• 21 Febbraio 2025

Ci sono calciatori di un’epoca oramai lontana che spesso vengono dimenticati nonostante abbiano scritto pagini indelebili della storia di questo sport. La dimenticanza è ancora più grave quando si tratta di qualcuno che ha cambiato il modo di giocare, abbinando l’intelligenza calcistica con cui si posizionava in campo precedendo o eludendo la giocata avversaria con una tecnica eccelsa che gli consentiva di passare il pallone ai compagni su traiettorie ritenute impossibili. Gli rimproveravano solo il fatto di sembrare lento; lo era solo in apparenza e alla critica rispondeva: “Ela palla che deve correre, non il giocatore”.

Valdir Pereira, per il Calcio semplicemente Didì (Campos dos Govtacazes, 8 ottobre 1928 – Rio de Janeiro, 12 maggio 2001). Per la sua sapienza nel gioco era soprannominato Mr. Football;  per l’eleganza con cui stava in campo e per i tratti somatici, il drammaturgo brasiliano Nelson Rodrigues lo paragonò ad un Príncipe Etíope. E’ stato uno dei più forti calciatori del XX secolo e occupa la 19ª posizione nell’omonima classifica stilata dall’IFFHS. Nel 2000 fu inserito nella Hall of Fame della Fifa.

Con la Nazionale di calcio brasiliana partecipò a tre edizioni dei Campionati mondiali di calcio: in Svizzera nel 1954, in Svezia nel 1958 dove fu giudicato il miglior giocatore del torneo, in Cile nel 1962, vincendo le ultime due da protagonista. Era il celeberrimo Brasile che in avanti schierava Garrincha, Didì, Vavà, Pelè e Zagallo, probabilmente il miglior attacco nella storia del calcio.

Ed è proprio in Nazionale che la sua forte personalità e il rispetto incondizionato dei compagni vennero esaltati, soprattutto con la vittoria del Brasile del suo primo mondiale nel 1958. Didì era il leader indiscusso, il loro maestro, quello che gli indicava come giocare la palla e come mantenere la calma nei momenti di difficoltà. E’ rimasta impressa nell’immaginario collettivo la fotografia scattata subito dopo la finale vinta dal Brasile per 5 a 2 contro i padroni di casa della Svezia. Sulla spalla di Didì piangeva un ragazzo che non aveva ancora diciott’anni e che in quella finale aveva segnato due gol, Pelè. E sono proprio le parole di Pelè che rendono la misura del calciatore: “Per Didì giocare a calcio è come sbucciare unarancia. Io non sono niente rispetto a lui, è il mio idolo”.

L’intelligenza tattica di Didì era fuori dal comune. Persino Pelè spesso non era in grado di comprenderne le giocate e in un’intervista disse di lui: “A volte era troppo intelligente…. fintava un passaggio da una parte per poi incrociarlo dallaltra. Capitava che ci confondesse e allora gridava: idioti, sto cercando di confondere laltra squadra!”.

Didì detestava l’idea che il calcio potesse essere solo un gioco duro, dove poteva prevalere la forza fisica, perciò era solito dire: “Non ho mai fatto un tackle….perché dovrei farlo quando posso smarcare e mettere a reti i nostri attaccanti?”

Questa sua visione del gioco nasceva dall’esperienza personale. Come la stragrande maggioranza dei calciatori sudamericani della sue epoca, era nato e cresciuto povero in una favelas di Campos dos Goytacazes, ad un centinaio di chilometri da Rio de Janeiro, dove le partitelle di calcio erano l’unico rimedio contro una vita difficile. Ma si giocava anche duro. Aveva 14 anni quando  un rudeintervento di un avversario gli causò una brutta ferita al ginocchio. La ferita provocò una graveinfezione, tanto che rischiò l’amputazione della gamba. Fortunatamente il pericolo fu scongiurato,ma Didì passò sei mesi su una sedia a rotelle prima di riprendersi. Fu per questo che non sopportava l’idea che lo scontro fisico e l’aggressività potessero essere caratteristiche dominanti nel calcio. L’infortunio gli provocò conseguenze che si portò appresso per tutta la vita. Quando doveva calciare con più forza il dolore alla gamba diventava molto acuto; fece di necessità virtù e ideò un nuovo modo di calciare il pallone, colpendolo al centro con le sole tre dita esterne del piede. Questa nuova tecnica prese il nome di “fohla seca”; come una foglia secca portata dal vento la palla fluttuava in aria per poi abbassarsi all’improvviso. E’ il modo di calciare, soprattutto le punizioni, che in tempi recenti hanno reso celebri Andrea Pirlo, Cristiano Ronaldo e Gareth Bale.

La sua carriera professionistica iniziò nel 1946 con l’Americano de Campos; nel 1947 firmò con la Fluminense con il quale giocò per dieci stagioni vincendo il Campionato Carioca nel 1951 e la Copa Rio nel 1952. Nel 1950 il suo talento era già salito alla ribalta in Brasile, ma fu ritenuto troppo giovane per partecipare al campionato del mondo che quell’anno i verdeoro avrebbero giocato in casa. Una curiosità: Didì segnò il primo gol della storia nel famoso stadio Maracanã in occasione della partita inaugurale del 16 giugno 1950 tra una selezione di giocatori dello Stato di Rio de Janeiro ed una di quello di San Paolo. Vincitore nel 1952 dell’intercontinentale Copa Rio -che dal 1953 fu sostituita dalla Copa Montevideo- partecipò, sempre col Fluminense, alle due prime edizioni del prestigioso trofeo intercontinentale organizzato allora dalla Federazione calcistica dell’Uruguay che riuniva migliori squadre di club d’America e d’Europa in un torneo, disputato all’Estadio Centenario, in calendario nel corso dell’estate australe.

Nel 1956, per un motivo del tutto particolare, ruppe i rapporti con la Fluminense; aveva divorziato dalla moglie per unirsi alla nota cantante Guiomar, perciò chiese che dal suo ingaggio non fosse detratta la somma che doveva versare alla prima moglie perché preferiva essere egli stesso a provvedere. La richiesta venne respinta e lui passò al Botafogo che sborsò due milioni di cruzeiros, una delle cifre più alte mai pagate all’epoca per un calciatore. Al Botafogo trovò altre due leggende del calcio, Garrincha e Nílton Santos, vincendo l’anno seguente il Campionato Carioca.

Nel 1959 lasciò il Brasile per giocare col Real Madrid, ma il pessimo rapporto con Alfredo di Stefano, il leader indiscusso dei Blancos, lo convinse dopo un anno a ritornare alBotafogo con cui vinse ancora il campionato statale nel 1961 e nel 1962. Fu il suo ultimo vero anno da calciatore perché iniziò ad allenare lo Sporting Crystal in Perù.

Ritornò in Brasile per allenare il Botafogo e la Fluminense; divenne C.T. del Perù per i Mondiali del 1970 dove gli andini eliminarono l’Argentina durante le qualificazioni. La Nazionale peruviana raggiunse i quarti di finale, dove fu eliminata dal Brasile per 4-2, ma ci fu un episodio che fece molto discutere e che ancora oggi presenta molti lati oscuri. Con una decisione inaspettata Didìlasciò in panchina il suo miglior difensore, Orlando de la Torre, giustificandosi col fatto che gli era sembrato fuori forma nella partita precedente contro la Germania Ovest. Il vero motivo della decisione si seppe solo molto tempo dopo: la sera prima della partita Didì ricevette una telefonata anonima in cui gli venne intimato di non far giocare Orlando de la Torre, pena l’uccisione della sua famiglia. Si disse che quella telefonata arrivò dal Brasile, dalle alte sfere della dittatura che ai tempi governava il paese; ma nonostante la sconfitta, che ancora oggi in Perù è ricordata come “la grande vergogna”, i giocatori peruviani e l’allenatore vennero accolti al ritorno in patria come eroi per lo storico risultato.

Nel 1971 Didì allenò gli argentini del River Plate, passando poi ad allenare  i turchi del Fenerbahce che portò alla vittoria di due campionati consecutivi, 1973-74 e 1974-75. Ritornò in Brasile  vincendo come allenatore il Campionato Carioca col Fluminense nel 1975 e il Campionato Mineiro per due volte col Cruzeiro (1976, 1977).

Si racconta, ma forse è solo una leggenda, che dopo l’infortunio subito da ragazzo e per il quale aveva rischiato di perdere una gamba, ogni sera andava a dormire con un pallone sotto il letto, anche da adulto. Diceva di trattare la palla con lo stesso affetto che aveva per la moglie; se la sua vita sentimentale fu abbastanza turbolenta, il pallone gli ricambiò l’effetto per tutta la vita.

Valdir Pereira, detto Didì, morì il 12 maggio 2001 per una patologia incurabile. Tranne che qualche vecchio brasiliano e gli amanti del calcio nella sua espressione migliore, in pochi si ricordano di lui. Eppure Mr. Football, con il suo genio calcistico, fu uno di quelli che cambiarono il modo di giocarea calcio. Con l’intelligenza tattica e una tecnica eccelsa aprì nuove strade e i grandi centrocampisti che illuminarono il gioco nei decenni a venire ne seguirono le orme. Dobbiamo anche a Didì se il calcio, oltreché uno sport, divenne uno spettacolo.

Autore

Nato a Napoli nella seconda metà degli anni cinquanta. Sportivo appassionato, calciatore in gioventù, dirigente sportivo di società del settore giovanile. Avvocato con molteplici hobby e scrittore a tempo perso, ha pubblicato due romanzi e una raccolta di racconti di Calcio.