• 22 Dicembre 2024
Editoriale

Penso di aver assistito ad uno dei più straordinari spettacoli che chiunque abbia mai potuto vedere. Verso le 10 di stamattina stavo sbirciando sul parapetto quando ho visto un tedesco agitare le braccia e due di loro sono usciti dalle loro trincee e sono venuti verso i nostri. Stavamo per sparargli quando abbiamo visto che non avevano i fucili quindi uno dei nostri uomini è uscito per incontrarli e in circa due minuti il terreno tra le due linee di trincee era brulicante di uomini e ufficiali di entrambi i lati, che si stringevano le mani e si auguravano un felice Natale.“ Dalle parole di un tenente di fanteria inglese sul fronte della Marna, Natale 1914.

Nelle fredde giornate del 24 e 25 dicembre 1914, si verificò un evento straordinario lungo il sanguinoso e fangoso Fronte Occidentale: un “cessate il fuoco” nato spontaneamente tra i soldati che, a poche decine di metri di distanza l’uno dall’altro, si trovavano immersi nella brutalità del conflitto.

Nonostante la pausa nelle ostilità non fosse universalmente osservata e non fosse stata autorizzata dai comandanti di entrambi gli schieramenti, lungo circa due terzi dei 48 chilometri del fronte controllati dalla Forza di Spedizione Britannica (BEF) si assistette a una temporanea sospensione del conflitto. I cannoni tacquero, e in molti settori del fronte, soldati tedeschi e alleati uscirono cautamente dalle loro trincee, attraversando la terra di nessuno che li separava per incontrare il proprio nemico. Già la notte prima vi erano stati momenti toccanti di fraternità “Quando addobbammo gli alberi e accendemmo le candele, dallaltra parte giunsero fischi di gioia e applausi. Poi cantammo tutti insieme”, racconterà poi il soldato tedesco Kurt Zehmisch.

Nell’estate del 1914, un’ondata di fervore patriottico e un senso di ottimismo avevano spinto le nazioni europee verso il conflitto, con la diffusa convinzione che la guerra sarebbe stata breve e decisiva, terminando entro Natale”. L’aspettativa di una guerra che sarebbe terminata entro il Natale fu a dir poco un’illusione, nei pochi mesi di conflitto i morti già si contavano a centinaia di migliaia e quel momento di fraternità e pace terminò nel volgere di qualche giorno, allorchè i comandi rimisero in ordine” le cose e soprattutto i cadaveri. Eppure quel momento sarebbe potuto essere il preludio della pace, di una pace che partiva dai figli del popolo, dagli ultimi, dal soldato semplice. Da quel Natale sono trascorsi 110 anni, fu il primo Natale di un nuovo tipo di guerra, guerra tecnologica, globale, di distruzione di massa e annichilimento, non per nulla chiamata la “grande Guerra”. Il mondo da allora è molto cambiato forse in meglio per molti aspetti, ma in peggio per le conflittualità che da allora si sono protratte. Venti anni dopo eravamo alla seconda guerra mondiale, da dove si pensava si fosse usciti con un senno migliore, ma invece in un perpetrarsi continuo di guerre, definite spesso “ a bassa intensità”, si è continuato ad uccidersi, a disintegrare letteralmente nazioni in un rincorrere ideologie le quali, ognuno per il suo campo, si definivano giuste e contrapposte ad altre considerate il male assoluto. Ma quale ideologia che porta comunque ad un conflitto può essere considerata giusta. Quale ideologia che uccide anche un solo essere umano può considerarsi giusta. Direi nessuna, a mio avviso. E su tale onda che anche questo Natale è un Natale di guerra. E’ un Natale di guerra nella terra del Cristo e non solo, più spesso nelle terre ove predicarono gli apostoli: è guerra in Palestina ove predicò Giacomo il minore, dove il conflitto Hamas-Israle ha fatto oltre 42.000 vittime civili e non accenna a terminare. E’ un Natale di guerra in Siria e Libano ove predicò e fu martirizzato, a Beirut, Giuda Taddeo.

È un Natale di guerra ove predicò Filippo tra le regioni che oggi corrispondono all’Ucraina e l’est della Russia.

È un Natale di tensione in Iran ove predicò Giuda Taddeo. È guerra in cinquantasei paesi nel mondo, e la maggior parte di tali conflitti sono considerati come detto a bassa intensità, una considerazione che è macabra ironia, se per giudicare un conflitto è necessario dargli un grado. La cosa che fa più riflettere e a cui non pensiamo e non abbiamo mai pensato è che da quel Natale del 1914 nella Marna, mai più è accaduto che dei “nemici” si incontrassero nella terra di nessuno e decidessero di smettere di uccidersi l’un l’altro anche se per poche ore. Quel momento di centodieci anni fa poteva essere un momento di svolta, il momento delle decisioni degli uomini che si scontravano senza avere nulla l’uno contro l’altro, uomini a cui era stato ordinato di uccidersi per ideali che si sarebbero potuti risolvere ad un tavolo e con buon senso. Quel momento di centodieci anni fa sarebbe potuto divenire l’icona di pace per i secoli a venire, fu purtroppo solo un breve momento nei lunghi anni di guerra. Oggi tra i conflitti più importanti (Palestina, Siria, Libano, Ucraina) si scontrano per opposte fazioni fratelli, fratelli nella fede, figli dei tre grandi monoteismi, l’Ebraismo, il Cristianesimo, l’Islam, le tre religioni abramitiche per le quali l’uccisione è un peccato, indipendentemente da tutto. Negli altri conflitti si contrappongono comunque fratelli, fratelli musulmani, buddhisti, cristiani, e induisti. Spesso per un pezzo di terra, per sete e fame di potere, per un pozzo di petrolio, per una miniera di zinco, per denaro ed interessi personali e di clan, dove infine a rimetterci sono i figli di quelle madri che non vorrebbero mai vedere, né i propri figli né quelli degli altri uccidersi nel nome del nulla. Forse il mondo dovrebbe tornare ad essere matriarcale, poiché solo le madri, solo le donne capiscono appieno il dolore della morte dei propri figli, e solo le donne sono in grado di evitare l’orrore di una guerra, piccola o grande che sia, di bassa o di alta intensità come vengono spesso definite. Non abbiamo imparato nulla come umanità a quanto pare, siamo rimasti a degli Abele e dei Caino, e non comprendiamo il disastro delle guerre poiché non le abbiamo viste, non le abbiamo vissute, non abbiamo neanche visto il dopo di un paese devastato da un conflitto. Io ho visto il dopo, in Bosnia e quel dopo non mi è piaciuto, ho visto il dolore delle mamme dell’una e dell’altra parte, ho visto l’annichilimento degli uomini, erosi e distrutti dallo stress, che a distanza di anni sopravvivevano a sé stessi, uccisi nella psiche dalla mala volontà di altri. Ho visto quegli stessi altri godersi il frutto del comando, di vivere da nababbi godendosi la vita non solo con il sangue versato da altri, ma anche con il sangue versato da chi era al loro comando. E come si diceva tra i nostri contadini ed operai, braccianti e umili artigiani nelle trincee dell’Isonzo, del Carso, davanti al Pasubio, al San Michele, al San Gabriele, “la guerra la fanno sempre i figli dei poveri”, era il Natale del 1916.  

Autore

Figlio della migrazione italiana degli anni 60 del XX° secolo, nato in Gran Bretagna e tuttora cittadino britannico a voler ricordare il mio essere nato migrante ed ancora oggi migrante (Interno). Sono laureato in Lettere (Università di Roma “La Sapienza) ad indirizzo Archeologico-Preistorico per la precisione in Etnografia Preistorica dell’Africa, un Master di primo livello in “Interculturale per il Welfare, le migrazioni e la salute” ed uno di secondo livello in “Relazioni internazionali e studi strategici”. Sono Docente a contratto di Demoetnoantropologia presso l’Università di Parma e consulente per il Ministero della Cultura in ambito Demoetnoantropologico. Mi occupo di relazioni con le comunità di diversa cultura del territorio di Parma e Reggio Emilia scrivo di analisi geopolitiche e curo una rubrica (Mondo invisibile) sul disagio sociale. Nel tempo libero da decenni mi occupo di ricerca antropologica, archeologica e storica del territorio della mia terra, della terra delle mie radici, Gioia Sannitica. Collaboro con diverse realtà divulgative e scientifiche on line (archeomedia.net- paesenews.it-Geopolitica.info-lantidiplomatico.it) creo eventi culturali, cercando sempre di dare risalto alla mia terra non intesa solo come Gioia Sannitica ma di quella Media Valle del Volturno, che fu il Regno Normanno di Rainulfo II Drengot.