• 21 Novembre 2024

Ritratto in piedi di Eduard Savenko, in arte Limonov (da “limonka”, la granata sovietica della Seconda Guerra Mondiale): scrittore, politico, agitatore, guerrigliero russo interpretato dall’inglese Ben Whishaw. Dal lavoro in fabbrica ai primi contatti con i gruppi di poeti russi, dall’abbandono della prima moglie (Anna Rubinstein) per la quale non prova niente all’infatuazione per la vistosa Yelena Shchapova, “socialite” che lo segue in una vita di stenti a New York, la metropoli in cui Limonov diventa prima senzatetto poi maggiordomo. Vagheggia rivoluzioni, cuce jeans su misura, si droga e si congiunge a clochard afroamericani, scampa alla fame improvvisandosi maggiordomo, raggiunge l’affermazione letteraria, aggredisce chi lo contraddice e dà a chiunque del complice di qualsiasi regime, ammira Stalin e Lou Reed, Mussolini e i Sex Pistols, detesta Brodskij e Solzenicyn, si definisce “comunista indipendente”, non riesce a intendersi con i genitori, fonda partiti politici e movimenti paramilitari. Il tutto raccontato con stile aggressivo, montaggio frenetico, didascalie a tutto campo, musica rock ad alto volume, scene pornografiche e accessi di violenza, monologhi deliranti.

Tratto dalla biografia romanzata (Limonov, edita in Italia da Adelphi) che è forse il libro più noto del francese Emmanuel Carrère (il quale in un cameo incontra Whishaw/Limonov).

Ossessionato da se stesso (unico soggetto dei suoi stessi romanzi), cattivo, vorace, volgare, violento, perennemente esagitato: il Limonov interpretato dall’ottimo Whishaw (già interprete d’un poeta: John Keats in Bright Star di Jane Campion, livida cronaca del carteggio fra il romantico londinese spentosi a Roma, e Fanny Brawne) è raccontato con adeguata grinta dal dissidente russo Kirill Serebrennikov, che al film conferisce un’impronta molto personale nonostante non sia l’autore originale.

Il progetto di Limonov: the Ballad risale addirittura al 2013, quando Rai Cinema e Wildside acquisirono i diritti sul romanzo di Carrère, per farne dirigere l’adattamento da Saverio Costanzo; il quale però rinunciò, avendo perso interesse per il soggetto. Quattro anni dopo l’idea del film fu recuperata da un cineasta polacco e uno britannico, Pawel Pawlikowski e Ben Hopkins, che scrissero la bozza della sceneggiatura; mantenuta e ampliata dallo stesso Serebrennikov dopo la rinuncia del collega Pawlikowski a dirigere il film, data la sua scarsa simpatia per il protagonista. Soltanto nel gennaio 2022 sono cominciate le riprese, funestate dalla persecuzione giudiziaria e politica di Serebrennikov, e miracolosamente terminate (lo stesso regista era ormai convinto di non poter terminare il film) a settembre; a maggio 2024 il film – coproduzione italo-franco-spagnola – è stato presentato (in concorso, ma senza ricevere premi) a Cannes.

Limonov è un film coraggioso, sia per il tema – guerrafondaio, aggressivo, estraneo a qualsiasi forma di pudore, fondatore del Partito Nazional Bolscevico, Limonov non è stato un personaggio comodo: ne è estrema conferma la ritrosia dei due primi registi designati, Costanzo e Pawlikowski, a dirigerne il “biopic” – sia per la forma: Limonov aggredisce lo spettatore come il suo protagonista faceva con gli interlocutori. La sceneggiatura ha la stessa voce di Eduard Savenko alias “Eddie” Limonov: offensiva, sofferente, isterica; le scene sono nevrotiche come il feroce protagonista, ed è clamorosa la mimesi di Whishaw, sinora noto soprattutto come il timido e patetico Q col torace da ballerina classica dei film di 007 con protagonista Daniel Craig (che nostalgia di Desmond Llewelyn, il curvo travet che da sotto il suo riporto ripeteva pedantemente e pazientemente a Connery, Lazenby, Moore, Dalton e Brosnan di “riconsegnare intatto l’equipaggiamento”), che qui invece si trasforma: fisico secco e nervoso, espressione famelica, sguardo di brace; e nelle scene della maturità diventa davvero identico al suo personaggio.

Non mancano alcune soluzioni premurose, che si traducono però in lacune gravi: mancano infatti l’adolescenza da teppista e, passaggio tanto difficile quanto fondamentale, la partecipazione di Limonov alla guerra di Jugoslavia, in sostegno a Milosevic e Karadzic; così come il supporto delle sue milizie al movimento indipendentista del Donbass. Abbastanza imbarazzante che Putin (del quale Limonov è stato oppositore, salvo poi approvarne la politica estera e addirittura partecipare ai prodromi della guerra con l’Ucraina, sino alla morte per tumore nel 2020) non sia menzionato per nome, ma in un dialogo ci si riferisca a lui come “un nuovo politico”. Limonov: the Ballad resta uno sgradevole, originale, grande film.