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La Storia è piena di episodi dimenticati, di solito perché il trascorrere del tempo li ha ridotti a mero oggetto di studio, a volte per una precisa volontà; nella seconda ipotesi l’imposizione dell’oblio è addirittura benevola perché l’alternativa sarebbe la mistificazione o la delegittimazione. Aristotele diceva che “le bugie dei vincitori diventano storia mentre quelle dei vinti vengono scoperte” e probabilmente aveva ragione. C’è però un ulteriore elemento che non riguarda direttamente vincitori e vinti, ma finisce con l’assumere comunque grande rilevanza: la narrazione che ne fanno i servi dei vincitori per cercare di togliere importanza ad un avvenimento con la stessa faziosità imputata a chi ne aveva invece esaltato la grandezza.
Una partita di Calcio la si può paragonare ad una battaglia riportata nei libri di storia. Vincitori e vinti la racconteranno in due modi diversi, di solito in maniera opposta, e anche nel tempo a venirediventerà oggetto di infinito dibattito senza che si troverà un giudizio condiviso. Vi è inoltre da considerare che nella realtà non esiste più lo Sport inteso come veicolo di unione tra i popoli al di làdi ogni barriera politica, sociale e ideologica. Nell’antica Grecia la sacralità dei Giochi Olimpici faceva sospendere persino le guerre in atto; possiamo perciò comprendere lo spirito nobile con cui il Barone Pierre De Coubertin fu il promotore delle Olimpiadi moderne. Solo che De Coubertin non poteva immaginare che di lì a breve sarebbero state le guerre a far sospendere le Olimpiadi e ogni altra manifestazione e che lo Sport, soprattutto il Calcio, sarebbe stato corrotto dal danaro e diventato anche strumento di propaganda ideologica. Questa premessa è stata necessaria per poter narrare di un quadriennio che nessuna altra nazione ha mai eguagliato, i quattro anni in cui la Nazionale Italiana di calcio vinse il Campionato del Mondo del 1934 e del 1938 intervallati dall’Olimpiade del 1936, senza dimenticare le due Coppe Internazionali (manifestazione antesignana del Campionato Europeo di calcio<z) vinte nel 1930 e 1935. E’ anche il racconto del suo artefice, Vittorio Pozzo, che nella storia del calcio è l’unico C.T. di una Nazionale ad aver vinto due Campionati del Mondo. Oggi sono vittorie dimenticate, soprattutto perché associate a quel particolare momento storico vissuto dall’Italia.
Vittorio Giuseppe Luigi Enrico Pozzo ( Torino, 2 marzo 1886 – Torino, 21 dicembre 1968). E’ stato il più longevo C.T. della Nazionale italiana: aveva già ricoperto questo ruolo per pochi mesi nel 1912 e nel 1924, ma lo fu ininterrottamente dal 1° dicembre 1929 al 5 agosto 1948. Non si limitò al suo ruolo perché del calcio fu anche un raffinato teorico dalla grande sapienza tattica. Nel 1926 Herbert Chapman aveva ideato il “Sistema”, il nuovo modulo 3-2-2-3 che visto graficamente sembrava disegnare sul terreno di gioco una W ed una M. Nello stesso periodo in Italia si stava sviluppando un altro disegno tattico. Proprio Vittorio Pozzo, allenatore sia della Nazionale che del Milan, insieme al tecnico dell’Austria Hugo Meisl, sviluppò una sua variante della c.d. Piramide di Cambridge (2-3-5). Dal punto di vista offensivo Pozzo studiò un cambio simile a quello di Chapman: far indietreggiare verso il centrocampo le due mezze ali d’attacco che però non diventavano dei trequartisti restando più arretrate. In difesa Pozzo decise di arretrare i due mediani destri e sinistri in difesa facendoli diventare a tutti gli effetti dei difensori esterni; allo stesso tempo fece arretrare anche il mediano centrale che andò a posizionarsi tra i due ricoprendo un ruolo a metà tra il centrocampo e l’attacco. Questo nuovo ruolo, chiamato del centromediano metodista, divenne quello chiave della squadra perché il giocatore che lo interpretava aveva il compito di iniziare ed impostare la manovra. La sua difesa a quattro fu l’antesignana delle attuali difese con due centrali e due esterni. Visto graficamente questo 2-3-2-3 sembrava disegnare sul campo due W; fu così che nacque il WW che sarà da lì in poi conosciuto come il “Metodo”. Nel rapporto con i giocatori Vittorio Pozzo dimostrò grandi doti di motivatore e fu tra i primi ad utilizzare i ritiri prepartita per cementare lo spirito di squadra. Per evitare ingerenze esterne, in prossimità delle partite impediva ai suoi giocatori di leggere i giornali e controllava personalmente la corrispondenza che arriva dall’esterno; da buon ex ufficiale degli Alpini organizzava in maniera quasi militare la vita dei suoi giocatori, come se si trovassero in caserma, e i risultati gli diedero ragione. Fu il primoCommissario Tecnicoa convocare gli “oriundi” sudamericani in occasione del Mondiale del ’34, osservando al riguardo: “Se possono combattere per l’Italia, possono anche giocare per l’Italia”. L’utilizzo degli oriundi in Nazionale fu ripreso tra il finire degli anni ’50 e gli anni ’60, ma senza risultati apprezzabili.
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Il quadriennio d’oro iniziò con il Campionato del Mondo svoltosi in Italia nel 1934. Il cammino dell’Italia fu abbastanza agevole: 7 a 1 agli Stati Uniti, 1 a 0 alla Spagna, 1 a 0 all’Austria e 2 a 1 alla Cecoslovacchia dopo i tempi supplementari nella finale disputata a Roma il 10 giugno 1934. La formazione tipo schierata fu Combi, Monzeglio, Alemandi, Ferraris, Monti, Bertolini, Guaita, Meazza, Ferrari, Schiavio e Orsi. Indubbiamente fu una vetrina trionfale per Mussolini che cercò di mostrare un’efficienza organizzativa e una struttura sociale abbastanza distante dalla realtà. Contrariamente a molte successive tesi speculative, Vittorio Pozzo non fu un fascista organico al Regime, come testimoniano alcuni passi di due noti giornalisti e scrittori ideologicamente in antitesi con il Fascismo.
“Il commissario unico era un ufficiale degli alpini e un fascista di regime. Vale a dire uno che apprezzava i treni in orario ma non sopportava gli squadrismi, che rendeva omaggio al monumento degli alpini ma non ai sacrari fascisti.» (Giorgio Bocca. Pozzo, Meazza e Piola. L’Italia a misura d’uomo. «La Repubblica», 7 luglio 2006). «Vittorio Pozzo era riuscito a gestire la nazionale, che pure il regime voleva usare come strumento di propaganda, tenendola abbastanza lontano dalle pressioni e dalle tresche dei gerarchi. Pozzo non fu antifascista, né mai pretese di esserlo, ma non fu nemmeno banditore troppo strumentalizzato da parte del potere. Forse quello fu l’unico modo per evitare che la sua squadra diventasse la Nazionale di Mussolini.» (Giampaolo Ormezzano. Il calcio: una storia mondiale. Longanesi, Milano, 1989). Ma gli avversari ideologici, anche molto tempo dopo e finanche in tempi recenti, cercarono di far passare questa vittoria come una prova di forza del Regime che aveva acquisito i favoritismi da parte degli arbitri, intimidito gli avversari giungendo persino a corromperli con valige colme di banconote. Una teoria questa che sarà smentita dai fatti.
Le Olimpiadi del 1936 vennero organizzate dalla Germania di Adolf Hitler che mise in campo tutta la potenza teutonica. Il Fuhrer volle una macchina organizzativa perfetta, soprattutto per dimostrarela supremazia ariana. In tale contesto è molto difficile ipotizzare che potesse concedere graziosamente a qualcuno un titolo olimpico tra i più sentiti come quello del calcio, tantomeno a quello che oramai poteva considerarsi un amico e prossimo alleato, Mussolini. Ma la Germania fu sorprendentemente eliminata ai quarti dalla Norvegia mentre l’Italia fece un altro percorso netto battendo 1 a 0 gli USA, 8 a 0 il Giappone, 2 a 1 la Norvegia e 2 a 1 l’Austria nella finale disputata il 15 agosto a Berlino alla presenza del Fuhrer. La formazione tipo, per regolamento composta da dilettanti, fu Venturini, Foni, Rava, Baldo, Piccini, Locatelli, Frossi, Marchini, Bertani, Biagi e Gabiotti. Fu questa la prima dimostrazione che la vittoria del Mondiale di due anni prima non era stata una “vittoria di Regime”; la riprova decisiva si avrà appena due anni dopo.
Il Mondiale del 1938 si giocò in Francia. Nubi minacciose si avvicinavano e lasciavano presagire la tragedia che da lì a poco avrebbe travolto dapprima l’Europa e poi il mondo intero. In quel momento storico la Germania e l’Italia, oramai strette e indissolubili alleate, erano le nazioni più malviste in Europa e non solo. Il solo ipotizzare che qualcuno potesse favorirle, seppure in una competizione sportiva, avrebbe rappresentato una palese manifestazione di stupidità. Gli avvenimenti politici contingenti condizionarono inevitabilmente quel Mondiale: l’Austria del commissario tecnico Hugo Meisl, quarta in Italia nel Mondiale del 1934 e medaglia d’argento a Berlino nel 1936, dovette rinunciare in quanto unita alla Germania nazista con l’Anschuluss; la Spagna, ancora lacerata dalla guerra civile, non poté nemmeno prendere parte alle qualificazioni. Manco a dirlo, per l’Italia il clima fu particolarmente ostile e già all’esordio di Marsiglia contro la Norvegia ci fu una durissima contestazione nei confronti dei calciatori azzurri per la loro divisa interamente nera e per il saluto romano. Ma anche questa volta ci fu un percorso netto: 2 a 1 alla Norvegia, 3 a 1 alla Francia, 2 a 1 al Brasile e 4 a 2 all’Ungheria nella finale giocata il 19 giugno. La formazione tipo schierata da Pozzo fu Olivieri, Foni, Rava, Serantoni, Andreolo, Locatelli, Biavati, Meazza, Piola, Ferrari e Colaussi.
Il dato inconfutabile è che nel Mondiale del ’34, Olimpiadi del ’36 e Mondiale del ’38 l’Italia vinse tutte le partite disputate! Dubitare che in quegli anni l’Italia fosse stata la nazionale più forte al mondo equivarrebbe a negare l’esistenza del Sole o della Luna, ma ancora oggi una distorta quanto penosa visione ideologica persino dello sport insiste su posizioni che i fatti, prima ancora che la storia, hanno smentito.
Vittorio Pozzo, il più grande Commissario Tecnico nella storia della Nazionale di calcio, uomo di grandi conoscenze calcistiche e indiscutibile integrità morale, ebbe l’unico torto di vincere tutto in un momento storico poi ritenuto “sbagliato”. In un Paese uso ad abbondare in celebrazioni e riconoscimenti inutili, solo il piccolo Stadio di Biella e uno dei campi da gioco del Centro Tecnico di Coverciano portano il suo nome, davvero un’offesa alla memoria. Meriterebbe un adeguato ricordo e la dovuta riconoscenza da parte di un calcio ottuso, arroccato nella mera conservazione del potere e perseverante nel premiare i mediocri nonostante i modesti risultati ottenuti.