Nuove prospettive sono affiorate dallo studio delle iconografie della grotta di San Michele Arcangelo a Curti di Gioia Sannitica e sulla interpretazione ed il significato dell’annunciazione rispetto alla conformazione del luogo stesso. Partiamo dalla interpretazione di alcuni elementi decorativi del ciclo pittorico. Questi sono presenti in alto a sinistra ed in basso a destra e lateralmente fuori immagine a destra sulla parete di roccia.
I due elementi decorativi della scena sono differenti interpretazioni del nodo di Salomone in forme geometriche rispettivamente del pentalfa a sinistra e dell’esalfa a destra, il nodo nell’arte paleocristiana e medievale, dove il simbolo è diffusissimo, rappresenta l’unione profonda dell’uomo con la sfera del divino e di conseguenza la salvezza.
Il simbolo sulla parete destra della grotta fuori dalla scena è “la firma” dell’artista che realizzò l’opera.Diventa invece estremamente importante l’intuizione di Antonio Napoletano riferito al culto dell’incubatio o incubazione. Luoghi come le grotte, nelle civiltà come quella Sannita non erano soltanto luoghi di culto, ma anche di guarigione e rinascita in cui entrare con il carico dei malanni del corpo e dell’anima e uscirne rigenerati. Il processo di purificazione poteva avvenire in vari modi: mediante aspersione o immersione in vasche litiche di raccolta delle acque sorgive o piovane filtrate dalla roccia, ritenute sacre per la convinzione della “presenza” del Numen o dell’Angelo (la cosiddetta Ablutio), oppure praticando riti di passaggio consistenti nell’attraversamento di stretti cunicoli naturali o scavati nella roccia, o ancora mediante il cosiddetto “sonno di guarigione”, quando i malati venivano lasciati per tutta la notte all’interno delle cavità ctonie avvolti in pelli di animali o in panni candidi di lana o di lino, in attesa dell’intervento curativo della divinità, o di un sogno che contenesse le istruzioni o le indicazioni simboliche per intraprendere un percorso di risanamento esteriore ed interiore. Quest’ultimo rituale, molto diffuso nell’antichità era chiamato dai romani Incubatio. Tali riti, di origine protostorica e spesso preistorica, in molti casi sono sopravvissuti con l’avvento del cristianesimo e hanno continuato a svolgersi nelle medesime cavità ctonie trasformate in cripte o in chiese rupestri.
La Vergine Maria ha sostituito la Grande Madre propiziatrice delle nascite e dei raccolti, signora degli animali e dell’oltretomba sotto forma di Artemide, protettrice delle partorienti e delle ninfe pagane delle acque, mentre l’Arcangelo Michele ha sostituito nel culto e nell’immaginario popolare il divino guaritore Asclepio, figlio di Apollo. Con l’avvento del cristianesimo, nonostante la forte riprovazione verso i culti pagani, quando non fu possibile distruggere o occultare gli antri materialmente o mediante la damnatio memoriae, la scelta operata fu quella prudentemente indicata da Papa Gregorio Magno: inglobare le grotte nelle chiese, trasformandole in cripte rupestri, o convertirle in luoghi di culto cristiani, laure, cenobi o eremitaggi, grazie alla penetrazione capillare dei monaci, soprattutto basiliani nelle aree di rito greco e benedettini in quelle di rito latino.
Così il culto in grotta della Vergine Maria come protettrice dei raccolti e patrona delle nubende e delle partorienti si sovrappose a quello delle dee madri pagane sostituendole e la figura di San Michele taumaturgo, capo delle milizie celesti prese come detto il posto del divino guaritore Asclepio o di Apollo, signore della luce vincitore del serpente Pitone.
E si può dire che l’intuizione di Antonio Napoletano nasce anche dalla presenza fisica nella grotta di San Michele degli elementi che contraddistinguono il culto stesso dell’incubatio, sia naturali che artificiali, ovvero una piccola sede di raccolta delle acque di filtrazione se non sorgive, una sistemazione laterale a destra che ricorda un giaciglio, la componente di conformazione naturale della grotta la quale oltre la parete affrescata appare come un cunicolo restringente che ricorda la forma di un utero. A ciò gli elementi stessi del ciclo pittorico basato sull’annunciazione con la rappresentazione della Vergine Platytera la quale si presenta con sul torace l’uovo cosmico a rappresentare l’immagine della Chiesa che accoglie in sé il Verbo incarnato e lo rivela all’umanità. Ma ancor più ad avallare l’ipotesi di Antonio Napoletano è una testimonianza raccolta da Alessandra Artuso molti anni addietro, quando una anziana donna del luogo le spiegò che il luogo era frequentato da donne che vi si recavano a chiedere la grazia per una gravidanza. Dunque il lavoro di interpretazione sulle iconografie non solo fa propendere per una unicità del ciclo pittorico (descritto in altri articoli) e del suo committente, ma attraverso l’intuizione di Napoletano ad una antichità di culto che potrebbe affondare le radici in epoca Protostorica se non oltre, con una riconversione durante il cristianesimo conclamato in epoca medievale con la realizzazione del ciclo pittorico e la dedica al culto di San Michele Arcangelo, seguendo esattamente il percorso storico culturale che abbiamo più sopra descritto. La testimonianza popolare raccolta da Artuso è un compendio a quella che appare molto più una realtà che non una teoria.