
Tra le cose più inutili in ambito sportivo ci sono le classifiche che non si basano su dati oggettivi bensì sull’opinione di sedicenti esperti; chi sia stato il miglior calciatore della storia rappresenta proprio l’esemplificazione di tale concetto, laddove ad un giudizio unanime non si arriverà nemmeno nei secoli a venire. Oggi raccontiamo un personaggio che tutte le classifiche concordano nel collocare sul podio dei migliori tre calciatori del ventesimo secolo. Ma se al fuoriclasse come calciatore sommiamo anche il grande allenatore arriveremo alla conclusione che proprio lui ha rappresentato la massima espressione del calcio di ogni epoca.
Johan Cruijff ( Amsterdam, 25 aprile 1947 – Barcellona, 24 marzo 2016). Da calciatore vinse nove Campionati olandesi, sei Coppe dei Paesi Bassi, un Campionato spagnolo, una Coppa di Spagna, tre Coppe dei Campioni, una Coppa Intercontinentale; vinse per tre volte il Pallone d’oro. Da allenatore vinse due Coppe d’Olanda, una Coppa di Spagna, quattro Campionati spagnoli, tre Supercoppe di Spagna, due Coppe delle Coppe, una Coppa dei Campioni e una Supercoppa UEFA. È uno dei sette allenatori che si sono aggiudicati la Coppa dei Campioni/Champions League dopo averla vinta anche da giocatore.
Con la nazionale d’Olanda, che negli anni ’70 giocava il miglior calcio al mondo, non ebbe fortuna perdendo la finale del Mondiale nel ’74 in Germania contro i padroni di casa; la stessa cosa successe nel ’78 in Argentina sempre contro i padroni di casa, ma a quel mondiale Cruijff dovette rinunziare; in ambedue i casi gli “orange” recriminarono per avversi fattori esterni che condizionarono l’esito delle partite, soprattutto la finale persa ai tempi supplementari contro l’Argentina.
Iniziò a giocare nel settore giovanile dell’Ajax a dieci anni. Aveva un fisico troppo esile e dovettero allenarlo a parte per potenziare una muscolatura che appariva inadeguata per qualsiasi attività sportiva. Il calcio olandese fino alla metà degli anni sessanta era davvero poca cosa, muovendosi in ambito semi dilettantistico. Poi entrò in scena un signore a cui è attribuita un’innovazione rivoluzionaria nel gioco: Rinus Michels, l’ideatore del c.d. gioco totale che in Johan Cruijff trovò il suo profeta. Oggi si ritiene che senza Michels né Sacchi né Guardiola avrebbero potuto realizzare il loro gioco. Ma per una compiuta e corretta ricostruzione storica sarebbe opportuno ricordare che all’inizio degli anni ’50 i concetti di ruoli intercambiabili, di falso centravanti e di tattica del fuorigioco con la difesa alta vennero già applicati da Gusztav Sebes, l’allenatore della grande Ungheria, che fece suoi gli insegnamenti di Jimmy Hogan e che prima di Michels in Olanda era stato Ernst Happell con il Den Haag e il Feyenoord a presentare un gioco fatto di velocità e intensità, con la difesa schierata a zona e il pressing asfissiante a tutto campo.
E’ nell’architettura dell’Ajax di Michels che Johan Cruijff divenne “il direttore del gioco”, indicando ai compagni di squadra dove posizionarsi e con quali tempi muoversi. Ogni giocatore doveva occupare lo spazio lasciato libero da un compagno in modo da lasciare inalterato lo schieramento; nessuno aveva un ruolo fisso e tutti dovevano saper far tutto al momento giusto e nel minor tempo possibile, operando indifferentemente come attaccante, centrocampista o difensore. Soprattutto, il giocatore che perdeva palla non doveva restava lì a rammaricarsi, ma doveva essere il primo a muoversi per la riconquista del pallone che diventava un fattore essenziale. Era un gioco che si poneva in antitesi sia con quello sudamericano, basato sulla tecnica sopraffina e sulle giocate personali di grandi giocatori, sia con quello europeo molto prudente e attento soprattutto alla rigidità dello schieramento.
Indossò la celebre maglia n. 14 dal 1970 e su questo ci sono due versioni: la prima di Gerrie Mühren, suo compagno di squadra, che prima di una gara di campionato non riusciva a trovare la sua maglia n.7, cosicché Cruijff gli cedette il suo 9 e si prese quella con il 14 tirandola fuori dalla cesta delle maglie: l’Ajax vinse con facilità e da quel momento Johan indossò la maglia contrassegnata dal n. 14. La seconda, raccontata dallo stesso Cruijff, secondo cui in quella stagione l’Ajax aveva deciso di adottare una numerazione personalizzata, sicché i giocatori avrebbero mantenuto lo stesso numero appunto per tutta la stagione; essendo lui infortunato, quando tornò in campo era disponibile solo il n. 14 che, da quel momento, divenne il suo portafortuna.
Pur non essendo una punta nel senso stretto del termine, preferendo essere il geometra della manovra e non il terminale dell’azione, segnò 428 reti in 754 partite ufficiali. La sua idea fissa del possesso del pallone giocato nella maniera più rapida e intelligente la sviluppò compiutamente da allenatore del Barcellona dove per i suoi schemi ideò esercizi appositi; i canoni fondamentali erano possesso palla e velocità, verticalizzazioni e fraseggi nello stretto, attaccanti intercambiabili e soprattutto il playmaker di centrocampo spostato lateralmente. A quella filosofia e stile di gioco si adattarono giocatori del calibro di Guardiola, Laudrup, Goikoetxea, Louis Enrique, Begiristain, Stoichkov, Romario, Koeman e Hagi; soprattutto con quella visione del gioco crebbero nella cantera giocatori come Xavi, Iniesta, Fabregas e Arteta che negli anni a venire fecero la fortuna dei Blaugrana.
Se la sua grandezza tecnica e la sapienza tattica non vennero mai discussi, altrettanto non si può dire per il suo carattere ombroso e suscettibile che fu l’origine di molti dissidi. Nell’estate del 1973, durante il ritiro precampionato, la squadra decise di non confermare Cruijff come capitano e lui se la prese tanto da lasciare l’Ajax per il Barcellona allenato dal suo maestro Michels.
Nel campionato 1974-1975 il Barcellona si classificò al terzo posto, dietro a Real Madrid e Real Saragozza. Con la partenza di Rinus Michels iniziarono i primi problemi per Cruijff. Arrivò sulla panchina Hennes Weisweiler e il dissidio fra l’allenatore e il giocatore olandese continuò per tutta la stagione; Weisweiler considerava Cruijff un giocatore qualsiasi, ma la sua banale quanto immotivata presunzione si scontrò con il valore e il carisma dell’olandese e alla fine l’allenatore tedesco venne esonerato per richiamare in Catalogna proprio Michels. Ma una serie di fattori, compreso lo stravolgimento dell’assetto societario, portò Cruijff ad annunciare un primo ritiro dalle scene calcistiche all’età di trentuno anni. Riprese a giocare con qualche esperienza negli Stati Uniti e di nuovo in Olanda con il Feyenoord; poi iniziò la carriera di allenatore con il suo Ajax dal 1985 al 1988. Dal maggio 1988 ritornò a Barcellona come allenatore e sotto la sua gestione tecnica i catalani ottennero risultati mai raggiunti nel corso della loro storia, vincendo per quattro volte consecutive la Liga e mettendo in bacheca anche una Coppa del Re, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa UEFA; arrivarono infine alla conquista della loro prima Coppa dei Campionibattendo per 1-0 a Wembley la Sampdoria di Gianluca Vialli e Roberto Mancini. Ma il 18 maggio 1994 ad Atene il Barcellona perse contro ogni pronostico la finale di Champions League subendo un pesante 0-4 dal Milan di Capello. Quella sconfitta Cruijff la imputò al Club e il rapporto con la società si deteriorò trascinandosi stancamente fino a quando in pratica si fece esonerare nel maggio 1996. Oramai era nella fase conclusiva della carriera, soprattutto perché la salute si stava pregiudicando in maniera definitiva.
«Nella mia vita ho avuto solo due vizi: uno, il calcio, mi ha dato tutto; l’altro, il fumo, stava per togliermelo». Era stato il “profeta del gol” ma non fu buon profeta per la sua salute perché fu proprio l’eccessivo vizio del fumo (si dice che fumasse circa ottanta sigarette al giorno) che gli causò una serie di infarti miocardici, due interventi al cuore e infine un tumore ai polmoni; morì il 24 marzo 2016 quando da poco aveva compiuto sessantanove anni. Per gli olandesi il calcio ha un solo nome, il suo, e la Johan Cruijff Arena è lo stadio dell’Ajax e della nazionale olandese. Nella storia di questo sport resta un esempio inimitabile di tecnica, stile e sapienza tattica esaltate da una personalità che ha avuto pochi eguali. E’ stato uno di quei rari esempi in cui un singolo giocatore ha saputo moltiplicare il valore della squadra, consentendo a tanti buoni giocatori di andare ben oltre le loro possibilità. Ma rispetto a tanti campioni del passato ha avuto un merito ulteriore, quello di aver tramandato a giovani calciatori un modo innovativo di giocare e diversi di quei giocatori sono diventati un mito. Johann Cruijff, una leggenda senza tempo che ancora oggi lascia il segno sui campi di calcio.