• 15 Gennaio 2025
Editoriale

Viviamo ormai in un’economia di guerra, ma nell’immaginario collettivo e sociale, sfugge all’attenzione, non della politica economica, consapevole, di poter essere in una visione predittiva dove si colgono i segnali più evidenti.

Perché le guerre, disorientano le scelte economiche, rimodulando la visione di lungo periodo sminuendone le aspettative di profitto, infatti disorganizzano e riorientano la produzione, focalizzando le decisioni, su un’offerta necessaria, mai ad ampio raggio, e tutto ciò rimescola i disavanzi commerciali provocando in un’economia globale,inflazione, sia essa di stampo energetico o speculativo.

Ovviamente una guerra non nasce senza costi a carico della comunità, e per lo più è pagata dal debito pubblico e dalla sua reale monetizzazione.

Il costo maggiore è l’estrema riduzione della libertà, democratica, in termini di commercializzazione e di circolazione dei beni e delle genti, pertanto, in una guerra la più estrema il controllo dei prezzi viene repentinamente represso attraverso il razionamento, per poter sopprimere l’impennata dell’inflazione, fino ad un possibile ritorno di una pace duratura e conveniente.

Una delle conseguenze economiche più probabili, che poneuna sfida reale è la deflazione, possiamo dire a riguardo che la vittoria dell’Ucraina sarà inutile dal punto di vista economico,finanziario oltre che geopolitico.

Come si sta prospettando la situazione, la Nato o per meglio dire la sola Europa dovrà sostenere i costi di una guerra necessaria per difendere i confini geografici e geopolitici,alimentata da una visione superficiale delle strategie correlatealle volontà dell’aggressore.

Il coinvolgimento europeo, non è sostenibile o opinabile in un quadro generale complesso, e sebbene finora il sostegno all’Ucraina sembrasse un evento inevitabile, diviene sempre meno sicuro con uno stravolgimento dell’asset politico statunitense e gli Stati membri, non potranno evitare di richiamare alle armi i propri cittadini. Ciò vale anche per l’Italia i uno scenario prospettabile senza possibilità di rifiuto.

In un’esplorazione economica della teoria della gratuità, con comportamenti ovvi in scenari di guerra precostituiti, gesti altruistici, come la ricostruzione dopo le ceneri di un conflitto, nascono dal cosiddetto potere del gioco del dittatore, “dictatorgame” dove il dittatore nel gioco delle parti o chi ha ildominio in questo caso bellico dell’Ucraina è “l’Europa”, che interagisce con la prima per spartirsi la risorsa, in termini monetari e strutturali della ricostruzione. Un costo beneficio, rilevante il cui valore sarà profittevole, e la massimizzazione del gioco nelle rispettive parti sembra che si produca attraverso un’offerta pari a zero, ma in realtà le somme donate in condizioni di bisogno hanno un ritorno notevole. Quindi,secondo questa visione economica di recente analisi, il tutto fa pensare ad una strategia del soggetto dominante già precostituita, non gratuita sicuramente profittevole. Un cinismo di altri tempi, che si può camuffare solo in una economia bellica, dove il numero dei morti e proporzionale ai guadagni e agli utili che verranno. Tuttavia la pace non è un eufemismo e va costruita anche con la difesa più acerrima, non lontana da uno scenario senza eguali di una popolazione smarita e confusa sul suo futuro.

Questo assunto scenario di guerra, non appartiene alla vita reale delle popolazioni coinvolte involontariamente in Europaed ignare a decisioni lontane dalla loro portata.

Secondo una visione economica transdisciplinare, psicologica e antropologica, non sarà facile indurre il popolo europeo a comprendere quanto illustrato, e quanto dovrà subire per l’effetto catastrofico della guerra in un vero conflitto.

La storia ci induce aprioristicamente a riflettere sulle guerre, ma anche l’economia in scenari ipotetici e sperimentali pone quesiti di riflessione, perché un terzo conflitto mondiale non sarà avulso da una tecnologia avanzata a cui non siamo preparati, a prescindere dall’uso o meno dell’atomica e delle sue conseguenze apocalittiche.

“La complessità motivazionale” secondo Elinor Ostrom, politologa ed economista statunitense, insignita del Premio Nobel, genera delle motivazioni complesse che hanno un peso ponderato sulla teoria degli incentivi, e sull’analisi della governance in particolare in fasi di crisi, influendo sulle risorse comuni. Quindi traslando in termini semplici, la complessità emotiva di una guerra genera crisi anche e soprattutto sulla disponibilità delle risorse comuni. Pertanto l’uso delle risorse esauribili, può e deve essere razionale e si può prevenire l’esaurimento della risorsa anche senza l’intervento dello Stato. Certamente ciò diviene necessarionell’ambito di una economia di guerra.

Per esempio, sembra improbabile in uno scenario bellico dove  per effetto domino l’Italia venisse coinvolta, le Camere dovrebbero dichiarare uno stato di guerra e dare i poteri al governo in carica, che dovrebbe fare una immediata chiamata alle armi delle forze armate presenti sul nostro territorio, poi coinvolgere gli ex militari, nonché i civili, anche sel’impreparazione tattica dei civili è evidente con armi innovative.

Ciò, non è uno costo da non considerare, e insieme alla perdita delle libertà costituzionali, vi sarebbero ingenti perdite di vite a stretto giro senza esclusione di sorta e di possibili mediazioni, motivazionali.      

L’economia, sovrana, di ogni Stato membro incorrerebbe, ad un calo fisiologico per effetto non solo della riduzione della gente in età produttiva, impiegata nel conflitto, pari in termini monetari a 70 miliardi di euro circa, il costo scenderebbe a 17 miliardi solo per effetto degli arruolabili, e a 3 miliardi se fossero solo giovani. Una stima di considerevole dimensione, che lascia pensare a scenari, discendenti in un’economia già precaria. Ergo, ciò si può evitare, con scelte complesse e motivate che inducono ad un economia di pace. 

Ormai le tensioni economiche tra la Russia e le economie occidentali, hanno creato una pressione notevole sugli assetmondiali, e sui loro prezzi, per la mancanza di gas e in particolare su tutte le risorse strategiche energetiche nel lungo periodo, paventando non solo disagio e nuovi scenari di vita reale, alla ricerca di energie alternative a consumi ridotti, che per ora sono in una dimensione di mercato probabilista. Ma la delocalizzazione delle aziende occidentali, sta creando delle disfunzioni occupazionali, e una chiara divisione del mercato globale a blocchi, tra mercati asiatici e non, molte aziende costrette a fuggire dalla Russia, ma anche da mercati come la Cina, si trovano in condizioni di riconversione e inducono a ricercare una nuova competitività, nuove strategie energetiche, e nuove offerte in alternativa. La nuova versione internazionale sul Rapporto dell’economia del Mediterraneo (Mediterraneon Economies) ME24 sta pensando ad una nuova visione dell’economia nel Mediterraneo al fine di prevenire scenari critici irreversibili. Ma ciò che fa paura al di là di ogni cognizione Keynesiana, è la crisi industriale e in particolare automotiva.

Questa incertezza, derivante da una crisi bellica, riduce gli stimoli agli investimenti, diminuendo il rapporto investimenti /Pil in quasi tutto il mediterraneo, e rimodulando la sopravvivenza delle piccole medie imprese, artigianali, commerciali e agricole, un mercato in netto calo , e con esso il potere di acquisto delle famiglie, che devono ripensare il quotidiano sotto forma di sacrifici e rinunce non solo al consumo, ma verso una alimentazione meno ricca, la povertà media è in fatti in crescita.

Ora se ciò è solo l’inizio di un conflitto destinato ad un’escalation, le disuguaglianze di reddito aumenteranno, e sarà difficile promuovere una crescita paritetica e coesa in tutta Europa.

Il tempo in scenari di guerra non funge o dipende solo da istanze economiche, ma resta sospeso in un tempo immobile, dove la vita non scorre e non ha talvolta nemmeno sviluppi emotivi o affettivi ma solo tragedie. I reportage di guerra parlano chiaro, e diventano un memoriale di caduti, di fotografie di soldati mai più tornati dal fronte, di esseri umani, donne e bambini straziati nel corpo e nell’anima, tra macerie di città cadute e di tempi funesti, questi sono un carosello triste di immagini, comunicate a mezzo stampa e on line, e le preghiere non bastano, sotto le indifferenze economiche di chi strategicamente governa il futuro dei popoli.

Ciò non è semplice retorica ma realtà, la verità della guerra, e viverla sarà ancora più crudele che raccontarla, i pazienti si profilano non solo tra i feriti da arma, ma oncologici, pediatrici, bambini amputati, feriti, dilaniati, dalla gratuità di una geopolitica di confine, e non dimentichiamo i nati prematuri di donne che non hanno potuto fortuitamente o fortunatamente abbandonare il campo di battaglia.

Parliamo di 5800 casi del genere in Ucraina, uno scenario possibilista anche altrove se l’escalation ci sarà nel resto dell’Europa, causati da 1336 attacchi alle infrastrutture sanitarie. 8000 sfollati e nascosti nei seminterrati di fortuna, dopo 4000 allarmi aerei, la guerra è paura, sofferenza devastazione della salute mentale, annientamento dell’essere e della sua identità, minacciata ovunque, in casa propria, fuori. La guerra è distruzione delle certezze, non è solo economia, geopolitica, difesa, giacché l’economia non ha morale, e non nasce dall’amore verso il prossimo ma dalla possibilità di capitalizzare ricostruendo una nazione distrutta, nell’animo,nella dignità grazie anche al consenso della sua governance.

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.