• 15 Aprile 2025
Economia

L’agricoltura è da sempre considerata uno dei fiori all’occhiello dell’economia nostro paese. Conoscenze millenarie continuamente aggiornate e clima mite fanno infatti sì che la nostra penisola riesca a produrre cibi che il mondo intero apprezza e richiede. Tuttavia, la bellezza dei campi che adornano il nostro paesaggio e il prestigio dei prodotti che esportiamo in tutto il mondo sono nascondono una realtà durissima. É la realtà dello sfruttamento dei braccianti agricoli, in particolare quelli extracomunitari, fenomeno talmente diffuso da essere ignorato; perché spesso e paradossalmente, più un fenomeno é comune e diffuso, più diventa consuetudine, e più le persone si abituano a cose a cui non dovrebbero abituarsi. Alla luce di ciò, la denuncia di queste condizioni di vita e lavoro diviene ancor di più una necessità urgente, per contrastare il perdurare di un vero e proprio sistema di “schiavitù moderna”.

In Italia, la manodopera agricola è principalmente composta da migranti asiatici o africani. Il loro apporto é fondamentale alla sopravvivenza di molte delle più importanti filiere agricole del nostro paese; effettivamente il loro impiego nel lavoro della terra potrebbe essere un ottimo modo per promuovere l’integrazione, ingrossando peraltro le fila dei lavoratori di un settore fondamentale e dal futuro ancora promettente. Il problema è che spesso questi lavoratori sono costretti a vivere in condizioni disumane per svolgere le loro mansioni.

Volendo suffragare quanto detto con alcuni dati che meglio spieghino la situazione, prenderemo in considerazione il report  dell’associazione “Medici per i Diritti Umani” (MEDU). I dati evidenziano che nel 2020 oltre 200.000 lavoratori agricoli in Italia erano impiegati in condizioni di lavoro precarie o addirittura illegali. Analizzando le peculiarità legate ai casi di extracomunitari, potremmo notare come il 40% di quelli che lavorano nel settore agricolo siano impiegati in condizioni di “lavoro nero”, e dunque senza tutela di alcun genere.

Particolari sono le figure dei caporali, intermediari illegali che gestiscono la forza lavoro (dei legali “gestori delle risorse umane”), perpetuando in prima persona un sistema del lavoro completamente abusivo, e di cui MEDA si é frequentemente occupata; infatti, uno degli aspetti più drammatici della condizione dei braccianti extracomunitari è proprio la loro dipendenza dalle figure dei caporali. Per delle persone che non conoscono la lingua e la geografia del nuovo paese in cui si trovano, e che  pertanto vivono ed operano in una condizione di isolamento, i caporali possono sembrare delle figure franche, intermediari tra loro e la possibilità di lavorare. Ma gestendo in maniera illecita il reclutamento dei lavoratori, sono fra i primi responsabili del loro sfruttamento. Inutile dire che chi osa ribellarsi viene messo in condizione di non poter più accedere ad altre opportunità di lavoro.

In Italia, il caporalato, benché perseguito, non è stato ancora estirpato dalla realtà agricola, e nonostante alcuni passi avanti nel contrasto a questa piaga sociale, la sua presenza è ancora una costante; anzi, nel 2023, si è registrato un aumento preoccupante dei casi di caporalato e sfruttamento: stando ai dati di “Oxfam Italia”, in alcune zone della Puglia e della Calabria, il numero di braccianti sfruttati è aumentato del 20% rispetto agli anni precedenti.

E sono molte le testimonianze rilasciate da vittime o ex vittime di sfruttamento; il quadro che ne esce é quasi post apocalittico: molti braccianti vivono in vere e proprie baraccopoli (la più famosa é forse quella di Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia), in condizioni igieniche pessime. Inutile dire che i salari sono bassissimi: parliamo di casi di lavoro a cottimo con un compenso di 3/4 euro per un cassone da 375 chili di prodotto con turni di anche 15 ore al giorno. Non solo. Come se non bastasse i lavoratori sotto caporale devono pagare a questi ultimi il trasporto dal punto di reclutamento al campo (mediamente 5 euro) e anche eventuali beni di prima necessità (acqua, cibo). Nei casi più gravi di sfruttamento analizzati, alcuni lavoratori migranti percepivano un salario di 1 euro l’ora.

É poi da considerare il fenomeno delle morti sul lavoro che, seppur non frequentemente riportate, non sono un fenomeno così raro. Sicuramente il caso più famoso é quello di Satnam Singh, un bracciante agricolo indiano di 31 anni che nel giugno 2024 é stato gravemente ferito in un incidente sul lavoro nei campi dell’Agro Pontino. Un macchinario gli ha tranciato il braccio destro e causato gravi lesioni alle gambe. Invece di ricevere immediati soccorsi, è stato abbandonato davanti alla sua abitazione, per poi morire dopo poco a causa delle lesioni e del ritardo nei soccorsi.

Ma non si pensi che il quadro non abbia alcune speranze: sono nate nel tempo iniziative di solidarietà che hanno portato all’emergere di una coscienza collettiva tra lavoratori e società civile. Un esempio di questo processo è la “Rete dei braccianti”, che da anni lavora sul campo per sensibilizzare l’opinione pubblica e combattere lo sfruttamento promuovendo la legalità. Il miglioramento delle condizioni di lavoro per i braccianti agricoli è anche un obiettivo delle principali organizzazioni sindacali italiane.

Nonostante questo, il futuro della questione si rivela difficoltoso; il problema é infatti, oltre che di carattere meramente legislativo, culturale. Come accennato già, accettiamo come consuetudine il fenomeno dello sfruttamento agricolo , e anche per questo l’azione di cittadini e istituzioni é ancora troppo blanda. Ma é indubbio che la condizione dei braccianti agricoli extracomunitari sia una macchia nera per l’Italia, che si perpetua e che ha bisogno di essere rimossa. La sensibilizzazione sul tema a tutti i livelli  potrebbe forse essere la chiave per rimuovere il “cortocircuito culturale” che permettere il ripetersi di questo triste fenomeno.

Autore

Alessandro Ebreo è nato ad Avellino il 30 agosto del 2007. Frequenta il Liceo Classico "Rinaldo d'Aquino" di Montella e il corso di pianoforte al conservatorio "Domenico Cimarosa" di Avellino, esibendosi, in varie occasioni, in ambito accademico. Nel 2023, esordisce come cantante nell'opera lirica "Il barbiere di Siviglia" con l' Orchestra Filarmonica di Benevento. In ambito letterario, un suo componimento poetico, dal titolo "Sacrificio", è stato pubblicato, nel 2023, dalla casa editrice "Delta 3 edizioni", nella raccolta "Parole di legalità". Nel 2024, è risultato secondo classificato al "Premio Ginestra" con un elaborato sul tema della violenza di genere, dal titolo "Il posto che mi spetta".