A volte un breve aneddoto è più utile di mille parole. Come fare, ad esempio, a dare in un colpo solo il significato della figura morale di un filosofo italiano dell’Ottocento come Sebastiano Maturi? Con un aneddoto che ricavo di peso da quei Venticinque aneddoti crociani che Gino Doria – insieme con Tammaro De Marinis, Adolfo Omodeo, Francesco Flora, Achille Geremicca, Alfredo Parente, Edmondo Cione – mise insieme e, sistemati in una elegante plaquette, ne fece dono a Benedetto Croce il 25 febbraio del ’36 in occasione del settantesimo compleanno del filosofo (oggi questa plaquette – ma lo dico a beneficio dei bibliofili e dei bibliomani – è stata riproposta in tiratura limitatissima di 25 esemplari da Babbomorto Editore, di Antonio Castronuovo, con una nota di Massimo Gatta).
Nell’aneddoto numero 8 entra in scena il nostro Maturi che nacque ad Amorosi nel 1843 e fu allievo del Vera e soprattutto dello Spaventa del quale era né più né meno che innamorato. Nonostante Bertrando Spaventa già prefigurasse una riforma della filosofia di Hegel, il Maturi era un hegeliano ortodosso e non si mosse mai, per tutta la sua vita, dalla natura logico-metafisica del pensiero del filosofo tedesco che per lui era né più né meno che la Filosofia (e bisogna pur dire che, in contrapposizione all’incipiente Positivismo del suo tempo, non aveva certo tutti i torti, anzi). E l’aneddoto proprio a questo si riferisce. Insegnava il Maturi in un liceo a Napoli e suo collega era il professore di lettere italiane Eugenio Donadoni. Quest’ultimo, spirito romantico, tendente al wertherismo, pessimista – pare soprattutto dopo una delusione amorosa – cercava di trasmettere le sue dottrine rattristanti agli studenti. Una volta il Maturi lo sorprese fuori dall’aula – e la scena ai giorni nostri ha davvero dell’insolito – che faceva questa sua propaganda di romanticismo malato o ospedaliero e, allora, gridò con indignazione: “Professor Donadoni, professor Donadoni, ma che cosa dite? Voi fate perdere ai miei alunni la fede nella forza dello spirito e nella bellezza della vita!”.
Il Donadoni, più giovane del Maturi che con la sua lunga barba incuteva un certo timore reverenziale, cercò di giustificarsi alla meno peggio: “Oh, scusate, scusate se ho detto qualche cosa che ha potuto offendervi, vi prego di perdonarmi”. Al che il Maturi di rimando: “Perdonarvi? Ma io non posso perdonarvi. E’ alla Filosofia che dovete chiedere scusa”.
Eccolo qui Sebastiano Maturi, da Amorosi, che siede alla destra del padre – Hegel – e che, non a caso, nel 1869 scrisse Soluzione del problema fondamentale della filosofia. I dolori del giovane Donadoni non avevano reso offesa al vecchio e venerando filosofo sannita bensì alla stessa Filosofia di cui il Maturi era soltanto un umile, severo ma anche ingenuo rappresentante.