Dal punto di vista geografico e fisico, dall’esterno, il Massiccio del Taburno si presenta come un bastione delimitato da ripide scarpate, spesso dell’ordine di 30°, che formano una barriera tra le basse pianure della Campania occidentale e il bacino di Benevento. Il massiccio occupa una sella tra le due catene montuose del Matese a Nord con i 2050 metri di Monte Miletto e a Sud le montagne dell’Appennino Campano meridionale con i 1809 metri del Monte Cervialto nella catena dei monti Picentini in provincia di Avellino.
Tale sella costituisce quindi il Massiccio del Taburno-Camposauro costituito da due nuclei giustapposti, il Taburno (1394 metri) a Sud e il Camposauro (1390 metri) a Nord. Con il massiccio del Matese dunque il Taburno-Camposauro va a creare una conformazione ad U che idealmente racchiude le valli Alifana, Telesina e Caudina.
Sul suo margine meridionale, il Taburno domina la valle Caudina con i suoi versanti di oltre 1000 metri di altezza. La valle è attraversata ad ovest dal fiume Isclero, affluente del Volturno che si unisce a questo allo sbocco della gola delle Forche Caudine.
Guardando frontalmente i due massicci, del Matese e del Taburno, sembra di osservare qualcosa di uguale, quasi a confondersi, come fossero due gemelli uno più grande e l’altro un poco più piccolo. Il Matese ha di fronte a se la catena dei monti Trebulani che si sussegue fino ad essere tagliata dal percorso del Volturno, mentre il Taburno guarda di fronte la parte terminale dei Monti Trebulani e alla sua sinistra i Monti del Partenio. Tutto ciò crea un enorme e quasi unico bacino attraversato dal Volturno, dal Calore, dall’Isclero e dal Titerno.
Tali combinazioni naturali costituiscono la più formidabile difesa naturale a sbarramento tra il Beneventano e la Puglia da una parte, e l’area Campana Sannitica e Laziale dall’altra. Questa ampia zona, prossima al confine tra Campania e Sannio e tra le tribù federate dei Pentri e dei Caudini ebbe sempre una rilevanza strategica che si protrasse per tempi lunghissimi. L’identità culturale delle popolazioni Sannite condivisero in questa area una linea di fortificazioni che di fatto proteggeva da Nord a Sud e da Est ad Ovest le aree pianeggianti e pedemontane dei due Massicci. Insediamenti in altura, protetti da mura poligonali e megalitiche, le quali dominavano e proteggevano le valli Alifana, Telesina e Caudina, con un sistema di abitati, centri religiosi, organizzazione sociale ed economica che si dispiegava maggiormente sul territorio rispetto a modelli di insediamento di tipo urbano, con un susseguirsi di piccoli villaggi che punteggiavano sistematicamente le aree vallicole con i centri importanti, come detto, in altura.
Così tale particolarità si riversava in una sorta di bacino dove Caudium (Montesarchio) e Saticula (Sant’Agata dei Goti) sorvegliavano l’ingresso della valle Caudina a Sud da una parte, Caiatia (Caiazzo) e Compulteria (Alvignano) l’ingresso alla Media Valle del Volturno da Ovest mentre Rufrae (Presenzano) ed Allifae (Alife) da Nord ed infine Telesia da Est la valle Telesina. C’è da specificare che il sistema urbanistico dei centri in altura non era realizzato perché le popolazioni timorose, avrebbero dovuto difendersi da qualcuno, al contrario la peculiarità della confederazione Sannita era, rispetto ad altre popolazioni italiche, la consapevolezza di essere una “Nazione” con un forte e sentito senso di territorialità e di libertà nel senso più classico del termine.
Oltretutto proprio per tale visione della libertà nella società Sannita non esisteva la schiavitù, i prigionieri di guerra erano scambiati con rispettivi prigionieri o rimandati dopo accordi di sorta nelle rispettive terre, poiché questi pensavano che al termine dello scontro, la sconfitta e la cattura, erano elementi del momento della battaglia dopo non vi era più un nemico ma un individuo a cui concedere la libertà e non lo sfruttamento. Per di più la Federazione Sannita era ben conscia di essere in grado non solo di difendersi militarmente ma di avere la capacità, volendo di espandersi. Ma l’unica espansione a cui i Sanniti ambirono furono unicamente la Valle del Liri e la Valle Vesuviana, per la ricchezza di produttività agricola di queste. Del resto l’atteggiamento quasi di discrezione rispetto alla consapevolezza di nazione, faceva della territorialità l’elemento culturale primo e i Sanniti erano più che gelosi di tale principio, e sarà proprio l’idea di indipendenza e territorialità che li porterà a scontrarsi per oltre settanta anni con Roma, la quale al contrario dei Sanniti era bramosa di conquiste ed espansione. Nel tempo proprio tale visione di disinteresse alla grande espansione ne determinerà, purtroppo nel lungo periodo la sconfitta.
Ma torniamo ai due grandi Massicci: nei territori pedemontani di questi almeno dal VI secolo a.C. era in uso la coltivazione dell’ulivo ulteriormente favorita ed incrementata dalla dominazione romana, Virgilio nelle Georgiche scrisse: “Iuvat olea magnum vestire Taburnum” ovvero “conviene rivestire di oliveti il grande Taburno”. A questa pianta oleacea si aggiunse la produzione ceramica che caratterizzò le due aree per quel che concerne la ceramica a vernice nera, senza contare periodi di grande splendore produttivo ricordate dai ritrovamenti di Montesarchio ed Alife di influenza Magno Greca. Ma la peculiarità territoriale sociale dei due Massicci fu continuata da Roma la quale con l’istituzione delle nuove città in pianura tenne legati insieme i due territori, vuoi per una questione di carattere economico e produttivo ovvero, pastorizia, agricoltura e produzione di olio, che di realtà sociale per l’affinità culturale delle popolazioni. Di fatto le due realtà saranno vicine e speculari in epoca Longobarda, ma soprattutto in epoca Normanna quando Rainulfo II Drengot ricalcò il suo Stato proprio sull’impronta territoriale di origine Sannita costituendo di fatto il suo Regno all’interno dei due Massicci e copiando il sistema di urbanizzazione in altura creò un incastellamento delle aree che fu usato in seguito per tutto il medioevo quale sistema di difesa del territorio attraverso muniti castelli. Sarà con la fine dello stato Normanno di Rainulfo che le due aree finiranno per un periodo lunghissimo ad essere di fatto smembrate in diversi feudi i quali lentamente creeranno una sorta di distacco tra le due realtà, che infine con l’Unità d’Italia con la creazione di due distinte provincie, si perderanno definitivamente i restanti legami sociali ed economici. Ed è proprio su tali legami che negli ultimi 40 anni in vari momenti si è parlato di Molisannio, con l’idea di una conformazione regionale che poteva di fatto essere culturale nel senso vero del termine.
D’altronde l’area della Media Valle del Volturno che ricade in provincia di Caserta, ha nella realtà culturale in pratica nulla che la accomuni alle popolazioni al di là dei monti Trebulani così come nulla accomuna le valli Telesina e Caudina oltre il limite territoriale naturale dell’Isclero, ovvero le popolazioni ad Ovest di questo in provincia di Caserta. Anche se oggi i “contatti” sociali delle due realtà sono quasi assenti, bisogna dire che nel momento di incontro in modo inconscio prevale l’antico senso di appartenenza; le stesse declinenze dialettali, lo stesso ambiente naturale, gli stessi usi, costumi e tradizioni, ed anche le stesse leggende, basti pensare alle “Janare” (le streghe) per intuire che le due realtà territoriali dei Massicci montuosi gemelli, siano accomunate da un unico antico legame che combina insieme cultura, territorio e ambiente.