Nel 1863, a Londra, fu fondata la Football Association, la più antica federazione calcistica al mondo. Per oltre un quarto di secolo le partite di calcio si disputarono senza l’arbitro, una figura considerata inconcepibile per dei gentlemen inglesi. Con la diffusione e la popolarità assunta dal gioco si rese necessario trovare qualcuno su cui poter scaricare la colpa per un risultato sfavorevole e soprattutto renderlo il bersaglio dell’ira dei tifosi. Fu così che Il 2 giugno 1891 l’International Board accolse la proposta della Football Association e creò il Referee, l’Arbitro. Ma se gli inglesi “inventarono” l’arbitro, noi lo perfezionammo a tal punto da farlo diventare un mito, seppure restò un modello unico e irripetibile.
Concetto Lo Bello (Siracusa, 13 maggio 1924 – 9 settembre 1991) nella vita privata di professione assicuratore, in quella pubblica arbitro di calcio, assessore e per breve termine sindaco di Siracusa, nonché deputato al Parlamento. L’unico “Onorevole” nella storia che la domenica lasciava lo scanno di Montecitorio e indossava giacchetta e pantaloncini neri per arbitrare una partita di calcio. Il suo palmares è irripetibile: 328 partite in Serie A (record che non sarà mai battuto) e 93 partite internazionali tra cui una Finale delle Olimpiadi, una Finale di Coppa Intercontinentale, due Finali di Coppa dei Campioni, una Finale di Coppa delle Coppe, una Finale di Coppa delle Fiere e una Finale di Coppa UEFA che fu anche l’ultima sua partita. Gli mancò la finale dei mondiali, ma fu solo per una questione di politica internazionale. Al Mondiale del ’66 in Inghilterra diresse la semifinale tra Germania Ovest e Unione Sovietica, vinta dai primi per 2 a 1. In quella partita espulse Čislenko, il miglior giocatore dei sovietici che non mandarono giù il suo arbitraggio e posero il veto assoluto per la direzione della finale che sembrava essere scontata. Erano gli anni difficili della “Guerra Fredda”, durante i quali la politica internazionale si manteneva con un equilibrio estremamente precario. Per evitare che i rapporti con l’Unione Sovietica e con i suoi alleati si deteriorassero ulteriormente, seppure per una questione sportiva, la politica si impose e la FIFA designò per la finale lo svizzero Dienst, ma Lo Bello comprese e non fece una piega.
Gianni Brera, in un suo celebre pezzo, lo definì «Un po’ Dionisio, tiranno di Siracusa, un po’ Abd el Karim, pirata saraceno…E’ insieme Toscanini o Visconti, Von Karajan o Strehler». Il soprannome di “Tiranno di Siracusa” fu quello che gli restò appiccicato per sempre. Luigi Gianoli scrisse: «Per me somiglia tutto a Timoleone, detto l’intemerato, cittadino corinzio che venne a liberare Siracusa dai cartaginesi per governarla, ma da semplice privato. Un amministratore, insomma. E la rese felice. Fu forte, generoso, geniale». Per Gian Paolo Ormezzano era «meglio di Kalì che in fondo aveva soltanto nove braccia; egli è trimurti, Brahma Siva Visnù insieme, arbitro, assicuratore, assessore, deputato». Indro Montanelli, toscano purosangue e tifoso sfegatato della Viola, lo onorò con un elzeviro memorabile. Dopo la partita Fiorentina-Cagliari del 12 ottobre 1969, vinta per 1 a 0 dagli Isolani con un rigore realizzato da Gigi Riva, il pubblico di Firenze lo aveva ironicamente salutato al grido di “Duce, Duce”; Montanelli, sbollita la rabbia di tifoso, scrisse di lui nell’articolo per il Corriere della Sera: «Entra nel campo col passo del proprietario che perlustri il proprio podere… Se ogni tanto alza lo sguardo sugli spalti, è come se ve lo lasciasse cadere dall’alto…». E concluse: «No, i fiorentini hanno avuto torto: Lo Bello non è il Duce. E anche se l’accostamento avesse qualche verosimiglianza, almeno ne andrebbero rovesciati i termini, perché è caso mai il Duce che può aspirare ad essere scambiato per Lo Bello, non viceversa».
Era nato per essere un protagonista, anche se spesso andava sopra le righe; la figura lo aiutava con la taglia imponente, il viso da attore sormontato dai capelli neri ondulati e i sottili baffetti alla Clark Gable che ne accentuavano l’espressione ironica. Ma non fu solo l’Arbitro per antonomasia che ispirò persino un film interpretato da Lando Buzzanca. Cambiò il modo di arbitrare comprendendo che insieme alla capacità tecnica ci voleva anche la preparazione atletica; fu lui che iniziò a seguire le azioni da vicino in un epoca in cui i direttori di gara stazionavano prevalentemente nei pressi del cerchio di centrocampo. Introdusse poi la camminata della terna arbitrale e delle squadre verso il centrocampo per l’inizio della partita, come avviene oggi, mentre fino ad allora si procedeva con la corsa a passo di bersagliere. Qualche maligno disse che quel lento incedere gli serviva da passerella e che se avesse potuto avrebbe fatto suonare la “Marcia trionfale dell’Aida”. Gli episodi di cui fu protagonista si potrebbero raccogliere in diversi volumi, ma basta citarne qualcuno. A quell’epoca la numerazione delle maglie andava dall’uno all’undici e i giocatori indossavano sempre la stessa, ma per ammonire Omar Sivori lo fece voltare come un giocatore qualsiasi per prendere il numero di maglia, come se non sapesse che il Cabezon portava il dieci. In un Fiorentina-Inter assegnò due rigori ai nerazzurri nel giro di due minuti. I fiorentini protestarono già sul primo, ma pochi secondi dopo la realizzazione la palla tornò in area viola. Forse anche provocatoriamente Petris toccòleggermente l’attaccante Bolchi dell’Inter e Petris disse a Lo Bello: «Se ha coraggio fischi anche questo». «Certo, rispose lui, e la mando anche fuori». Il secondo rigore, però, venne sbagliato dall’Inter e, stando alle cronache, solo questo gli permise di arrivare sano alla stazione. In Spal-Napoli, provocato anche dai giocatori della squadra di casa, fischiò tre rigori in favore degli ospiti tutti realizzati e si prese un’ispezione fiscale ordinata dal Ministro delle Finanze, Luigi Preti, ferrarese e tifoso della Spal. In un Roma-Napoli, sul 2 a 1 per i padroni di casa e con un rigore non concesso per fallo su Altafini e conseguente espulsione di Juliano per proteste, un tifoso del Napoli entrò in campo dirigendosi minaccioso verso di lui, ma al suo cospetto restò come impietrito; Lo Bello lo agguantò e lo consegnò ai poliziotti che erano accorsi. In Lazio-Milan del 1973 dopo un gol annullato a Chiarugi per fuorigioco, Nereo Rocco lo applaudì ironico; Lo Bello si avvicinò alla panchina e si inchinò platealmente prima di espellerlo. Ma ci sono due celebri episodi che rendono la misura dell’uomo prima che dell’arbitro. Il 20 aprile 1958, allo Stadio della Liberazione (oggi Arturo Collana) su al Vomero si giocava Napoli-Juventus, non una partita qualsiasi. Lo stadio aveva una capienza di quarantamila posti, ma solo Dio sa quanti di più ce ne fossero in più. Nell’Archivio Fotografico di Riccardo Carbone ci sono molte foto in bianco e nero che rendono perfettamente l’idea di che cosa fu quella partita. In alcune si vedono le finestre, i balconi e i tetti dei palazzi affacciati sullo stadio dove si accalcavano centinaia di tifosi; in altre sono ritratti quelli che erano seduti persino sui grandi cartelloni pubblicitari posti sull’ultima gradinata. Ma gli scatti più incredibili riguardano le cinque-seimila persone assiepate attorno al rettangolo di gioco! In quel contesto a dir poco surreale e accompagnato dai due capitani, Bruno Pesaola e Giampiero Boniperti, mezz’ora prima della partita Lo Bello procedette per un sopralluogo in campo; si fermò e chiese ai due giocatori: “Che cosa facciamo?”. Pesaola e Boniperti si guardarono, dopodiché il Petisso rispose: “Decida lei”. E lui decise nell’unico modo che riteneva concepibile: si giocava!Continuarono nel giro di ispezione e ogni decina di metri Lo Bello avvertiva: “Se qualcuno mette un piede in campo andiamo via”. Non successe, nessuno osò avvicinarsi più di tanto al rettangolo di gioco e la partita si concluse regolarmente; non ci furono incidenti di sorta, né reclami da parte degli ospiti. Vinse il Napoli 4 a 3, ma fu solo un dettaglio. Oggi una cosa del genere sarebbe impossibile, non solo per regolamento e per le disposizioni sull’ordine pubblico, ma soprattutto perché nessun arbitro al mondo ne sarebbe capace. Il secondo episodio dovrebbe far riflettere su quanto oggi sia anacronistico il mondo arbitrale. In Milan-Juventus non concesse un rigore al Milan per fallo di Morini su Bigon e la partita si concluse 1 a 1. Bruno Pizzul, pur senza molte speranze, invitò Lo Bello alla Domenica Sportiva di quella sera e lui ci andò. Oltreché Pizzul, lo attendevano Carlo Sassi che commentava le immagini rallentate e Heron Vitaletti, il tecnico della Moviola. “Non si aspetterà che io le dica che in questa occasione il giocatore è stato più furbo di me che, d’altra parte, non avevo la moviola e, quindi, non ho potuto vedere che era stato commesso il fallo…”, disse col suo sorrisetto ironico, ammettendo l’errore dopo aver guardato le immagini. Era Domenica 20 febbraio 1972, oltre mezzo secolo fa! Ancora oggi e senza alcun motivo plausibile, gli arbitri non rilasciano dichiarazioni o interviste; è il loro responsabile che la domenica sera, in una trasmissione televisiva, “spiega” in modo stucchevole situazioni e regole, salvo poi ad essere clamorosamente smentito da ciò che avviene in campo la domenica successiva.
Concetto Lo Bello interpretò il suo ruolo da protagonista, da istrionico prim’attore, contribuendo a rendere ancora più epico il racconto del calcio di una volta che di grandi protagonisti ne aveva già tanti. Oggi, tranne qualche rarissima eccezione, gli arbitri sembrano somigliarsi tutti: capelli cortissimi, rasatura da legionario, lo sguardo tremulo delle reclute impaurite che scendono in campo con l’animo di un Don Abbondio, capaci di farsi contestare persino le decisioni corrette. Sono solo comparse in un calcio mediocre che non ha più protagonisti.