Mediterraneo, un sonoro, azzurro e profondo mare in mezzo a terre meravigliose, desiderate mete di pellegrini di ogni epoca. Secolo dopo secolo i movimenti migratori non sono cambiati negli intenti. La memoria ci riconduce a popoli, bisogni e rinascite. Dalle mire colonialiste alle migrazioni di massa per scappare da qualcosa; la miseria, la guerra, le ingiustizie o, semplicemente, per raggiungere la realizzazione di un sogno o la libertà.
I fenomeni migratori sono da molto tempo oggetto di studi sociologici e criminologici per comprendere non solo le motivazioni di base e le dinamiche, ma per poter rappresentare una verosimile proiezione futura sull’impatto che hanno sulla vita sociale dei Paesi che accolgono, includendo nell’analisi discriminazioni, xenofobia, ghettizzazione, livello di spirito di sopravvivenza e connessioni con il tessuto criminale autoctono.
Ne è stato un grande esempio la migrazione di massa di Italiani e altri cittadini del Vecchio Continente verso una terra sconfinata e pronta non solo ad accogliere milioni di persone, ma che ha utilizzato quelle masse per lo sviluppo industriale di cui noi siamo figli, a suon di sacrifici di povera gente, o, di contro, alla lungimiranza di menti pronte a cogliere nel disagio altrui delle opportunità inimmaginabili. Le conseguenze possono essere viste in modo diverso, a secondo del punto di vista. Quanto in quel “pronta” quella terra lo fosse davvero? La risposta è che nessun Paese è pronto a un’accoglienza equa e umana se ne arrivano molti di più di quanto ci si aspetta. Tanto quanto non è il nostro di Paese in questo momento in cui si sono superati i limiti, a meno che menti offuscate dalla lunga lista di vantaggi di cui usufruire, che molti ignorano, approfittano di un vano senso di umanità supportato da illustri pensieri, per tendere una mano per aiutare e con l’altra portare via quello che rimane.
E se ne facciano una ragione coloro i quali credono che dobbiamo per forza accogliere, facendo passare per disumani assassini quei decisori che conosco bene la situazione, sottolineando che gli immigrati non sono un pericolo, ma lo sono quei soggetti che strumentalizzano gli avvenimenti a proprio comodo. Non è questo il luogo in cui fare nomi o sbandierare ideologie, ma basta farsi un giro nei quartieri diventati ghetti nelle nostre città e anche nelle piccole realtà di provincia, entrare nelle scuole e domandare come vivono alcuni ragazzini che appartengono alle minoranze etniche, leggere le statistiche dei reati includendo il numero dei detenuti, geolocalizzare le gang di strada e le loro dinamiche per capire che le promesse sono solo un inganno e che giustificare ed erigere a eroi chi “finge” di salvare vite umane le mette in pericolo seriamente nell’esatto momento in cui toccano terra o iniziano le loro traversate verso nuovi inizi.
Ma le opportunità non si lasciano andare, ce lo racconta un passato abbastanza recente, dalla terra in cui gli sbarchi sembrano non fermarsi mai. Un passato fatto di “don” accreditati oltreoceano, con un passato discutibile e fedine penali ripulite, ma con teste pensanti a tal punto da essere in grado di organizzare, in piena crisi agraria, un flusso di partenze verso New York. La Sicilia depressa economicamente e culturalmente, rimase a guardare migliaia di isolani lasciare la loro terra in cerca di fortuna con la speranza di poterci ritornare. Molti lo fecero da uomini liberi, altri un po’ meno.
Partirono affidando i loro risparmi, se ne avevano altrimenti avrebbero ceduto le paghe di interi anni, alla società di mutuo soccorso di turno, che oltre al costo del biglietto, si sarebbe occupata di fornire altri servizi connessi, non per ultimo passare all’ufficio immigrazione senza il rischio di essere rimpatriati perché clandestini. Servizi offerti in modo illegale e dei quali se ne servirono soprattutto pregiudicati, ricercati, contrabbandieri, oltre a gente del popolo ignara che, una volta arrivata oltreoceano, si affidava, per così dire, alle famiglie che già vivevano oltreoceano e che avevano trasformato lucrosamente le attività di trasferimento dei clandestini con una perfetta macchina organizzativa supportata dalla politica locale disposta a far finta di non vedere il continuo flusso di clandestini che partivano per poter alleggerire il disagio sociale del momento. In quel modo si contribuì a rendere “legali” forme di protezione e gli innumerevoli scafisti che provvedevano ai trasferimenti. Le flotte? Avevano anche quelle, le Società di navigazione tra le più quotate dell’epoca, visto che attraversare l’oceano non era cosa da poco.
Oltreoceano gli organizzatori avevano così potuto ottenere un posto di spicco non solo nel sistema criminale di cui facevano parte, ma anche e soprattutto nel tessuto sociale in cui raggiunsero notorietà per aver aiutato tanta gente a vivere in un posto migliore, omettendo sapientemente le gabelle, le torture, le minacce e le condizioni disumane in cui intere famiglie si ritrovarono costrette a vivere. Era poco più di un secolo fa, ma le cose da questa parte, nel nostro mare, sulla nostra terra, nei nostri luoghi più rappresentativi, non sono affatto cambiate, se non per il fatto che non siamo più noi a emigrare in massa, ma permettiamo che certe dinamiche facciano parte di un patrimonio culturale che pensavamo di aver cancellato e che continua a minare la nostra sicurezza e quella delle persone in cerca di una vita migliore. Non dimentichiamoci mai che privare le persone di una vita dignitosa è una violazione dei diritti umani che va valutata prima di ogni altro permissivo ingresso nel nostro Paese e le morti che purtroppo da anni registriamo nel nostro mare sono un concorso di colpa che non possiamo più tollerare.