• 7 Aprile 2025

Sono in tanti quelli che non hanno mai visto una partita di calcio allo stadio, ma ciò non ha scalfito la loro passione; gli è bastato per decenni ascoltare una radiolina, fino a quando sono giunte le immagini televisive che hanno reso spettatore diretto chiunque e dovunque. In ambedue i casi la narrazione non ha mai sminuito il fascino e l’epicità della contesa. Anzi, proprio qualche celebre commento del cronista o il suo tono a volte particolarmente enfatico hanno spesso accresciuto il pathos dell’evento consegnandolo alla storia dello sport; di questo dobbiamo rendere grazie ad un gruppo di commentatori sportivi la cui voce ha segnato un’epoca oramai lontana. E’ da poco che ci ha lasciati anche l’ultimo grande cronista del nostro calcio, Bruno Pizzul, erede di  Nicolò Carosio e Nando Martellini: per 69 anni sono stati la voce narrante della nostra Nazionale di calcio.

Nicolò Carosio, il maestro di tutti. Un tono di voce pacato, un racconto preciso e senza dettagli inutili; evitava i termini calcistici in inglese e fu celebre il suo “quasi gol” con cui appellava le realizzazioni mancate per un nonnulla. Con cappotto, sciarpa e cappello, su una sediolina a bordo campo o su di una tribuna in legno, per trentasette anni commentò i trionfi della nostra Nazionale e delle nostre squadre di club.  La sua prima partita ufficiale per radio fu l’amichevole disputata il 1° gennaio 1933 a Bologna tra Italia e Germania.  Nel 1934 inaugurò per l’EIAR le radiocronache dei Mondiali di calcio che l’Italia vinse; due anni dopo fu la voce della Nazionale di calcio alle Olimpiadi di Berlino dove l’Italia si aggiudicò la medaglia d’oro, così come furono sue le radiocronache ai Mondiali di calcio del 1938 in Francia vinti nuovamente dall’Italia. Nel 1954 iniziarono ufficialmente le trasmissioni televisive in Italia. Il 24 gennaio Carosio effettuò la telecronaca della prima partita trasmessa in diretta della Nazionale italiana: Italia – Egitto 5-1, valevole per le qualificazioni ai Mondiali di Svizzera. Fu il telecronista delle vittorie di Inter e Milan in Coppa dei Campioni del 1963, 1964, 1965 e 1969, del Mondiale del 1966 in Inghilterra, del Campionato Europeo del 1968 vinto dall’Italia, concludendo la carriera con il Mondiale del 1970 in Messico. Se per radio a volte accentuava il tono del racconto a beneficio di chi lo ascoltava, le sue telecronache furono sempre un esempio di stile. Aveva commentato tutti i trionfi azzurri tra cui due titoli mondiali, un europeo e un olimpiade, ma gli toccò commentare anche quell’Italia – Corea del Nord del 19 luglio 1966 a Middlesbrough, la partita che per sessant’anni sarà ricordata come la pagina più nera della nostra Nazionale. Sul triplice fischio del francese Schwinte che sancìla vittoria per 1 a 0 dei coreani, Carosio chiuse la telecronaca in maniera lapidaria con il suo solito aplomb: “L’Italia è eliminata dalla ottava edizione della Coppa Rimet”; forse nell’occasione nemmeno lui riuscì a trovare le parole.

Il suo successore fu Nando Martellini che in carriera seguì e commentò sia per la radio che per la televisione 10 Campionati del mondo di calcio, 18 Giri d’Italia, 12 Tour de France e 3 Olimpiadi,totalizzando quasi 2000 telecronache tra calcio e ciclismo. Esordì il 22 ottobre 1958 come radiocronista di Inghilterra-Russia finita 5-0. Passato dalla radio alla televisione, commentò la seconda partita di finale del Campionato Europeo di calcio del 1968 tra Italia e Jugoslavia, vinta dagli azzurri per 2 a 0; la prima finale, disputata due giorni prima, era finita 1 a 1 e l’aveva commentata Nicolò Carosio. Il 17 giugno 1970, al Mondiale in Messico, con calcio d’inizio quando da noi era scoccata mezzanotte, fu sua la telecronaca della leggendaria semifinale tra Italia e Germania Ovest finita 4 a 3, così come quella della finale giocata il 21 giugno e purtroppo persa dagli azzurri contro il Brasile per 4 a 1.

L’11 luglio 1982 commentò la finale del Campionato Mondiale di calcio tra Italia e GermaniaOvest, vinta dagli azzurri per 3-1. Sul triplice fischio del brasiliano Coelho resterà indimenticabile il suo “Campioni del mondo! Campioni del mondo! Campioni del mondo!”, detto tre volte come tre erano i titoli mondiali dell’Italia. In quell’occasione aumentò solo di poco il tono della voce, una giustificata eccezione alla elegante pacatezza delle sue impeccabili narrazioni. Avrebbe dovuto commentare anche il mondiale in Messico del 1986  ma, una volta giunto in terra messicana, un malore ivi accusato per l’altitudine lo costrinse a rientrare in Italia e a passare definitivamente il testimone.

Fu Bruno Pizzul che ne prese il posto; è stato l’ultimo grande telecronista della RAI in un mondo della comunicazione che con l’avvento dei grandi Network stava cambiando radicalmente. Ma stava cambiando  lo sport stesso, oramai soggiogato dai diritti televisivi che avrebbero finito con l’assumere ogni decisione organizzativa lasciando ai protagonisti la semplice disputa dell’evento sportivo. Pizzul commentò la sua prima partita l’8 aprile 1970: Juventus-Bologna, spareggio di Coppa Italia disputato sul campo neutro di Como. Fatto curioso e forse unico, arrivò con quindici minuti di ritardo e cominciò a commentare quella partita dal 16º minuto; fortunatamente la partita era trasmessa in differita e perciò si poté rimediare registrando la parte mancante. La sua prima finale di una competizione internazionale fu quella del campionato europeo del 1972 a Bruxelles, con la vittoria della Germania Ovest sull’URSS per 3-0.

Il 29 maggio 1985, allo stadio Heysel di Bruxelles, c’era lui a commentare la finale della Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, quella che resta una delle pagine più vergognose nella storia dello sport mondiale.  Cercò di assolvere il suo compito in una situazione tragicamente irreale, mantenendo un tono pacato anche quando pronunciò la frase che è rimasta nella storia di quella serata e del giornalismo: “E ora purtroppo una notizia che debbo dare, perché è ufficiale, viene dall’Uefa. Ci sono 36 morti… Una cosa rabbrividente, inaudita… e per una partita di calcio”. In realtà i morti furono 39, di cui 33 tifosi italiani. La partita fu fatta disputare ugualmente, con un’ora e venticinque minuti di ritardo sull’orario ufficiale, allo scopo dichiarato di evitare che la situazione potesse ulteriormente degenerare; con grande professionalità e con una forza d’animo eccezionale lui la commentò fino all’ultimo minuto pur mantenendo un tono del tutto distaccato e impersonale.Per la RAI ha raccontato le principali partite di squadre calcistiche di club nelle competizioni europee e nazionali. E’ stato la voce della Nazionale in cinque Campionati Mondiali, quattro Campionati Europei comprese le relative partite di qualificazione. L’ultima partita dell’Italia da lui commentata fu l’amichevole giocata il 21 agosto 2002 a Trieste contro la Slovenia. E’ rimasta celebre la sua frase “Tutto molto bello” con la quale sottolineava un’azione spettacolare.

Ma se la televisione ha cambiato lo sport rendendolo visibile dovunque e da chiunque, la radio ne è stata non solo lo strumento primario di diffusione, ma soprattutto una fondamentale scuola di formazione per coloro che quegli eventi li hanno raccontati. Questo è valso non solo per il calcio, ma soprattutto per quegli sport che fino ad una certa epoca hanno avuto una grandissima diffusione popolare, come il ciclismo e la boxe, che oggi scontano un ingiusto oblio dettato da scelte televisive di natura esclusivamente commerciale. Quelli con i capelli bianchi hanno ancora vivo il ricordo di quella notte del 18 aprile 1967 quando, sul ring del Madison Square Garden, Nino Benvenuti divenne campione del mondo dei pesi medi battendo ai punti Emile Griffith. Per la differenza di fuso orario con New York qui in Italia era notte fonda e la RAI decise di non trasmettere la telecronaca, affidandosi alla sola diretta radiofonica. Quella notte fummo oltre diciotto milioni gli italiani di ogni età incollati alle radioline ad ascoltare la voce appassionata, tesa e poi commossa di Paolo Valenti che quell’incontro, più che raccontarlo, ce lo fece quasi vedere.  

Ritornando al calcio, gli appassionati hanno potuto da sempre seguire il loro sport preferito grazie ad una lunga schiera di grandi radiocronisti che tante volte conferirono al racconto un magistrale tocco di epicità. Incontrando gran parte di loro la gente non li avrebbe riconosciuti, ma le loro voci erano inconfondibilmente note come quelle dei cantanti più famosi o dei divi del cinema: Nicolò Carosio, Nando Martellini, Enrico Ameri, Guglielmo Moretti, Sandro Ciotti, Mario Ferretti, Paolo Rosi, Adone Carapezzi, Claudio Ferretti, Bruno Pizzul, Beppe Viola, Everardo Dalla Noce, Maurizio Barendson, Alfredo Provenzali, Paolo Valenti, Roberto Bortoluzzi, Gilberto Evangelisti, Andrea Boscione, Mario Giobbe, Ezio Luzi, Carlo Nesti, Emanuele Dotto, Riccardo Cucchi, Bruno Gentili, Livio Forma e mi scuso se involontariamente ne ho dimenticato qualcuno.

C’è una trasmissione radiofonica che è diventata un cult, permettendo ad una nazione intera di seguire in diretta il campionato di Serie A:  “Tutto il calcio minuto per minuto” ebbe iniziodomenica 10 gennaio 1960. Il collegamento coincideva con l’inizio dei secondi tempi e solo dal Campionato 1977-78 la trasmissione coprì sin dal fischio d’inizio. Dalla stagione 1969-70 la Rai ottenne l’autorizzazione per trasmettere tutte le giornate di campionato perché fino ad allora le ultime quattro ne erano rimaste escluse.

Gentili ascoltatori, buon giorno…”: per ventisette anni la voce di Roberto Bortoluzzi segnò l’inizio di un momento clou nella domenica degli italiani. Persino il pranzo si interrompeva e non c’erano legami familiari, affettivi o lavorativi che potessero distogliere gli appassionati dall’apprestarsi all’apparecchio nel salotto di casa o ad incollarsi all’orecchio la radiolina a transistor. Bortoluzzi coordinava i campi dallo studio, secondo una scaletta predefinita che prevedeva il “campo centrale”, cioè la partita più importante, affidata alla voce di Enrico Ameri, e poi a seguire le partite in ordine di importanza con Sandro Ciotti  dal secondo campo, in un ordine interrotto solo dal cambio di qualche risultato. Ed è così che la domenica degli italiani riprendeva il suo corso normale solo dopo la celeberrima sigla che chiudeva il programma a partite ultimate. A volte immagino di risentire una voce inconfondibilmente arrocchita da un edema  alle corde vocali e dalle 40 sigarette senza filtro fumate ogni giorno, quella con cui Sandro Ciotti interrompeva il campo principale con il suo celeberrimo “Scusa Ameri”. Ma quei microfoni sono spenti per sempre.

Oggi viviamo in un’altra epoca, con un calcio che si è adeguato alla comunicazione globale. Le telecronache non hanno più alcun fascino, il tono del cronista è spesso fuori contesto e  i commenti a sproposito si sprecano. Ma c’è un rimedio infallibile: basta togliere l’audio.

Autore

Nato a Napoli nella seconda metà degli anni cinquanta. Sportivo appassionato, calciatore in gioventù, dirigente sportivo di società del settore giovanile. Avvocato con molteplici hobby e scrittore a tempo perso, ha pubblicato due romanzi e una raccolta di racconti di Calcio.