Ci ha lasciato a 65 anni non compiuti, il filosofo e il letterato Nuccio Ordine. Era nato a Diamante, in Calabria il 18 luglio del 1958, ed è morto a Cosenza il 10 giugno 2023. Era ordinario di letteratura italiana all’università della Calabria. Filosofia e letteratura in un intreccio di “favolose” scoperte di senso attraverso la necessità di porre al centro l’utile per mezzo dell’inutile in un dialogante confronto con gli “strumenti” dell’intelletto.
Intelletto come pensare e il pensare come pensiero da riabilitare dopo l’esercizio di una solitudine cavernosa in cui il tempo come misura viene ad essere superato dal tempo come durata tra l’istante e l’attimo. Il filosofo che ha ricreato l’esperienza come concetto fondante grazie al quale la fenonelogia umana e il “diritto alla parola” potevano assorbire il sacrificio della parola come essenza eroica dell’esistenza. È chiaro che dentro questa manifestazione ciò che abbiamo considerato superfluo può diventare il necessario di una esistenza.
Tra alcuni suoi libri voglio ricordare: “La cabala dell’asino” (1996), “La soglia dell’ombra” (2009) “Contro il Vangelo armato” (2009). “Teoria della novella e teoria del riso nel Cinquecento” (2009), “Le rendez-vous des savoirs” (2009), “Les portraits de Gabriel García Márquez” (2012), “Tre corone per un re” (2014), “Gli uomini non sono isole. I classici ci aiutano a vivere” (2018), “L’utilità dell’inutile. Manifesto” (2020), George Steiner. L’ospite scomodo” (2022).
Proprio Steiner è stato un catturatore di idee in Nuccio. Infatti nella percezione delle emozioni, ma anche degli errori, la presenza di Goordano Bruno, al quale ha dedicato un capolavoro di studi con libri imponenti e innovativi, tra i quali anche un testo scritto con Gerardo Picardo, non può classsificarsi soltanto una sfera epistemologica bensì di eresia metafisica al cui interno la pagina consistente tra Ragione e Fede ha trovato la sua chiave di lettura nella “dottrina” della Utopia.
Non si tratta di una estremizzazione ma di una composizione comparativa tra Verità e Realtà. Quando leggo osservazioni come: “È nelle pieghe di quelle attività considerate superflue, infatti, che possiamo percepire lo stimolo a pensare un mondo migliore, a coltivare l’utopia di poter attenuare, se non cancellare, le diffuse ingiustizie e le penose disuguaglianze che pesano (o dovrebbero pesare) come un macigno sulle nostre coscienze”, tutto il dire umano deve trovare in un orizzonte di senso la spiritualità più pregnate di ogni significante che non ha bisogno della logica ma della consapevolezza della ferita che la materialità può infliggere. Quindi è proprio Giordano Bruno che chiama il dettato di un amore per la conoscenza.
Nel suo testo “Su Giordano Bruno” egli ebbe a scrivere: “L’esperienza umana e intellettuale del filosofo, infatti, testimonia che la conquista del sapere e il diritto alla parola è frutto di una battaglia quotidiana, di un rigoroso impegno, di un forte sacrificio. E proprio per difendere la sua filosofia dell’infinito e il suo amore disinteressato per la conoscenza, il Nolano non ha mai esitato a scontrarsi con potenti avversari nelle corti e nelle aule universitarie di molte città europee, rinunciando, volta per volta, a privilegi e a onori. Fino a concludere la sua esistenza, come la farfalla degli Eroici furori, nella luce di un rogo. Ma tra quelle fiamme, alimentate da una feroce intolleranza, Bruno, da uomo libero, ha scritto una delle pagine più eloquenti della sua filosofia”.
La conoscenza non è mai ciò che molti usano chiamare la “cosa”. È andare oltre l’intolleranza, che l’uomo manifesta, per comprendere quella dimensione immateriale che a volte si nasconde nel principio di una ricerca che giunge alla metafisica. Bruno fu un filosofo della merafisica? O fu l’anticipazione di un mondo del non valore ma di una Idea che tocca i limite del confine che lega kierkegaard con Nietzsche, o Leopardi con Haidigger per mezzo di Anna Aredt? Ma cosa ci starebbe a fare Schopenhauer con la sua rappresentazione?
Nuccio Ordine legge in Giordano Bruno l’anticipazione del tutto. Quando Bruno scrive “la visione della religione” Nuccio, il caro amico mio corregionale e coraggiosissimo filosofo, mutuando il nolano nel suo “Su spaccio de la bestia trionfante” sottolinea questa singolarità: “In queste splendide pagine, Bruno esprime una visione della religione diametralmente opposta a quella sostenuta dalla teologia protestante. Per Lutero e Calvino il rapporto tra uomo e Dio si materializza in un legame individuale fondato solo ed esclusivamente sulla fede. E finanche le Leggi, che nella visione veterotestamentaria sanzionavano il contratto tra humanitas e divinitas, non garantiscono più la salvezza. Tutto ciò che riguarda l’orizzonte mondano viene escluso, espunto, neuralizzato. […] Bruno capisce con chiarezza le conseguenza funeste che la dottrina della sola fide può avere sulla società: svalorizzare le opere e l’etica, ma anche la ragione e le scienze speculative, non incoraggia certamente gli uomini ad intraprendere la durissima strada del riscatto dalla feritas”.
Il riscatto della ferita infatti è possibile se si supera l’etica e si entra nel cosmo dell Umanità che crea una comparazione ontologica con la Divinità. Ogni reale è spiazzato, così viene spiazzata altresì ogni speculazione “scietista”, e l’uomo per essere considerato Uomo non può scardinare la Fede perché la Fede non si serve della Ragione, e non vale ol confronto tra Fede e Ragione, ma di quell’uomo antropologico che viaggia in un Umanesimo ricco di paolino radicamento in Ficino pre Rinascimento. Ma è proprio il Rinascimento che occupa la scena di una vichiana memoria che ha la sua voce in Bruno.
La letteratura è il principio dell’uno che rivive nella filosofia e quindi è la filosofia che affacciandosi all’uno si specifica: “La filosofia, nella sua massima espressione, si concretizza proprio in questa ricerca dell’Uno, in questa contemplazione della natura, in questo sforzo di cogliere l’invisibile nel visibile, l’unità nella molteplicità”.
Invisibile e visibile sono lo spazio appunto della contemplazione. In un tempo materiale reale si può fare a meno della letteratura che contemplando chiede alla filosofia di proporre un immaginario senza il pensiero? Direi proprio di no. Si ritorna dunque al fatto – atto della conoscenza. Ma la conoscenza non si abita senza la penetrazione scavante della coscienza. A questa “utopia” Nuccio Ordine ha dato gli occhi dell’anima. Mai dimenticando le visioni teologiche nella eredità meta-ontologica. Nel suo monito finale non si può non tener conto di una tale affermazione: “Se non si comprende l’utilità dell’inutile, l’inutilità dell’utile, non si comprende l’arte; e un paese dove non si comprende l’arte è un paese di schiavi o di robots, un paese di persone infelici, di persone che non ridono né sorridono, un paese senza spirito; dove non c’è umorismo, non c’è il riso, c’è la collera e l’odio”.