• 21 Novembre 2024
Di https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/reference_maps/pdf/middle_east.pdf, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=32817
Geopolitica

Colpisce alquanto che dall’inizio del conflitto Hamas-Israele, le prese decise di posizione da parte dei paesi musulmani del Vicino e Medio Oriente siano in realtà mancate. Nell’area, popolazioni a parte di fatto totalmente schierate a favore della Palestina, i vari governi hanno detto molto poco. Non che siano mancate totalmente espressioni di disapprovazione, ma forse ci si sarebbe aspettato più marcati segnali. Ad esempio la Giordania aveva spinto per la de-escalation regionale, arrivando a criticare più volte la condotta israeliana a Gaza, da mesi però il paese è scosso da proteste che chiedono alle autorità misure più drastiche, come la rottura dei rapporti diplomatici con Israele e il ritiro dall’accordo di pace del 1994. In un contesto in cui la linea tra la politica estera e quella interna rimane sfumata, la monarchia e il governo si trovano costretti a destreggiarsi tra i cardini della propria politica estera(  tra cui gli stretti rapporti con gli Stati Uniti) e le domande incessanti delle proprie piazze, che rischiano di minare i già complicati rapporti tra lo stato giordano e i suoi cittadini. Non molto differente è la posizione dell’Egitto che aveva dichiarato a Maggio “Allo stato attuale, non ci sono piani per sospendere le relazioni o sconfessare Camp David” riferendosi alle richieste di parte della popolazione in merito agli accordi che hanno portato al trattato di pace del 1979 tra i due Paesi. Mentre dall’Arabia Saudita e dagli Stati arabi si cerca con fatica di far passare alla popolazione il discorso strategico per cui bisogna avvicinarsi ad Israele, o perlomeno in questa fase così delicata bilanciare in qualche modo i rapporti, pur di contenere la Repubblica Islamica dell’Iran. Di fatto timori e obiettività giungono proprio dalla penisola arabica, dove i rapporti tra le monarchie e le popolazioni sono rigide e non certo costituzionali e dove l’espressione popolare non solo conta poco ma le proteste difficilmente riescono ad avere un seguito di “piazza”importante. Mentre altri paesi musulmani dell’area si barcamenano con “piccoli” proclami, ma lasciando qualche spazio di protesta di piazza, di fatto i paesi della penisola arabica non dichiarano effettivamente dove sia il problema di “schierarsi” con più decisione alla causa palestinese. Ma il problema è politicamente conosciuto e chiaro: l’Egitto ha la necessità di seguire in qualche modo le decisioni statunitensi, da esso riceve 1,3 miliardi di dollari all’anno di aiuti militari oltre ai prestiti del fondo monetario internazionale fondamentali per la tenuta del paese. I SAud (la monarchia dell’Arabia Saudita) ha vissuto fin dal 1979 la costante dell’espansionismo iraniano il quale aveva tra gli obiettivi ideologici il rovesciamento della dinastia dei Saud e la conquista delle città di Mecca e Medina. Oltretutto militarmente l’Arabia si è indirettamente scontrata con l’Iran attraverso il conflitto con gli Huti dello Yemen, e dopo dieci anni di conflitto e di continui attacchi militari che le hanno creato non pochi danni economici, ha da poco stabilizzato i rapporti e trovato una tranquillità anche sociale e sembra non avere alcuna intenzione a ritrovarsi in periodi destabilizzanti per il paese ma soprattutto per la monarchia. Gli Emirati Arabi Uniti hanno interrotto i rapporti diplomatici ad Aprile ma solo perché 7 operatori emiratini erano deceduti a seguito di una incursione israeliana su Gaza.

Contemporaneamente nonostante le difficoltà intrinseche legate al conflitto, i capi delle forze armate di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Giordania hanno tenuto in un incontro con il capo di Stato maggiore delle forze armate israeliane in Bahrein, dove hanno discusso le prospettive di una cooperazione regionale congiunta. Ma il discorso è ancora più ampio di quanto possa apparire a primo colpo d’occhio perché oltre agli aiuti USA centrati su sicurezza e difesa vi è anche una parte più ampia che include commercio, tecnologie e investimenti, ma soprattutto accordi relativi al nucleare civile a partire dal 2030, in funzione di investimenti che vadano a compensare ma soprattutto a diversificare in futuro ed a lungo termine i cambiamenti relativi all’uso dei prodotti petroliferi, e ciò interessa ovviamente tutti i paesi della penisola arabica. Poi si aggiunge non ultima, la volontà di regolarizzare i rapporti con  l’Iran il quale anche se resta uno scomodo vicino, sembra sempre più propenso a ricucire i rapporti, se non altro in una prospettiva futura di non isolamento economico con i propri vicini  

Pare comunque decisa la volontà per i Paesi arabi di continuare a seguire il sentiero già tracciato con gli Stati Uniti nei mesi precedenti il 7 ottobre 2023 e contemporaneamente bilanciare i rapporti con Teheran anche nell’attuale prospettiva, certamente difficoltosa. D’altronde lo dimostra proprio l’attacco di Hamas descritto anche come una vittoria dell’Iran, in quanto ha ritardato si l’intesa tra i Paesi arabi e Israele, pur senza affossarla del tutto. Di certo ciò dimostra che alle giuste proteste delle popolazioni dei rispettivi paesi, governi e monarchie guardano agli interessi dei propri paesi e forse con un poco di malizia si può anche affermare che “Pecunia non Olet” anche in presenza di una vera e propria azione di sterminio, come definita dal tribunale internazionale dell’Aja e dall’ONU….i morti possono anche aspettare.

Autore

Figlio della migrazione italiana degli anni 60 del XX° secolo, nato in Gran Bretagna e tuttora cittadino britannico a voler ricordare il mio essere nato migrante ed ancora oggi migrante (Interno). Sono laureato in Lettere (Università di Roma “La Sapienza) ad indirizzo Archeologico-Preistorico per la precisione in Etnografia Preistorica dell’Africa, un Master di primo livello in “Interculturale per il Welfare, le migrazioni e la salute” ed uno di secondo livello in “Relazioni internazionali e studi strategici”. Sono Docente a contratto di Demoetnoantropologia presso l’Università di Parma e consulente per il Ministero della Cultura in ambito Demoetnoantropologico. Mi occupo di relazioni con le comunità di diversa cultura del territorio di Parma e Reggio Emilia scrivo di analisi geopolitiche e curo una rubrica (Mondo invisibile) sul disagio sociale. Nel tempo libero da decenni mi occupo di ricerca antropologica, archeologica e storica del territorio della mia terra, della terra delle mie radici, Gioia Sannitica. Collaboro con diverse realtà divulgative e scientifiche on line (archeomedia.net- paesenews.it-Geopolitica.info-lantidiplomatico.it) creo eventi culturali, cercando sempre di dare risalto alla mia terra non intesa solo come Gioia Sannitica ma di quella Media Valle del Volturno, che fu il Regno Normanno di Rainulfo II Drengot.