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Il 39,4% sono in Italia gli adolescenti “lupi solitari”, una percentuale considerevole che non può non destare preoccupazioni. Questo “branco” conduce una vita appartata dal resto dei coetanei e più complessivamente dalla società. Ragazzi che rifiutano relazioni interpersonali, non sanno neppure cosa significhi vivere in comunità, estranei perfino agli stessi familiari si limitano ad andare a scuola per un obbligo imposto altrimenti ne farebbero a meno. Non vengono neppure sfiorati dall’idea di abbracciare una causa o di appassionarsi collettivamente ad un progetto. Tre anni fa tale singolare specie di “estranei al mondo” ammontava al 15%, cifra già di per sé considerevole, ma che in un così breve lasso di tempo sia più che raddoppiata dovrebbe preoccupare anche il futuro di questa popolazione adolescenziale che invece di diminuire aumenta con conseguenze prevedibilmente disastrose ai fini dell’inserimento nella società civile.
Di fronte ad un problema di tal genere c’è da chiedersi come mai le autorità preposte alla vigilanza sulla popolazione giovanile, a cominciare da un Ministero della Gioventù fantasmatico, gli operatori culturali, gli educatori siano stati tanto assenti nel considerare questi “lupi solitari” le cui uniche ragioni di vita sono quelle di vivere in permanente connessione con i social senza mai sentire il bisogno di guardare in faccia nessuno.
Fa specie che perfino i ministeri della Pubblica Istruzione e della Sanità si disinteressino di questa “patologia diffusa che dilagando non può che acuire malessere tra le nuove generazioni disinteressate a tutto e viventi come atomi privi di relazioni stabili anche in vista della costruzione del loro stesso avvenire a cominciare dalla socializzazione “creativa” al matrimonio o almeno da qualche altra forma di unione.
Tale patologia non si riscontra soltanto nel nostro Paese, ma sta radicandosi in tutto il mondo industriale avanzato. Preoccupa non poco, per esempio in Giappone dove i dati sono più preoccupanti di quelli italiani e viene chiamato hikikomori e preoccupa, da quanto apprendiamo, le famiglie nelle quali i figli “isolati dal mondo” vivono una vita assente dal contesto sociale, sviluppando una sorta di repulsione nei confronti dei loro stessi coetanei e del mondo circostante, anche di quello più “vicino”.
In Italia la preoccupante sindrome di hikikomori , ha informato il “Corriere della sera”, è stata analizzata dall’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del CNR in collaborazione con l’Istat: i risultati sono stati pubblicati da “Scientific Reports”, basati su una indagine condotta su studenti di due scuole superiori e su campioni rappresentativi nazionali formati da 3.273 e da 4.288 adolescenti dell’età di 14/19 anni.
Sempre il quotidiano milanese ha pure evidenziato che la ricerca “mostra anche che causa covid, dal 2019 al 2022 sono drasticamente aumentati i giovani che si limitano a frequentare solo la scuola; e che è significativamente diminuita l’abitudine a trascorrere il tempo libero faccia a faccia con gli amici. Dopo la pandemia, infatti, gli hikikomori sono passati dal 5,6% del 2019 al 9,7% del 2022.” Dati che fanno rabbrividire.
L’abitudine a stare in compagnia, si fa per dire, con i sistemi più moderni e sofisticati a cui restano attaccati per quasi tutto il tempo libero, salvo la frequentazione scolastica, fa degli adolescenti “lupi solitari” in piena regola nelle cui abitudini è proibito addentrarsi anche da parte dei familiari e senza controllo, anche i più giovani elaborano una “cultura” del distacco che psichicamente non fa bene a loro, ma fa male anche alla società circostante con tutte le conseguenza perfino fisiche che può provocare.
L’uomo è un animale socievole, privarlo della vera connessione con gli altri suoi simili è un’aberrazione dagli esiti preoccupanti. Se il primo gradino della socialità è la famiglia, il secondo è senza alcun dubbio il luogo (a cominciare dalla scuola) di aggregazione costituito dalla frequentazione dei propri simili. Perciò bisognerebbe provvedere ad educare all’uso dei sistemi di comunicazione piuttosto che considerarli dei passatempo non più che giocattoli. Della memoria elettronica non resta niente; di quella umana, fatta di intimità e di relazioni, resta la vita vissuta con la consapevolezza che nasce dal confronto.