• 21 Novembre 2024
Editoriale

Parafrasando il famoso libro di Wystan Hugh Auden si può dire: la verità, vi prego, sull’ospedale di Sant’Agata dei Goti. Da tempo, infatti, intorno alle sorti – già decise – dell’ospedale santagatese si sviluppa un dibattito che oscilla tra buona volontà e velleità. E cosa può essere più utile a un dibattito della verità? Nulla. Anche quando è antipatica? Anche quando è antipatica. E, allora, diciamola con grande scandalo di tutti.

L’ospedale di Sant’Agata dei Goti non esiste più né storicamente né amministrativamente. L’ospedale che c’era a Sant’Agata dei Goti una volta era tutt’altra cosa. Era un ospedale civico dalla storia secolare che, però, non va confuso con l’ospedale statale nato con il Sistema sanitario nazionale. E’, questa, una differenza sostanziale che va tenuta ben presente perché potrebbe essere utile per rifondare a Sant’Agata dei Goti un nuovo ospedale. L’ospedale santagatese nacque addirittura al tempo delle crociate e aveva un nome preciso: Ospedale San Giovanni di Dio. Chi finanziava questo ospedale? I santagatesi. Chi lo amministrava? I santagatesi. E’ sempre stato così. L’ospedale santagatese ha sempre avuto una sua tradizione civica e all’ingresso della struttura, a fianco della chiesa dell’Annunziata da cui nacque – anzi, nacque prima l’ospedale e poi la chiesa – vi era la grande “testata”: Ospedale Civico. Così era anche durante l’Italia liberale, l’Italia fascista, l’Italia repubblicana. Erano i santagatesi a finanziare e amministrare l’ospedale che aveva un suo statuto autonomo riconosciuto dal governo Depretis. Questo ospedale cessa di esistere quando nasce il Sistema sanitario nazionale con le Usl poi Asl. Si conserva il nome ma non l’autonomia e nasce l’ospedale statale (quella che è chiamata “sanità pubblica”).

La storia statale dell’ospedale San Giovanni di Dio è sempre stata sul chi va là. Siccome chi scrive – ahimè – ha una certa età, può ben dire che il San Giovanni di Dio come struttura ospedaliera statale è sempre stato poco bene e c’è sempre stato bisogno di difenderne l’esistenza. Il passaggio dall’edificio del Largo dell’Annunziata alla struttura della frazione San Pietro è un’altra tappa della stessa storia statale del San Giovanni di Dio. La quale, però, s’incontra con la storia dell’ospedale di Cerreto Sannita, il Maria delle Grazie. L’idea era semplice e – almeno sulla carta – vincente: da due ospedali malandati che rischiano di scomparire è bene, unendo le forze, ricavarne uno più grande e più nuovo che possa vivere e servire un’area più vasta. Purtroppo, però, siamo dove siamo e non sempre 1 + 1 fa 2 e, nel caso in ispecie, fa 0. Dal San Giovanni di Dio e dal Maria delle Grazie è nato un mostriciattolo: l’Alfonso Maria de Liguori che ha, sì, un bel nome ma giusto quello e nulla più. Come si vede, è una storia antipatica ma se si vuole costruire qualcosa di nuovo è necessario riconoscerla e accettarla perché è una storia che parla di noi, della nostra terra, delle nostre amministrazioni, delle nostre istituzioni, dei nostri medici, dei nostri infermieri, dei nostri silenzi, delle nostre amicizie, delle nostre noncuranze e di una classe dirigente fallimentare. La fusione tra gli ospedali di Sant’Agata e di Cerreto non doveva fallire. Questo è un punto capitale: le responsabilità della fine dell’ospedale di Sant’Agata dei Goti non sono sulla luna e nemmeno a Santa Lucia. Sono qua. La verità va accettata, altrimenti c’è solo auto-inganno.

Dopo l’aborto del de Liguori inizia una nuova fase per la storia statale dell’ex ospedale di Sant’Agata dei Goti ed è una storia drammatica perché la vicenda, a causa dell’aborto, entra di fatto e di diritto in liquidazione in una generale sanità regionale commissariata. E’ bene stendere un velo pietoso sulle questioni interne al Pd – il partito che governava contemporaneamente a Napoli, a Benevento e a Sant’Agata – e giungere ad oggi e oggi la situazione è che il de Liguori è un padiglione periferico dell’azienda ospedaliera San Pio di Benevento. Piaccia o no, questa è la situazione: è finita anche la storia amministrativa dell’ex ospedale di Sant’Agata dei Goti. O si tiene presente questa fine o non si va da nessuna parte. Questo deve essere chiaro a tutti. La guerra dei poveri e tra i poveri – quella, per capirci, contro l’amministrazione comunale che è del tutto estranea ai fatti – è da evitare perché invereconda. Dunque, che fare? Non esistono scorciatoie. Una storia finita può solo rinascere con nuove forze morali, politiche ed economiche. Ci sono?

L’attuale struttura del de Liguori, appesa per un filo al famoso e sempre evocato decreto 41, deve per forza di cose incontrare una nuova politica. Una regionale e una locale. I territori, se ritengono che l’ospedale valga la pena della battaglia civile, devono unirsi e far valere la loro forza elettorale – comunque piccola – per modificare la sanità territoriale concepita e voluta dal Pd e da De Luca. Altra via non c’è. Ma siccome la storia ha il suo peso e il suo significato, vale la pena riconsiderare la secolare storia civica dell’ospedale di Sant’Agata dei Goti. Si potrebbe iniziare con il valutare il recupero della vecchia struttura per farla nuova e iniziare una nuova storia che recuperi autonomia, amministrazione, finanze.

Tutto questo presuppone una nuova classe dirigente che conosca un po’ di storia e senta un po’ di amore. La strada è lunga, lo so; ma le scorciatoie conducono a Martorano.

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.