Per un ragazzo nato appena dopo la fine della seconda guerra mondiale gli anni ’60 furono il periodo più iconico che si potesse vivere nel ventesimo secolo. Furono gli anni dove tutto iniziava ad essere alla portata di tutti e non più riservato solo alla ristretta élite di ricchi o di aristocraticicome era stato sino ad allora. La Gran Bretagna di quel decennio rappresentò un simbolo di quel cambiamento epocale. Furono gli anni dei Beatles e dei Rolling Stones, dei contestatori del movimento giovanile, dei ragazzi con i capelli lunghi, di James Bond, della minigonna inventata da Mary Quant e del Festival sull’isola di Wight, dell’erba fumata liberamente in pubblico. In tale contesto salì alla ribalta del Calcio un irlandese dal carattere ribelle, un anticonformista dentro e fuori dal campo che visse al massimo e oltre una vita spericolata finendo per esserne travolto. Lo chiamarono “il quinto Beatles” perché sembrava essere uno dei “Ragazzi di Liverpool”, con la sua aria sfrontata, le basette e i capelli lunghi, i vestiti alla moda dell’epoca con giacche strette dai colori improbabili, camice caleidoscopiche, pantaloni stretti in vita e in basso con l’immancabile zampa d’elefante.
George Best (Belfast, 22 maggio 1946 – Londra, 25 novembre 2005) fu un autentico figlio d’Irlanda di cui assorbì tutte le contraddizioni. La terra dei Celti: verdi distese e cupe brughiere, lunghe spiagge e strapiombi sul mare, terra di whisky, birra, gnomi e folletti di antiche fiabe. Gente dura ma capace di grandi passioni che sfociarono in una guerra civile segnata dalla contrapposizione religiosa tra cattolici e protestanti. Le caratteristiche della sua terra le aveva tutte, ma vi aggiunse il genio calcistico che lo portò a vincere il Pallone d’Oro nel 1968 e ad essere inserito dall’IFFHS al 16° posto della classifica dei migliori calciatori del ventesimo secolo.
Era ancora un bambino quando fu ammesso in una scuola di prestigio dove si praticava il Rugby, ma aveva una corporatura troppo esile per giocarci e poi la sua passione era il calcio, perciò cambiò scuola e sport. La sua vita ebbe una svolta nel 1961; aveva 15 anni e il Glentoran lo scartò perché troppo piccolo e leggero, ma ebbe la fortuna di essere notato da Bob Bishop, il famoso talent scout. Il ragazzo lo impressionò tanto da fargli inviare un telegramma al leggendario allenatore dei Red Devils Matt Busby (Sir Alexander Mattews Busby) con scritto: «Credo di averti trovato un genio». E fu così che il genio andò a Manchester per effettuare un provino, ma dopo soltanto due giorni venne preso dalla nostalgia di casa e tornò in Irlanda del Nord. E’ davvero incredibile comele due ali destre più forti della storia del calcio, lui e Garrincha, siano state accomunate dallo stesso comportamento nel momento in cui dovettero provare per una grande squadra. Ma c’è purtroppo un’altra analogia che lega la vita dei due: la fama e la gloria che gli diede il calcio la pagarono con una morte prematura dovuta all’abuso di alcool.
Il figliuol prodigo fece però ritorno a Manchester ed esordì in Premier League il 14 settembre 1963; aveva 17 anni e venne schierato titolare nella partita contro il West Bromwich; il 28 dicembre dello stesso anno giocò la sua prima partita in FA Cup contro il Burnley; in quella partita segnò il suo primo gol con la maglia dei Red Devils e da quel momento in poi Matt Busby decise di aggregarlo in pianta stabile alla prima squadra, ma riservandogli un trattamento particolare: vista l’indole svogliata e il fisico troppo esile lo sottopose a durissime sedute di allenamento per poterlo abituare a giocare quelle partite in cui inevitabilmente gli avversari avrebbero cercato di fermarlo, di solito inutilmente, usando un gioco tanto duro da rasentare spesso il codice penale. Il Manchester United vinse il campionato 1964-65; George Best era oramai un titolare e il suo astro iniziò a splendere anche all’estero. Nello Estadio La Luz segnò al Benfica una doppietta nei quarti di finale di Coppa dei Campioni e lo United vinse 5 a 1 contro quelli che erano stati i finalisti di quattro delle ultime cinque edizioni della Coppa. Oramai il calcio internazionale sapeva chi era George Best, quel ragazzo che all’apparenza sembrava più adatto a suonare una chitarra che a calciare un pallone.
la stagione 1967- 68 fu la sua migliore in assoluto, soprattutto in Coppa dei Campioni. In semifinale lo United incontrò il Real Madrid, sei volte campione della competizione; all’andata Best segnò la rete che valse ai suoi la vittoria per 1-0, poi si rivelò decisivo anche al Bernabéu fornendo a Bill Foulkes il pallone per il definitivo 3-3 in rimonta che valse allo United il passaggio del turno. Al suo ritorno in Inghilterra Best ottenne dalla Football Writers’ Association il premio di “Calciatore dell’anno”, diventando il più giovane della storia a ottenere tale riconoscimento. Il 29 maggio 1968 si giocò a Londra la partita tra United e Benfica, una delle due Finali di Coppa dei Campioni arbitrate da Concetto Lo Bello. Risultato di uno a uno al 90° e tempi supplementari; dopo tre minuti Best si ritrovò davanti al portiere avversario José Henrique, lo dribblò con una finta per poi depositare la palla in rete; un gol di Bobby Charlton e uno di Brian Kidd fissarono il punteggio finale sul 4-1. Il Manchester United vinse così la Coppa dei Campioni a dieci anni di distanza dal disastro aereo di Monaco di Baviera dove avevano perso la vita quasi tutti i membri della squadra.Quell’anno George Best vinse senza discussioni il Pallone d’Oro.
Con il Manchester United segnò 137 gol in 361 partite vincendo la Coppa dei Campioni, 2 Campionati, una FA Cup, due Charity Shield e due titoli di capocannoniere. Con la Nazionale dell’Irlanda del Nord giocò 37 partite segnando 6 gol. Ma iniziò a prendere il sopravvento la sua vita sregolata, fatta di eccessi e di vizi che incisero sull’attività sportiva: ubriachezza, risse nei pub,allenamenti saltati, litigi con Matt Busby che non riusciva più a gestirlo né a sopportarlo perché anche in campo non era più lo stesso. Nel 1974 George Best lasciò il Manchester United e incominciò il suo vagabondaggio per il mondo giocando negli improbabili campionati in Sudafrica, Stati Uniti e Hong Kong. Ma oramai non c’era più entusiasmo per il Calcio e perciò diede fondo alle sue altre passioni: il lusso, le belle donne, il gioco d’azzardo e l’alcool. Riuscì però ancora a sfruttare la sua immagine e la popolarità internazionale ancora salda. Iniziò a vendere la sua immagine come un vero divo tramite sponsorizzazioni, campagne pubblicitarie, apparizioni, gestione di ristoranti e locali, promuovendo nel mondo il brand “George Best”. Ma continueranno gli alti e bassi di una vita fatta di danaro sperperato, sbronze colossali, arresti e comportamenti intollerabili. Aveva 56 anni quando fu inevitabile per lui subire un trapianto di fegato per cercare di porre rimedio agli effetti disastrosi dell’alcool, ma la salute era oramai compromessa in maniera definitiva e il tempo che gli rimase non fece altro che rimarcare i disastri compiuti da una vita vissuta oltre ogni limite. Ma del ricordo immutato che restò di lui nel cuore dei tifosi e delle gente comune se ne ebbe prova dalla folla immensa che lo accompagnò nel suo ultimo viaggio; tra le tante maglie e sciarpe rosse si intravidero altre due leggende dei Red Devils, Sir Alex Ferguson e Sir Bobby Charlton. A suo ricordo imperituro gli irlandesi vollero intitolargli l’Aeroporto Internazionale di Belfast.
Era il 25 novembre 2005; al Cromwell Hospital di Londra la malattia pose fine alla sua strada diventata troppo lunga e tortuosa da percorrere. Da qualche parte fuori dall’ospedale qualcuno stava ascoltando The long and winding road, una delle più belle canzoni dei Beatles.