Secondo gli ultimi sondaggi il vantaggio di Donald Trump nelle primarie per la corsa alle presidenziali del 2024 sarebbe di circa 20 punti sul suo rivale più vicino, quel Ron DeSantis, governatore della Florida, che pochi giorni fa ha lanciato ufficialmente la sua candidatura. Sebbene questo vantaggio appaia oggi assai difficile da colmare secondo molti analisti DeSantis rimane di gran lunga la migliore speranza per le forze anti-Trump all’interno del GOP.
Alcuni recenti esempi storici indicano che ha una reale possibilità di essere il candidato del suo partito. Trump, ovviamente, ha una possibilità significativamente maggiore di vincere il cenno del capo del GOP. L’unico candidato del passato che si è avvicinato alla quota di voto delle primarie di Trump nei primi sondaggi nazionali e poi non è diventato il candidato del suo partito è stato il senatore del Massachusetts Ted Kennedy nel ciclo del 1980. Ma è indubbio che nessuno dei precedenti candidati ha avuto un percorso come quello di “the Donald” in questi ultimi tre anni, tra accuse di molestie sessuali, dazioni di denaro in cambio del silenzio di vecchie amanti e accuse di sedizione per i fatti di Capitol Hill del gennaio del 2021.
L’establishment repubblicano ancora non si è pronunciato con decisione intorno ad un nome. Ecco allora che le possibilità di DeSantis potrebbero aumentare, così come accadde sull’altro fronte nella corsa per la nomination democratica del 2008, quando Obama sconosciuto senatore dell’Illinois, partito da uno svantaggio di oltre 20 punti sulla Clinton, riuscì in pochi mesi a recuperare lo svantaggio e a vincere le primarie e cominciare la sua cavalcata verso la Casa Bianca, conquistata sconfiggendo il rivale repubblicano, John Mc Cain.
Obama riuscì a superare la rivale, anche grazie alla vittoria in due stati chiave come Iowa e New Hampshire, nei quali DeSantis, sembra ben posizionato, anche se sempre in svantaggio rispetto a Trump. D’altra parte cosi come Obama non voleva essere l’anti Clinton, ma solo presentarsi come il nuovo che avanza e questo fu una delle sue carte vincenti, cosi Ron DeSantis non vuole essere l’anti-Trump, ma piuttosto una continuazione più efficace, meno radicale (e meno scandalosa) del movimento politico dell’ex presidente.
In base ai numeri, potrebbe essere una combinazione vincente, cercare di conquistare i fan di Trump con i fedeli repubblicani, che rimangono assai scettici riguardo a una terza nomination consecutiva di Trump. Ma per fare ciò DeSantis deve riuscire ad essere credibile senza nello stesso tempo rinnegare la politica di Trump, e posizionarsi così come un’alternativa più eleggibile. Non è un caso che quando il partito repubblicano ha preso le distanze dalla recente mossa di Trump di complimentarsi, via social, con il leader nord coreano per il suo ingresso nell’Oms, il politico ha voluto mantenere un profilo molto basso. DeSantis, 44 anni, è nato a Jacksonville, in Florida, da una famiglia italo-americana: “nativo della Florida con radici operaie”, è cresciuto a Dunedin, si è laureato a Yale nel 2001 in storia, ha prestato servizio in marina ed è stato schierato a Guantánamo Bay e in Iraq.
De Santis è diventato una figura nazionale quando si è opposto in modo aggressivo alle misure Covid. Durante la pandemia, il governatore è rimasto fermamente contrario alle misure precauzionali per il Covid-19, inclusi blocchi e obblighi di mascheramento. A novembre ha vinto la rielezione in Florida con un margine di 19 punti. Al contrario l’ex presidente ha dovuto subire l’onta della sconfitta di quasi tutti i suoi candidati nelle elezioni di mid term, cosa che ha certamente indebolito la sua forza carismatica sia agli occhi degli elettori che del suo stesso partito. Trump è apparso adeguatamente sgonfiato quando ha lanciato la sua campagna presidenziale il 15 novembre a Mar-a-Lago, la sua tenuta a Palm Beach, in Florida.
DeSantis, invece, veleggia con il vento in poppa, e si considera un vincitore e proprio in Iowa qualche giorno fa ha tirato una frecciata contro l’ex presidente americano “Dobbiamo rifiutare la cultura della sconfitta che ha colpito il nostro partito negli ultimi anni. Il tempo delle scuse è finito”. Erin Perrine, portavoce del super PAC pro-DeSantis Never Back Down, ha dichiarato in una recente dichiarazione che Trump “ha paura di Ron e ha tutte le ragioni per esserlo”, osservando che De Santis deve ancora perdere un’elezione.
Per riuscire a conquistare la nomination e poi la casa Bianca, il governatore della Florida può contare su un appoggio finanziario di tutto rispetto. Alla fine del mese scorso, aveva $ 88 milioni (£ 71 milioni) in un fondo, Friends of Ron De Santis, che è stato raccolto per la sua campagna di rielezione in Florida e può essere trasferito alla sua candidatura presidenziale. Secondo quanto riferito, ha anche circa 30 milioni di dollari controllati da un comitato indipendente che i suoi alleati possono utilizzare per sostenere la sua campagna.
“The Donald”, al contrario, ha riportato una raccolta fondi combinata di 18,8 milioni di dollari nei primi tre mesi del 2023, con 13 milioni di dollari nel suo conto principale della campagna. Ma i soldi si sa per Trump sono davvero l’ultimo dei problemi, non avrà problemi a raccogliere fondi dal suo esercito di donatori e sarà di nuovo in grado di ritrarre se stesso come l’autentico tribuno del popolo.
Su DeSantis pesano le sue (condivisibili) perplessità sulla guerra in Ucraina e soprattutto con i problemi legati alla sua battaglia contro Disney che dura da un anno, per la legge approvata dal governatore, denominata “Don’t say gay” (“non dire gay”), che tra le altre cose proibisce di parlare di orientamento sessuale e di identità di genere nelle scuole. Alla Disney, la maggiore azienda turistica della Florida, è stato tolto lo status speciale di cui gode l’azienda in Florida (importanti agevolazioni fiscali in vigore da decenni).
Concludendo, sono in molti nel partito repubblicano che, senza esporsi troppo, sono convinti che lui sarebbe il candidato più forte nella corsa alla presidenza ma la corsa è ancora lunga e all’orizzonte si profila la candidatura dell’ex vicepresidente Mike Pence (che potrebbe danneggiare più De Santis che Trump) e per il momento qualsiasi pronostico rischia di essere un semplice azzardo.