea. Per cui la storia del passato veniva divisa rigidamente in buoni e cattivi. Il principe napoletano intendeva opporsi alla Rivoluzione con una milizia popolare lealista, una specie di società segreta, disciplinata e protetta dallo Stato. Il progetto di creare una base armata nel basso popolo al servizio del trono rimase comunque un’idea del Canosa, che pragmaticamente comprendeva quanto fosse importante salvare ‘i lupi dal gregge’”. Tuttavia il Canosa raccomandava di usare il minimum della forza e il maximum della filosofia”. Anche perché creare martiri rendono i rivoluzionari più pericolosi. Canosa aveva capito che per combattere efficacemente la Rivoluzione era necessario coordinarsi, occorreva fare una sorta di internazionale vandeana, una lega reazionaria tra gli esponenti della “buona causa”, da opporre alla marea montante del liberalismo e della democrazia. Non si trattava assolutamente di riproporre l’ancien regime, spazzato via dall’esperienza rivoluzionaria. Per il Canosa il Papa doveva essere il punto di riferimento, la guida spirituale della cristianità, una concezione ripresa dal Du Pape di De Maistre. Anche lui riteneva fondamentale l’alleanza tra il Trono e l’Altare, nei suoi scritti amava atteggiarsi a paladino della cristianità secondo modelli medievali; appariva spesso disposto ad incrociare le armi contro chiunque osasse offendere o mettere in discussione i fondamenti delle fede cattolica […]”. Il Canosa sentiva da cristiano il dovere di impegnarsi nella buona battaglia per la fede come un novello e orgoglioso crociato. La Chiesa doveva tornare con più decisione ad assumere anche funzioni sociali, soprattutto nel campo pedagogico. Un sicuro modello di restaurazione politica e sociale per il Canosa era la Spagna cattolica e guerriera, la Spagna controriformista di Filippo II, quella della guerra d’indipendenza antifrancese. Canosa auspicava, secondo l’insegnamento di De Maistre, non una rivoluzione contraria, ma il contrario della rivoluzione.

Il 3° capitolo “La polemica anticostituzionale in Monaldo Leopardi”.

Il padre del più celebre figlio, chiuso anche lui nella sua Recanati, i suoi studi furono chiari e sintetici, nell’esporre le sue “certezze” sulla società. Non fu artefice di meditazioni originali, ma utilizzò tesi propagandistiche e combattive, riprese dai libri della sua fornita biblioteca. Sono presenti quasi tutti i classici della politica da Machiavelli , Bodin, Suarez, Rousseau a De Maistre. Polemizzò con chi nella società vede soli diritti. Nella Sacra Scrittura non si parla di diritti, bensì di doveri,i libri santi sono un codice di leggi e non un diploma di privilegi”. La dottrina dei diritti promulgata dalla filosofia, ha seminato il disordine e la strage sopra tutta la terra; il riferimento è evidente alla Rivoluzione francese. “Il popolo non deve quindi cercare le sue garanzie in astratte costituzioni, scritte a tavolino dalla imperfetta mano umana – ‘nei deliri della filosofia’”. Leopardi consiglia ai sovrani di ascoltare le assemblee, magari ristretta di sudditi, sono una sorta di contrappeso all’invadenza ministeriale. Consultare non solo quelli che vivono nella capitale, ma anche chi abita nelle province, in modo di poter conoscere realmente tutte le esigenze della nazione. Lasciare degli spazi di autonomia ai propri sudditi, soprattutto quelli che riguardano l’autogoverno comunale. Il recanatese critica alcuni aspetti del sistema rappresentativo, delle elezioni, del Parlamento,luogo dove il frenetico accavallarsi di voci, opinioni, interessi, litigi impedisce ogni possibilità di prendere serenamente le decisioni opportune per il bene pubblico”.

4° capitolo, “Un’apocalisse controrivoluzionaria. La fine del mondo dell’abate Antonio Riccardi”. Anche questo un illustre sconosciuto. Per affrontare questo reazionario bergamasco il Del Corno si sofferma sull’azione politica di questi personaggi, del loro titanico sforzo controrivoluzionario che spesso si risolveva nel più totale fallimento, peraltro senza ricevere neanche il sostegno da parte delle autorità legittimiste. I governi restaurati non avevano alcuna intenzione di acconsentire al progetto reazionario conservatore che mirava a cancellare totalmente l’ultimo mezzo secolo di storia”, preferivano concedere spazi, politici e amministrativi, seppure parziali ai liberali. I reazionari italiani erano convinti che le provvisorie restaurazioni legittimiste,non fossero abbastanza forti, non solo politicamente e istituzionalmente, ma anche e soprattutto culturalmente, per fronteggiare in maniera concreta e definitiva il ripetersi di nuovi tentativi insurrezionali”. Praticamente i conservatori italiani ritenevano che le autorità governative avevano dato troppo spazio alla seducente propaganda sovversiva dei liberali, considerati gli epigoni di quel furioso spirito antiautoritario e miscredente che prima con la Riforma, poi con l’illuminismo e la Rivoluzione francese, ora con il liberalismo, metteva continuamente a repentaglio la naturale e secolare stabilità europea […]. Il mondo reazionario dell’epoca oscillava tra un pessimismo culturale e politico di fondo a un ottimismo strumentale. In questa ambiguità operava l’abate Antonio Riccardi con i suoi scritti pedagogici e morali. Riccardi aveva scritto nel 1839 un apocalittico opuscolo dal significativo titolo, La fine del mondo”. Una analisi della realtà politica e sociale abbastanza pessimistica, che si basava su una profezia, cosiddetta di Orval, un testo del 1544 che riguardava la Rivoluzione francese, Napoleone etc..

Il 5° capitolo dedicato ad Antonio Bresciani, romanziere antirisorgimentale.

Un padre gesuita che aveva capito l’importanza dei romanzi e di conseguenza delle “eroine” di questi romanzi, nel diffondere la Rivoluzione, soprattutto fra le donne e i ragazzi, considerate due categorie particolarmente esposte al rischio di questa nuova strategia rivoluzionaria. Per questo il Bresciani propose attraverso la rivista La Civiltà Cattolica”, di pubblicare buoni romanzi per contrastare quelli rivoluzionari. Dal 1850 al 1862 Bresciani propose a puntate sulla rivista una serie di romanzi storici, destinati a riscuotere un discreto successo. Per quanto riguarda la storia dell’Italia il Bresciani si impegnò nel rivalutare il Medioevo. Ha capito dell’importanza di lavorare nella cultura per cercare di contrastare il mondo delle settario e rivoluzionario che aveva conquistato i giornali ed anche le università.

Il Saggio contro il socialismo di Emiliano Avogadro della Motta, è la figura descritta nel 6° capitolo. Se prima del 1848 l’avversario da demonizzare per il mondo ultra conservatore era rappresentato dal giacobino e massone, dopo il ’48 fu il socialista e il comunista. Questo l’avevano capito sia Carlo Maria Curci, Antonio Rosmini, e poi il padre redentorista Luciano Liberatore, che presentava il socialismo comeun catastrofico castigo mandato da Dio per punire quei popoli che più si resero ribelli alle prescrizioni della Chiesa cattolica e al potere assoluto e divino dei legittimi sovrani”. Ma anche la “Civiltà Cattolica” e soprattutto “L’Armonia della religione colla civiltà” di Giacomo Margotti, metteva in guardia i lettori dal socialismo, che voleva l’Italia rossa di sangue, seminata di teste, sparsa di cadaveri”. Tuttavia dello scontro finale tra cattolicesimo e socialismo costituiva l’ossatura del lavoro del vercellese Emiliano Avogadro della Motta, Il Saggio intorno al socialismo e alle dottrine e tendenze socialistiche”, uscito nel 1851, che riecheggiava in qualche modo anche nel titolo l’Ensayo sobre el catolicismo, el liberalismo y el socialismo, di Juan Donoso Cortes. Il testo di Della Motta è un poderoso volume quasi mille pagine, dove si prospetta il socialismo come l’ultimo anello della catena delle grandi ribellioni all’ordine stabilito iniziata con la Riforma. Il saggio fu accolto con grande favore nel mondo ultra conservatore, in particolare da La Civiltà Cattolica e da Clemente Solaro della Margarita, leader reazionario del momento. Tra i vari studiosi che si sono occupati di Avogadro della Motta, il Del Corno, invita a prendere in considerazione i lavori di Giuseppe Bonvegna,La personalità e l’opera filosofica-politica di un pensatore cattolico dell’Ottocento: Emiliano Avogadro della Motta”, in “Annali di storia moderna e contemporanea”, IX (2003), pp. 583-600; Il rapporto tra fede e ragione in Avogadro della Motta”, “Sensus communis”, IV (2003), pp. 19-36. Avogadro nelle sue opere arrivò a difendere il potere temporale del papa, con la pubblicazione di due opuscoli. Nel primo il conte affermava chein Italia non si sarebbe potuti arrivare ad una confederazione di Stati, e tantomeno  all’unità di un unico Stato, esistendo storicamente insuperabili differenze di ogni tipo fra Stato e Stato, sia soprattutto che i possedimenti temporali del papa, stabiliti dalla Provvidenza, erano indispensabili per la sua  sovranità spirituale, oltreché garanzia d’indipendenza e libertà per l’intera penisola”. Nel secondo opuscolo, Avogadro era convinto che Roma non sarebbe mai diventata capitale del regno italiano, dal momento che i suoi abitanti non ne avevano nessuna voglia, per cui apparivaquantomeno assurdo elevare a tale ruolo una città che poco o nulla aveva avuto a che fare con la creazione e la formazione dello Stato italiano”.

Anche il pensatore cattolico di Vercelli, pur avendo avuto un ruolo di primo piano come parlamentare dal 1853 al 1856 e come esponente dello schieramenti antiliberale e antiunitario non ha mai goduto di troppa attenzione da parte della storiografia. Della Motta era convinto che per contrastare le idee socialiste serviva una articolata opera di informazione politica e culturale, rivolta ai diversi settori della società. Serviva una sorta di controrivoluzione scientifico-culturale, attraverso i capisaldi della dottrina cattolica. Ristabilendo innanzitutto la verità del linguaggio. Era convinto che il socialismo nasceva da tre negazioni: il protestantesimo, l’illuminismo e infine l’idealismo. Socialismo e comunismo per Avogadro andavano considerati come i due estremi di un identico sistema. Tuttavia, era convinto che il socialismo non doveva essere sottovalutato dagli uomini di Stato, di Chiesa, di cultura, così come dai semplici cittadini. Era necessario combatterlo soprattutto dal punto di vista intellettuale. Anche Avogadro era convinto che c’era in atto uno scontro radicale fra il mondo cattolico e la Rivoluzione socialista. Proprio per le sue vaste dimensioni ideologiche, non ammetteva compromessi, pertanto Avogadro, respingeva la posizione di tanti moderati, i quali ‘onesti, ma ciechi, melensi, inerti, troppo vergognosamente aggirati da piccolo numero di ipocriti’, si ostinavano nel perseguire un programma laico, ispirato a rendere ‘l’Italia meno che si possa papistica’”.

Il 7° capitolo tratta di Milano antirisorgimentale. Il giornale ‘La Bilancia’, diretto dal ticinese Angelo Somazzi. Sia il giornale che il suo direttore totalmente sconosciuti per la storiografia ufficiale. Eppure La Bilancia usciva tre volte alla settimana, ed è stato pubblicato per ben otto anni. Il primo numero è uscito il 5 novembre 1850, da subito qualificato come il più acceso e manifesto sostenitore della reazionaria politica asburgica post-quarantottesca. Per Somazzi, si poteva, anzi si doveva, essere buoni italiani unicamente restando fedeli all’autorità dei diversi sovrani, legittimati dal tempo, dalla consuetudine e dal magistero pontificio, senza inseguire insicure “grandezze, sul tipo dell’antica grandezza pagana”. Il giornale di Somazzi criticò spesso la politica del piccolo Piemonte, lo Stato Sabaudo e la sua disastrosa economia. Il giornale criticava Cavour, denunciava l’Inghilterra che muoveva tutte le rivoluzioni in corso in Europa. Per l’Italia auspicava una Confederazione di Stati a scopo difensivo, per il giornale l’unità del Paese, esisteva già,nella religione e nell’idioma”. Auspicava che i preti, lottassero con le loro armi morali, educative e sociali, contro la Rivoluzione, senza dichiararsi super partes. Occorreva ritornare alla militanza controrivoluzionaria, perché lo scontro era in atto da tempo, tra l’Ordine e la Rivoluzione. Bisognava scegliere con chi stare, l’indifferenza non era sostenibile, diventava colpevolezza.

L’8° capitolo si occupa delle “Patrie reazionarie”. Significativa in questo capitolo il riferimento al grande gesuita e filosofo Luigi Taparelli d’Azeglio, fratello del più celebre Massimo d’Azeglio. Per il gesuita non era necessaria l’indipendenza per essere una nazione, c’era piuttosto bisogno di un ordine stabilito in modo che la popolazione potesse prosperare nella sicurezza e tranquillità, anche se il governo poteva provenire da oltre confine”. Taparelli considerava importante per il popolo italiano appartenere ad una grande nazione cattolica, qualunque fossero i suoi confini. Per il nostro Paese è meglio mantenere robuste le sue tradizioni religiose, invece di cedere al demone rivoluzionario e alle parole d’ordine indipendentiste in voga in quel momento, il nostro paese si sarebbe assicurato di far parte di una più vasta ‘società’ internazionale […]”.Anche per questo pensatore Del Corno rimanda per approfondire ad altri studiosi, tra cui il già citato Giuseppe Bonvegna, Luigi Taparelli D’Azeglio e la questione della nazionalità”, in “Annali Italiani”, II (2003), n.3, pp.23-29.

Il 9° capitolo, La setta e i complotti. Un’ossessione controrivoluzionaria”. Del Corno qui per descrivere il fenomeno del complottismo, della cospirazione, cita due libri, l’opuscolo del conte Ferrand, Le Conspirateures femasques, che ha individuato le cause che portarono allo scoppio della Rivoluzione francese. E poi la ponderosa opera del gesuita Augustin Barruel, Memoires pour servir a l’histoire du Jacobinisme”. L’opera di Barruel divenne un best seller della controrivoluzione e immediatamente tradotta in diverse lingue. Anche in Italia il mito della macchinazione trovò terreno fertile, tra i vari esponenti della reazione.

L’ultimo capitolo è dedicato alla Romagna reazionaria, e ad una “Milizia” più o meno controrivoluzionaria: Il caso dei Centurioni. Una milizia irregolare che ha operato nelle regioni dello Stato Pontificio, per combattere il settarismo dei liberali e dei massoni, a metà strada fra la setta segreta e la formazione parmilitare di polizia. Mi fermo, l’argomento meriterebbe ulteriori approfondimenti, ma non posso abusare della vostra attenzione.

Autore

Nato a RODI MILICI (ME) nel 1955 è stato insegnante di Scuola Primaria nel messinese jonico e nell’hinterland Milanese. Militante di Alleanza Cattolica da lungo tempo. Appassionato cultore di storia, studioso e ricercatore possiede una biblioteca di 2100 volumi.Fin da giovane è stato protagonista animatore e redattore del periodico IL CAMPANILE, della Parrocchia "S. Bartolomeo" di Rodì negli anni 1972-74. Collabora con diversi giornali online, tra questi Il Corriere del Sud, Imgpress.it, Ilsudonline.it, Culturelite.it, Destra.it, Il Cattolico.it, Corrierejonico.it, Civico20news.it. Inoltre collabora con Sugarcoedizioni e EdizioniCantagalli per lo studio e le recensioni di libri. Da 1991 al 2000 ha collaborato con Raj Stereo Sound di S. Alessio (ME) conducendo e animando trasmissioni quotidiane socio-culturali e politiche, ha curato rassegne stampa cartacee collaborando con l'associazione "Tradizione Ambiente e Turismo" Da qualche anno cura un blog personale online di studio e di ricerca