Matteo Garrone alla 80ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia è stato premiato con il Leone d’Argento per la Miglior regia per Io capitano, il suo ultimo lavoro, che arriva dopo quattro anni dal precedente (Pinocchio).
Io capitano è un’opera tra epica e fiaba dall’ambientazione contemporanea in cui Seydou e Moussa, i due protagonisti, lasciano Dakar per raggiungere l’Europa attraverso le insidie mortali del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia, le torture, lo sfruttamento del lavoro e i pericoli del mare senza mai perdere i valori interiori e la dignità. C’è una evocazione dei temi del suo primo lavoro, la trilogia di impianto documentaristico Terra di mezzo (1996) composta dall’episodio che dà il titolo a tutta l’opera, Ospiti ed Estate romana, che riesce a realizzare grazie al premio in denaro vinto al Sacher film festival con Silhouette (1996). Temi cari a Garrone come la diversità di condizione, il riscatto, l’inclusione: dall’integrazione di allora (al tempo della globalizzazione) ne Terra di mezzo, a oggi ne Io capitano (ai tempi dell’umanità 2.0).
Garrone ne Io capitano fa un controcampo rispetto alla prospettiva di sguardo dall’Europa: sposta in Africa l’inquadratura della camera e la prospettiva del punto di vista. Racconta una storia che coinvolge, toccante, cruda in molte sequenze che unisce la profonda maestria della sua regia con una narrazione che, spesso, è del reportage, del documentario. I protagonisti attraversano il mare e il deserto sabbioso, (s)confinanti paesaggi che evocano lo spazio del genere Western in tutta la loro simbologia. Ritorna – ancora una volta in una perfetta coincidenza e con il punto di vista del controcampo – il topos culturale della spiaggia nel quale si rispecchiano le caratteristiche identitarie, sociali e antropologiche di un popolo che è fil rouge in L’ultima spiaggia – rive e derive del cinema italiano di Christian Uva edito da Marsilio, testo che percorre le spiagge del cinema italiano – dai Cinegiornali del regime fascista ad oggi – facendoci sorprendentemente vedere la coincidenza di ciò che sulla sabbia è avvenuto con ciò che è successo nel nostro paese.Matteo Garrone con il suo cinema ha attraversato tutti i generi a cominciare da l’imbalsamatore (2002), un neo-noir con una spiccata condizione Freudiana di perturbante data dai personaggi ai quali appartiene anche qualcosa di fortemente animalesco, con cui -peraltro – inizia una stagione meno autarchica e una produzione più organizzata nel suo sistema, la scrittura è più presente. Garrone ricorre alla struttura della fiaba, sempre, che verrà esplicitamente manifestata in Tale of Tales (Racconto dei racconti, 2015, ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile) e Pinocchio (2019). Le sue opere, nonostante attraversino tutti i generi e la fiaba sia un leitmotiv, sono sempre pregne di qualcosa di perturbante che accompagna tutto il suo cinema come ci racconta Nicoletta Marini-Maio nel suo saggio Primo amore in Matteo Garrone a cura di Christian Uva (casa editrice Marsilio) su l’omonimo film del 2004.