
Il sorpasso dei Brics sulla redistribuzione del Pil mondiale a parità di potere di acquisto nei confronti dell’Europa spinge sicuramente a ripensare l’economia finanziaria, non solo per mantenere i ritmi di crescita delle democrazie occidentali rispetto al resto del mondo, ma anche per consentire a Bruxelles uno slancio per affrontare le sfide di competitività del futuro.
Tuttavia, se la Cina detiene un podio di tutto rispetto nella dimensione mondiale, catapultando gli Stati Uniti al quindicesimo posto, l’Europa non riesce che a essere in un’intermedia discesa, dove l’Italia guadagna l’undicesima posizione surclassata dalla Turchia, ancora emergente, nello stretto giro di un anno.
Quindi se è stato vero che nel 1994 le nazioni intergovernativeeuropee giocavano un ruolo di tutto rispetto, e avevano una posizione prioritaria, nella classifica mondiale delle potenze democratiche, oggi, la gravità della geopolitica ridimensiona il ruolo dei paesi in crisi partecipanti, come la Russia, l’Ucraina e altri, e genera un multipolarismo disarmante che sfianca le economie europee, e la loro capacità di ripresa finanziaria.
Con la nascita degli Stati Nazione i dati aggiornati a nostra disposizione, evidenziano maggiormente come le dinamiche dell’economia mondiale, inducano ad un ripensare dell’assetmondiale, maggiormente per l’entrata delle economie emergenti, facendo confluire le analisi del Pil ad un elemento a dir poco inficiante, che dispone verso un passaggio di consegne, mondiale, ad un testimone di eccezione che resta in vetta da un decennio, ovvero la Cina.
Il capitalismo ha fatto i suoi corsi e ricorsi, e sviluppandosi fino ad oggi in termini finanziari e ha reso possibile una transizione monetaria degna di tutto rispetto, verso un paradigma mutato e ancora mutevole che si designa come “capitalismo finanziario e digitale”, ma restano le difficoltà delle diciotto economie in corsa che denotano ancora un indice finanziario tra il 30% e il 50% che si stimerà in discesa per i prossimi anni.
Il bisogno di ripartenza appartiene ormai anche alle nazioni europee, in particolare all’Italia, alla Germania e Francia, per una rimonta in un contesto mondiale notevolmente cambiato, dove si avverte sempre più il bisogno non solo di condivisione di sovranità sovranazionale, ma maggiormente di univocità di leadership strategica istituzionale in grado di portare l’Unione Europea, agli albori di un tempo e di superarli.
Il virtuosismo europeo in termini di Pil pro capite, ha bisogno di una spinta di competitività, come ci suggerisce Mario Draghi, per risollevare le sorti del sistema industriale, attualmente in crisi.
Infatti, le proteste montano a Bruxelles, e migliaia di lavoratori protestano, provenienti da tutte le Nazioni di Europa, chiedendo ovviamente azioni concrete e risolutive per arginare la crisi industriale, con interventi urgenti posti in campo dalle istituzioni comunitarie.
Quelle stesse istituzioni, che hanno indirettamente reso possibile l’acuire dei fattori di crisi economico industriale, ovvero, gli alti costi energetici, e i diktat del “green deal”, creando problemi non solo al sistema agro-alimentare e ai suoi operatori, si sono determinati ostacoli anche al sistema industriale, non concretizzando un piano industriale univoco strategico a sostegno del sistema europeo.
Non basta aprire infatti, un dialogo strategico con l’industria, bisogna capirne le istanze per correre verso un prodotto offerto , che sia sì al passo con i tempi ma integrato con le esigenze degli utenti, quindi non solo la crisi Ucraina e l’interruzione di tutti i rapporti energetici e commerciali con la Russia ha destabilizzato il settore, ma anche la mancanza di un patto sociale, a carattere occupazionale europeo e al contempo la mancanza del sentire economico finanziario e le sue aspettative di consumo.
Quindi i tagli generati da uno scellerato orientamento delle politiche comunitarie hanno reso possibile una discesa occupazionale e di offerta nel settore dell’auto motive europeo, con particolare crisi in quello tedesco, sviluppando un decremento del comparto economico finanziario.
Il green deal ha comunque scosso, le problematiche di maggiore crisi, del sistema industriale europeo, infatti, la Germania ormai in crisi di redditività e in cerca di nuovi mercati ha imposto i diktat del green al suo sistema attraverso la sovrastruttura europea dopo il distacco dal gas Russo, e si è autoinflitta un ulteriore shock di paralisi.
E lo ha poi riversato sull’intera Unione Europea, cercando una ristrutturazione industriale rigenerante, tuttavia, in un sistema ordoliberale, monetario di stampo bancario privato, l’idea di green deal che ne è emersa è a tutt’oggi, a dir poco, deregolamentata per far confluire nell’asset industriale europeo un nuovo sistema tecnologico-digitale avanzato, semplice speculazione.
Il tutto, per obbligare gli operatori –investitori a riprogrammare l’asset, attraverso un sistema politico industriale finanziario capitalistico, che spinge verso le fonti rinnovabili, l’idrogeno, l’acciaio verde, e il nucleare a ciclo chiuso.
Ma visto il potere di acquisto non sufficientemente alto, della classe media, il sistema europeo e in particolare quello tedesco metteranno in piedi “un non sistema”, dove la crisi già in essere determinerà uno stato sociale disatteso e impossibilitato a rispondere con una domanda realeperformante all’offerta.
In altre parole, la competitività, benché tattica incontrerà una domanda incapiente, e la mancanza ormai di ascensori sociali e monetari, pubblici, non consentirà uno sblocco della crisi, qualcuno grida al Re nudo, in effetti il sistema sta divorando sé stesso.
Allora nulla sarà di più realistico che spingere verso un sistema fiscale perequativo e liberatorio dell’economia reale, non più riciclante del green, ma speculare verso nuovi orizzonti. Le predizioni non servono, servono una ristrutturazione del benessere economico sociale che resta l’unica domanda possibile.
Certamente il nuovo sistema trumpiano sembra voler creare un nuovo vassallaggio europeo, inibitore di uno sviluppo commerciale libero, con dazi e contromisure, che aumenteranno solo il sistema inflazionistico americano, ma la verità e che l’Europa è vittima di sé stessa, delle sue improponibili scelte green, finalizzate a salvare il pianeta demonizzando le sue economie, frustandone il futuro e l’umanità consumatrice.
Ormai è chiaro, che la vera spallata europea nasce dal fallimento delle politiche europee, e solo con un’apertura ad un futuro differente che apre le braccia all’innovazione non più evitabile, saremo in grado di rivedere il sistema e le sue competitività capitalistiche di stampo ordoliberale, confluire in ambito sociale.
Oggi in Italia la crisi è stata trasformata in opportunità di rilancio, grazie ad azione mirate a ridurre i tavoli di trattative visibilmente e a salvaguardare l’occupazione, da 180 a 34, un’azione messa in piedi con tenacia dal ministero del Made in Italy, orientato a guidare la salvaguardia del Made in Italyattraverso il rilancio del comparto intero industriale e dei suoi indotti, con destinazione pur sempre competitiva guidata da una transizione ambientale e di decarbonizzazione, il tutto incentrato e messo a punto in un solo anno, che resta il record primario in Europa, rispetto agli altri partners internazionali.
Tuttavia, la vera debolezza non è la leadership italiana, incentrata in Europa in uno schema dinamico e innovativo, ma la lentezza con cui l’Europa stessa risponde burocraticamente all’efficienze e l’efficacia italiana, pertanto, mutare anche in Europa la visione strategica con una maggiore condivisione del modello italiano, comporta una diversa tattica nel perseguire la nuova dimensione economico finanziaria europea.
Abbassare la competitività intereuropea, troppo agonistica,con un obbiettivo comune univoco, e sconfiggere la concorrenza globale.
La coesione può essere l’arma e la politica di una cooperazione, europea non più competitiva, attraverso un’unità di intenti, per conferire su un piano paritetico una soluzione di continuità all’intero comparto economico europeo, nei confronti dei partners superpotenti.
Mentre la bilancia commerciale italiana cresce con un sempre maggiore riconoscimento del Made in Italy,contemporaneamente mentre il nostro export decolla, dovrebbe avvenire anche per le altre nazioni, anche perché gli investimenti, molteplici e copiosi, sono già in atto e consentono una maggiore fiducia nel sistema Italia e del sistema Europa.
Serve dunque una nuova dimensione coesa verso nuove misure strategiche europee, un nuovo tatticismo che induca l’Europa verso una nuova autonomia, una nuova dimensionecon epicentro italiano per performare l’intero comparto europeo, e liberarlo dal sistema lobbysta che influenza, l’Unione Europea, con uno sperpero plurimiliardario, ogni anno, sia nell’ambito tecnologico, energetico, e bancario oltre che chimico, troppi portatori di interessi differenti ma mai relegati all’economia sociale e reale, con una spinta profittevole verso un surplus di extraprofitti, non tassabili e senza principi di trasparenza fiscale.