Al nome di “Mura” corrisponde uno dei tanti buchi neri della cultura italiana del Novecento. Maria Assunta Giulia Volpi Nannipieri (1892-1940), in arte appunto “Mura”, è stata una scrittrice e giornalista brillante e colta, da considerare a pieno titolo nella pattuglia di testa dei migliori autori di una letteratura popolare, “leggera”, con venature erotiche all’occorrenza, che per decenni ha fatto vendere, in un mercato apparentemente asfittico come quello italiano di inizio Novecento, letteralmente milioni e milioni di copie. Era la letteratura di Guido Da Verona, di Pitigrilli, di Mario Mariani, di Luciano Zuccoli, di Lucio D’Ambra, di Marco Ramperti e molti altri ancora. A differenza di troppi suoi colleghi, a Mura ora è toccato in sorte di poter riemergere dall’oblio grazie ad un piccolo e surreale libro che le ha voluto dedicare uno dei più noti giornalisti politici italiani: Marcello Sorgi, Mura. La scrittrice che sfidò Mussolini (Marsilio – pp. 154 – € 17,00). Sorgi si è coraggiosamente avventurato in un terreno che non è palesemente il suo e, nel farlo, ha sottovalutato i rischi dell’operazione col risultato finale di non aver fatto un buon servizio né a Mura né a se stesso.
Fin dal titolo e dai risvolti di copertina il libro di Sorgi promette quello che non può mantenere ma tanto è bastato perché alcuni compiacenti recensori cascassero con tutte le scarpe nella involontaria ma diabolica trappola allestita dall’autore e, probabilmente, dagli editor della casa editrice. Trappola che, presumiamo, sia scattata anche durante le varie presentazioni estive del volume nonché in seno alla commissione del Premio Estense che lo ha selezionato ma non premiato poche settimane fa (i lettori – “giuria popolare” – hanno scelto diversamente premiando Gaia Tortora mentre la “giuria tecnica” voleva proprio dare la vittoria al libro di Sorgi…).
Nel titolo si legge che Mura sarebbe stata «la scrittrice che sfidò Mussolini» e nella bandella di copertina, il sunto del libro, alludendo alla tragica morte della scrittrice in un incidente di volo, esordisce così: «Un incidente che forse non fu tale, con il sospetto di un coinvolgimento del duce». Bene, il lettore che abbia speso i 17 euro del prezzo del libro e si sia letto le 140 pagine scarse del volume potrà concordare su due punti: Mura non sfidò mai Mussolini ma casomai lo fece arrabbiare per qualche quarto d’ora; e, soprattutto, il dittatore non ebbe alcun ruolo o responsabilità nel precipitare su Stromboli di un aereo di linea, partito dalla Libia e diretto a Napoli. Su entrambi i punti si può essere abbastanza sicuri perché, specie nel secondo caso, è lo stesso Sorgi a confermarlo. Ora, come sia stato possibile realizzare e mandare in libreria un simile cortocircuito logico-editoriale non è facile dire. Quello che si può fare però è documentarlo. E contestualizzarlo. Perché il caso del “Mura” di Sorgi non è isolato ma si inscrive a buon titolo in una deriva che sembra aver colpito mortalmente molta della saggistica italiana. Una deriva simboleggiata dal forse inarrivabile modello del peraltro fortunatissimo – e qui si dovrà aprire prima o poi una riflessione sui lettori – libro di Aldo Cazzullo “Mussolini il capobanda” (Mondadori). Lo schema, applicato più o meno pedissequamente dai vari autori, prevede che – sicuri dell’impunità e di sufficienti recensioni compiacenti e altrettanto comodi passaggi tv – si faccia comunque un po’ di antifascismo di maniera senza badare troppo alle forme e neanche alla documentazione, alla cronologia, all’attendibilità delle fonti, alla conseguenzialità dei ragionamenti. Per cui ci si può smentire da soli a distanza di poche pagine, ci si può avventurare in tesi inverosimili, si possono confondere fatti e date. Tanto non ci sono più gli editor di una volta e, pare, neanche più i lettori di qualche tempo fa. L’epoca in cui fior di giornalisti sfornavano libri di ottima divulgazione, ben documentati e ben scritti, sembra tramontata per sempre. Non si trattava e non si tratta di ideologia ma di tecnica: a prescindere dalle tesi sostenute c’era comunque una cura nella ricerca che rimandava dritto dritto alle grandi inchieste fatte di documenti, interviste, analisi, sopralluoghi. Oggi quel giornalismo non c’è più e si vede: nei giornali e anche in molti libri.
Torniamo a Mura e alla sua “sfida” a Mussolini. Tutto si consuma in poche ore, nella mattina del 2 aprile 1934 quando nelle librerie e nelle edicole esce il trentunesimo libro di questa scrittrice minuta e arguta, ormai quarantenne, bolognese di nascita ma lombarda di adozione visto che vive tra Milano e Gavirate, nel varesotto. Il libro si intitola “Sambadù, amore negro” ed è la storia di un amore difficile tra una donna italiana e un ingegnere africano, amore che finisce male perché dopo l’iniziale passione e un figlio le differenze culturali tra i due si fanno sentire e la donna decide di lasciare “Sambadù”. La copertina del libro ritrae una donna bianca tra le braccia dell’africano e la cosa non era di quelle che potevano passare per naturali e scontate, all’epoca. Né in Italia né altrove. La cosa fece infatti imbestialire Mussolini che ordinò che il libro venisse ritirato dalla circolazione e questo nonostante, osserva Sorgi «a un’attenta lettura il libro, in sole cento pagine, lascia infatti emergere ben settantanove affermazioni razziste: la parola “negro”, sebbene di uso corrente nel 1934, viene inserita proprio per segnare la differenza tra la razza bianca e quella di colore (…) Mura usa spregiudicatamente argomenti razzisti per esaltare la razza bianca». Quindi dove starebbe la sfida che Mura avrebbe fatto al Regime? Non si sa… Anche perché, sempre Sorgi, ci ricorda che preoccupata e spaventata dal sequestro del suo libro, la scrittrice si precipitò a Roma per chiedere udienza al Duce, trovandola però solo presso Galeazzo Ciano, genero del dittatore e all’epoca responsabile dell’Ufficio Stampa del Capo del Governo, che le consigliò di lasciar decantare la situazione per far dimenticare il prima possibile l’incidente. Cosa che fece, effettivamente, visto che nei sei anni scarsi che le rimasero da vivere scrisse e pubblicò ben 13 libri senza avere noie di sorta dalla censura e lasciandone pronti per la pubblicazione altri sette, pubblicati postumi tra il 1941 e il 1945 quindi sempre sotto la potenziale “minaccia” del Regime. Che però non fece nulla. Insomma, un semplice e fastidioso “incidente di percorso” che non ebbe veri e propri strascichi, altro che “sfida” a Mussolini. Eppure, Sorgi riesce a sostenere che i libri di Mura «a poco a poco erano diventati un esempio inaccettabile di letteratura frondista per il regime, che scorgeva una minaccia in quelle trame semplici, incentrate su figure femminili in aperto contrasto con il modello fascista di donna “fattrice”, pilastro della famiglia tradizionale, che doveva dare “figli alla patria”». A ben vedere, invece, Mura era un’autrice perfettamente inserita nel sistema culturale e politico dell’epoca: era stata a lungo compagna del segretario particolare di Mussolini dal 1922 al marzo 1934, Alessandro Chiavolini. I due rimasero sempre in buoni rapporti anche quando la scrittrice si legò al suo editore, uno dei più importanti di quegli anni: Alberto Matarelli, patron della casa editrice Sonzogno che non a caso pubblicò quasi tutti i suoi libri ma mai quelli della sua rivale, Liala, a cui proprio Mura aveva sbarrato la strada alla “sua” casa editrice. A riprova che Mura non era diventata un’appestata dopo l’incidente di Sambadù ma anzi era a pieno titolo nello star system dell’Italia dei “telefoni bianchi” c’è anche il fatto che i suoi funerali videro una straordinaria concentrazione di vip: attori, scrittori e editori come Rizzoli.
Sorgi riesce, nonostante tutto questo, a “ricamare” una trama che fa di Mura una specie di paladina dell’emancipazione erotica delle donne, trascurando il fatto che un certo tipo di donna, cinica, disinibita, indipendente, era un topos molto ricorrente in tutta la letteratura popolare dell’epoca. Comunque, per sottolineare il coraggio antifascista della scrittrice, Sorgi non esita a leggere uno dei maggiori successi di Mura, il romanzo “Piccola” come un «invito alle altre donne alla “rivoluzione” contro la logica fascista, livellatrice della dimensione femminile». Peccato che “Piccola” sia del 1921, cioè un anno prima dell’arrivo al potere di Mussolini, che quindi non aveva ancora modo e tempo di pensare a come reprimere la “dimensione femminile”, ammesso che avesse questo obbiettivo… In generale, l’autore di “Mura. La donna che sfidò Mussolini” dimostra di avere un brutto rapporto con la cronologia dei fatti. Ad esempio, attribuisce il sequestro di “Sambadù, amore negro” al particolare clima del 1934 cioè «alla vigilia dell’introduzione delle leggi razziali» (che in realtà arriveranno ben 4 anni e mezzo dopo, nell’autunno 1938) e per «la sottomissione a Hitler (il 1934 è l’anno della visita ufficiale in Italia del Führer)». In realtà nel 1934 non c’era nessuna particolare vicinanza tra Italia e Germania, Mussolini non aveva simpatie per Hitler (figuriamoci poi la “sudditanza”…), che venne ricevuto nel giugno ’34 non a caso a Venezia e non a Roma, in forma tutt’altro che solenne. Senza contare che poche settimane dopo, a fine luglio ’34, ci fu una gravissima crisi tra Roma e Berlino per il tentativo di colpo di stato in Austria che costò la vita al cancelliere Dolfuss, amico personale di Mussolini che reagì inviando quattro divisioni al Brennero. Una chiara minaccia che indusse Hitler a fare un passo indietro. Insomma, collegare l’incidente di “Sambadù” ad un inesistente clima politico internazionale è un controsenso storico spiegabile con la scarsa dimestichezza di Sorgi con certi temi. Una evidenza confermata da altre sbavature come la definizione di Galeazzo Ciano quale “ambasciatore” quando nel 1934 era stato al massimo Console d’Italia a Shangai (dopo anni come ministro degli Esteri, sarà effettivamente ambasciatore, presso il Vaticano, per pochi mesi nel 1943); poco dopo si confonde anche il Ministero delle Comunicazioni (per Sorgi “della Comunicazione”) con l’evoluzione dell’Ufficio Stampa del Capo del Governo in Ministero per la Stampa e Propaganda prima (1935) e in Ministero per la Cultura Popolare poi (1937).
Dopo aver ribadito, contro ogni evidenza, che a seguito del sequestro del suo libro Mura subisce «una implicita messa all’indice da parte del regime» (nonostante abbia continuato a pubblicare al ritmo di due-tre libri l’anno…), Sorgi – per la gioia dei suoi distratti recensori – passa ad adombrare la tesi che l’incidente aereo in cui Mura trovò la morte il 16 marzo 1940 sia stato “ispirato” da Palazzo Venezia per togliersi di torno una personalità scomoda. L’ incidente «che forse non fu tale» (bandella di copertina) diventa uno “strano incidente” a pag. 107 e qualcosa di più a pag. 127: «Non è stato solo un incidente, lo schianto dell’aereo, con a bordo Mura e altre tredici persone, sul costone dello Stromboli. Il regime fa di tutto per alimentare dubbi e inquietudini che sono arrivati ai giorni nostri». Il teorema è semplice, perfetto nella sua indimostrabilità e inconsistenza: «Reticenze. Errori di comunicazione. Sollecitazioni disattese. Dilazioni. Per poi giungere ugualmente, il 21 ottobre 1940, sette mesi dopo l’incidente, alla richiesta di archiviazione delle indagini, disposta dal procuratore del re e definitivamente approvata in cinque giorni, il 26. Se tutto questo accade, ovviamente, è perché a bordo dell’aereo viaggiava la passeggera “eccellente” Mura, che ha già avuto a che fare e a che dire con Mussolini e con il suo “delfino” Ciano». E poco dopo, ecco Sorgi attribuire reticenze e ritardi «alla confusione tipica delle situazioni in cui la macchina del fascismo si mette in moto con l’obbiettivo di proteggere il Duce, o realizzarne i desideri reconditi, ottenendo spesso l’effetto opposto». Sorgi sembra molto convinto di quello che scrive eppure, tempo poche pagine si smentisce, rivelando l’arcano: l’incidente è stato causato da un errore tecnico fatto dalla Stazione Radio Goniometro di Capodichino che rilevava abitualmente le distanze intorno a Stromboli con un errore di tre gradi (pari ad uno scostamento di 15 chilometri). Un errore attribuibile alle «forti anomalie locali nel campo geomagnetico come fattore perturbatore delle indicazioni della bussola». Quindi nessun complotto ma un tragico incidente peraltro in linea con quello che accadeva, in quegli anni, nei cieli di mezzo mondo come dimostra un veloce test che chiunque può fare su internet. Eppure è forte la tentazione di pensare che bisognava coprire quell’incidente perché l’aviazione civile italiana, fortemente voluta e incentivata da Mussolini, doveva sembrare più sicura di quello che era. Di fatto quello di Stromboli non era il primo disastro aereo nei cieli italiani, come si è visto, e poi che strano modo di “coprire” chissà quali responsabilità venne messo in atto visto che, scrive Sorgi, proprio Mussolini, ministro dell’Aereonautica, «diversamente dai suoi collaboratori, reticenti, ha avuto il merito di trasmettere alla magistratura tutte le carte in suo possesso sull’incidente, confidando nella comprensione del procuratore». Le conclusioni sono da antologia del paradosso. Dopo aver adombrato complotti e finti incidenti per togliere di mezzo una scrittrice scomoda che poi tanto scomoda non era, nelle ultime pagine del libro, Sorgi fa una clamorosa marcia indietro, scagionando Mussolini e respingendo ogni ipotesi complottistica: «Infine, l’ipotesi che per togliersi di torno una scrittrice molesta come Mura si potesse arrivare a far cadere un aereo con quattordici persone a bordo, era fuori della realtà (…) In questo caso, non avendo mai Mura pensato dichiaratamente di sfidare il Duce e il suo scontro con Mussolini essendo nato dal colossale equivoco attorno al sequestro del libro, è più logico ritenere fantasiose le ipotesi sull’attentato». Insomma, fin dalla copertina, abbiamo scherzato. Ma il senso di operazioni editoriali di questo genere qual è?