Negli anni 50 del 900 De Martino nel suo lavoro Antropologico dal titolo “Sud e magia” descriveva il misterioso mondo della magia nel Salento. A leggere quel lavoro si coglie il mistero della cultura del meridione d’Italia, attraverso fattucchiere, streghe, stregoni, maghe e maghi, un intreccio di personaggi che in realtà ripercorrono una traccia antica di tale cultura, si ripercorre dunque nel tempo il lascito della civilizzazione Magno-Greca e del passato Sannita, del loro sovrannaturale, dei culti divinatori, volti a conoscere il futuro, a proteggere i singoli, a maleficiarne altri.
Quel lontano passato che ha percorso i millenni adattandosi ai cambiamenti del tempo e delle genti, per quanto sembrava si fosse quasi perduto, negli ultimi anni è tornato con il suo bagaglio sovrannaturale, anche se nella realtà quel bagaglio non ha mai lasciato le terre del Sannio.
Sono tornati in un particolare periodo della storia del Sannio, un periodo di congiunzione economica negativa che in fondo ha impoverito le nostre terre e sono tornati, come sempre accade, per ridare speranza e conforto alle popolazioni attraverso quello strano sincretismo, unico nel suo genere, nelle terre degli antichi Sanniti.
Sono tornati per mediare tra il conosciuto terreno e il mondo del soprannaturale, dando così speranza a chi l’ha persa, vendetta a chi ha ricevuto un torto, donando amore a chi lo ha perso, a chi non è ricambiato, in un vortice di riti, culti, oggetti, formule magiche, a cavallo tra il bene ed il male, spesso alla vana ricerca dell’impossibile.
I nostri luoghi, le nostre terre, risentirono di quella affascinante cultura greca e nonostante Cuma, Pithecusae, poi Neapolis fossero per i Pentri ad una distanza chilometricamente breve ma culturalmente abissale, nei loro contatti ed in seguito dominazione di alcuni di tali luoghi, i Sanniti inclusero nei loro costumi quegli elementi divinatori che poi entreranno a far parte dei misteri religiosi e divinatori del popolo.
Così nel tempo con gli ovvi cambiamenti e trasformazioni riti e misteri hanno attraversato i secoli adattandosi ai tempi, per infine affiancarsi a supporto del cristianesimo prima e del cattolicesimo poi, condividendo con esso alcuni elementi, mentre in altri trovandosi in totale contrapposizione.
Divengono così elementi della cultura popolare, i quali non risolvono solo problemi di ordine sovrannaturale ma anche di ordine olistico attraverso l’uso di piante, erbe, minerali. Una miscellanea di magia, mineralogia, erboristica, astrologia ed astronomia a servizio dell’uomo in particolare dei più umili e poveri.
“Ru magu, a maona, a strega, a janara, ru streone” nella nostra realtà esistevano tali figure al maschile o al femminile. Erano conoscitori di una magia benevola ma contemporaneamente di una malevole, poiché il misterioso mondo magico si divideva da sempre in due elementi contrapposti, il bene ed il male appunto. Operando il bene potevano sciogliere il malocchio, le fatture o proteggere da ambedue, operando per il male potevano fare il malocchio, le fatture, e fare del male a cose, animali, uomini e piante.
Il malocchio, il primo degli elementi conosciuti: esso non è sempre diretto poiché si può portare sfortuna e malaugurio, o disturbi fisici quale l’emicrania, la nausea ed il vomito, senza volerlo si può far perdere la lievitazione al pane, tutto ciò senza essere cosciente di tale capacità. L’invidia, la gelosia inconscia divengono così elementi vivi e reali attraverso il malocchio, si materializzano per così dire e tale cosa può essere sentita da alcuni animali, come i cani ed i gatti che avvertono chi è portatore di malocchio, in sua presenza si innervosiscono, ringhiano, soffiano, arricciano il pelo. Ma il malocchio non si limita a così pochi elementi, può far morire fiori ed alberi, può far ammuffire il grano ed il mais conservati per l’inverno, può “mandare in aceto” il vino che fino al giorno prima era una prelibatezza o ancora “arancidire l’olio” inacidirlo, durante la lavorazione del maiale poteva far “ncartà a sausiccia” incartare la salsiccia, ovvero scollare il budello in cui era avvolta creando così un interspazio che faceva decomporre la carne, tutto ciò dopo una innocua e semplice visita del portatore inconscio di malocchio. Ma tutto ciò poteva essere diretto, voluto, cercato, consapevoli di ciò che si stava attuando, consapevoli di poter fare del male senza toccare alcuno, rivolgendosi a chi di “dovere”.
Al mal di testa ed alla nausea si poteva ovviare attraverso una sorta di contro malocchio detto semplicemente “ru malocchiu, famme ru malocchiu” inteso per fare il malocchio, slegare dunque il malocchio. Questo era praticato da persone comuni a cui era stato insegnato da altri durante la notte di Natale. Quando si praticava “ru Malocchiu”, si slegava, ci si segnava più volte con il segno di croce e si recitava una sorta di preghiera, se si aveva il malocchio, chi lo stava sciogliendo iniziava a sbadigliare o ancora ad eruttare, più sbadigliava più eruttava più il malocchio era “forte”. A volte dopo un lungo lavoro di scioglimento tutto sembrava passato, ma dopo un po’ ricompariva e all’emicrania seguiva il vomito ed allora si analizzava il vomito, alla ricerca di elementi “strani”. Peli, corpi estranei, come lunghi capelli o bottoni o addirittura chiodi e lunghi pezzi di spago, questi erano segno di certo che si era oltre il malocchio, trattavasi di “fattura” e allora occorreva l’aiuto di un “maone o maona” allora significava che la cosa era voluta da qualcuno e poteva essere fattura pericolosa se non fattura di morte.
A volte non si individuavano cose strane nel vomito e quindi si cercava altrove in casa o nelle stalle, ciuffi di lana sotto il letto, piccole ingarbugliate matasse di capelli, strane raccolte di vegetali in posti improponibili, erano queste le prove inconfutabili di una fattura che valeva sia per gli uomini che per gli animali.
E quindi solo ru maone o a maona potevano porre rimedio a ciò. Ma costoro non sempre erano presenti come figure nel villaggio, e se ve ne erano potevano non essere così potenti da porci rimedio, bisognava rivolgersi altrove in altri paesi, in altri villaggi.
Nel territorio di Gioia Sannitica ancora negli anni 70 del 900 ve ne erano due, uno totalmente volto al bene che viveva alle “Cese”, un altro con una propensione anche al male ma che diciamo faceva pendere la bilancia più al bene e viveva ad “Auduni”. Ma una potente maga viveva a Cusano Mutri sulla provinciale per Pietraroja ai margini della strada. Un altro ancora viveva a Baia Latina votato al bene. Erano in tanti che optavano per la maga di Cusano Mutri poiché costei come detto era considerata la più potente tra i maghi della zona. A Baia Latina ru maone (di origini gioiesi) era uno specialista degli “abetini” piccoli sacchettini di tessuto con all’interno elementi vegetali, ma quelli veramente potenti per proteggere le persone erano quelli con all’interno pezzi di tessuto provenienti dai vestitini della prima comunione dei bambini donati come ex voto. Ed era questo elemento che rendeva molto potenti ai fini della protezione gli “abetini” poiché ciò che vi era all’interno poteva considerarsi tessuto consacrato.
Il rito di preparazione prevedeva alcuni minuti di discussione con la persona interessata, il mago chiedeva cosa era accaduto se nell’ambiente in cui si viveva si erano veduti dei “segni” che egli elencava: dei piccoli segni sulle pareti della camera da letto o sulla porta di casa, strani ragni in casa, corvi o civette che troppo spesso si posavano sulla casa o nelle immediate vicinanze a certe ore della giornata. Ma ancora strani magri gatti che gironzolavano intorno casa, o enormi cani che di notte si aggiravano nei dintorni per sparire improvvisamente appena li si scorgeva, o ancora l’apparizione di grossi e grassi rospi.
Dopo tale attenta analisi u maone si ritirava in una stanza adiacente dove consultava dei libri e preparava alla bisogna l’abetino.
A Cusano la maga dopo l’analisi formulava a volte a fil di voce delle formule e poteva anche preparare una pozione, poche gocce di liquido da prendere per un dato periodo.
Alle Cese invece ru maone era specializzato nelle cure tradizionali, “ngiarmava ri porri a a sciateca” eliminava verruche e sciatica, con la “chiara re l’ove” con l’albume delle uova lavorato risolveva distorsioni e traumi muscolari e ossei.
La frattura delle ossa si risolveva “cu a chiave” con la chiave (le vecchie grosse chiavi) che aiutava con una manovra a riallineare le ossa rotte. Ma egli curava anche il mal di stomaco, la diarrea, l’insonnia, l’emicrania, la bronchite, le infezioni urinarie i calcoli renali. Usava erbe medicali quali Salvia, Rosmarino, semi di papavero, alcune varietà di muschi e licheni, bacche di rabarbaro, preparate per infuso o macinate con l’aggiunta di olio di oliva a creare una crema. E non mancava “a preta mbucata”la pietra riscaldata al fuoco per alleviare dolori muscolari e artrosici, “a pezza mbucata” la pezza riscaldata che serviva per alleviare le coliche renali.
Ad Auduni il mago era specializzato nel salvataggio di relazioni matrimoniali, un poco di sangue mestruale nel caffè legava di passione a sé il proprio marito fedifrago. Non avrebbe guardato altra donna se non la propria moglie.
Ma chi agiva esclusivamente nel campo del male? Pozioni e riti malefici destinati a far male e danneggiare gli altri. Si poteva far perdere un raccolto attraverso un rituale e con qualche capello ed una spiga del campo interessato ciò accadeva. Ma per una fattura di morte occorreva qualcosa in più, dei capelli, un oggetto appartenuto alla persona e un rito ed il gioco, la vendetta, era cosa fatta. Morti misteriose che iniziavano con la perdita di appetito, per poi passare ad una debolezza sempre più marcata, fino al giungere della morte. E potevano così ammalarsi i bambini, o morire nel sonno all’improvviso ed allora erano morti “re tocco” di tocco, un tocco malefico. Chi era un mago del male aveva però un elemento per le sue attività, un libro, un libro di malefici, un libro demoniaco che gli permetteva di chiamare in suo aiuto le schiere demoniache. Un libro vivente in grado di fuoriuscire dal fuoco di un camino o di un forno se qualcuno tentava di distruggerlo bruciandolo. Una sorta di vangelo del male a cui per contrapporsi occorreva un mago molto potente e l’aiuto della chiesa attraverso un esorcista.
Questi stregoni del male erano persone nate la notte di Natale, uomini e donne, destinate le seconde ad essere streghe o meglio Janare le quali erano le più pericolose in assoluto ancor più di quegli uomini destinati ad essere a loro volta stregoni. Capaci di volare ungendosi il corpo con il grasso dei cadaveri per ritrovarsi a praticare riti sabbatici presso il noce di Benevento in una imprecisata località poco fuori della città. Riti orgiastici, messe nere, incontri tra stregoni per scambiarsi informazioni, formule e riti per poter rinnovare il proprio bagaglio di malefiche conoscenze. Poi prima dell’arrivo del giorno si tornava ai propri luoghi. Janare che nel loro vagare notturno manifestavano la loro presenza, il loro passaggio intrecciando le criniere dei cavalli. A volte al mattino presto poteva trovarsi il cavallo sudato, e allora significava che la Janara l’aveva cavalcato durante la notte e che lo aveva riportato poco prima. Manifestava anche in questo modo la sua presenza, a volte senza un motivo diretto ma al solo fine di dimostrare che esisteva. E allora si correva ai ripari, si ponevano dietro le porte scope di saggina a volte preparate all’occorrenza come elemento salvifico e divinatorio, la strega, la Janara avrebbe dovuto contare ogni filo di saggina, così sarebbe giunta l’alba e avrebbe dovuto abbandonare i suoi malefici intenti. Altre volte la comparsa nella stalla di un serpe o di un ramarro era sinonimo della presenza fisica della strega o dello stregone, allora significava che era certa la fattura. Li si scacciava e si ricorreva contemporaneamente al sacerdote per la benedizione di stalla, casa ed animali, e ad una maga o magone per il rito liberatorio. E il magone o la maga segnava con “a signatura” ovvero con segni di croce ed altri gesti apotropaici, gli ambienti, gli animali e gli uomini. Una sorta di benedizione dunque, accompagnata da preghiere, ma anche da frasi appena sussurrate in una sorta di scioglilingua, formule magiche. I riti di “scioglimento” di “segnatura” venivano poi pagati con una offerta in natura; uova, formaggio, a volte pollame, prodotti ortofrutticoli ma mai e poi mai in moneta, guai a proporre un pagamento monetizzato, il praticante si offendeva a morte e non avrebbe più concesso i suoi servigi. La moneta, lo sterco del diavolo, era accettata dagli stregoni, dalle streghe, dai malevoli operatori del male, perché la moneta era l’opera del loro “datore” di lavoro, del loro principe, del principe delle tenebre….il demonio, Satana, Belzebù. Per i guaritori accettare moneta significava perdere i poteri che la natura e i maestri gli avevano dato. Significava spesso perdere un sapere tramandato da padre in figli, benedetto dal bene e dalle forze del bene, nella contrapposizione e nella eterna lotta contro il male. Nelle nostre terre, i praticanti del bene avevano al “loro fianco” il principe guerriero, il comandante delle schiere celesti, quel San Michele Arcangelo, così presente in tutta l’area del Sannio, che guida da duemila anni la lotta contro il male. In costui i praticanti del bene si affidavano, nelle preghiere e nelle bisbigliate frasi apotropaiche, nella fortezza e nella ferma idea che quel potere ad essi concesso era un potere al servizio di tutti, dell’uomo, degli animali e della natura. E tutto ciò in un sincretismo religioso che altro non è stato ed è, l’unione degli elementi di antica cultura nel nuovo contesto cristiano/cattolico. L’antichità di quei riti della cultura italica e magno-greca, del bene e del male, del naturale e del soprannaturale, nella continua ricerca di una stabilità psicologica di un intrecciarsi tra modernità ed antichità, in un ritorno alle origini, riscoprendo tradizioni e pensieri che sono parte dell’identità di un popolo, di una cultura e di un passato che si perde nella notte dei tempi, nelle nebbie della protostoria, in un tempo di pastori-guerrieri, in un tempo di transumanze e di contatto continuo con la natura ed i suoi misteri. Alla luce del fuoco, sotto le stelle, tra i rumori della notte, ed i misteri del tempo e della natura, tra il visibile e l’invisibile, torna in un tempo nuovo, in un mondo diverso ma pur sempre uguale.
Ed oggi dunque cosa resta di un così mistico, misterioso e variegato mondo? Molto si era perso, parecchio è tornato. Forse sono scomparsi i malefici? Forse, chi può infine dirlo, se quei misteriosi e malefici libri non potevano essere distrutti neanche dal fuoco?
Di certo come accade in periodi di particolare contingenza economica e sociale, le persone rincorrono le speranze, cercano risposte alle problematiche di una vita divenuta quasi d’improvviso più dura e povera. Da sempre è in questo modo che riti e culti ritornano, con l’intento di portare una speranza, di portare fiducia in tempi difficili. E così è accaduto per le nostre terre, si è tornati ad accedere ad un mondo che pareva scomparso, che nella realtà era sopito sotto le ceneri del tempo in attesa di eventi. E tutto ciò non va demonizzato, va anzi preservato anche accettato poiché è parte della cultura del Sannio, parte della nostra cultura, elementi e fatti di una cultura popolare che raccoglie in sé un lungo cammino, il cammino di un popolo.