• 15 Gennaio 2025

Del  radicalismo chic conosciamo moltissimo e non solo per il sempre verde libro che è alla base di questa efficace definizione (“Lo chic radicale” di Tom Wolfe), sintesi dell’innamoramento dei Mondani  (ricchi borghesi) per i propri Nemici (Pantere Nere, attivisti sindacali, terzomondisti, eccetera). Frutto dell’età dell’inconsistenza e della banalità – per usare l’immagine di Christopher Lasch (“La cultura del narcisismo”)  – i radical chic hanno finito per scaldarsi alla luce dei propri idoli, venendone assimilati. “L’élite c’est moi”: Bernard-Henri Lévy si incarna sulla copertina del rotocalco patinato, mentre la vulgata radical chic impazza sui mass media, nei salotti televisivi, sulle prime pagine dei quotidiani, segno di rassicurante conformismo e di quieto vivere.

Ma gli altri ? Dei no-radical chic che cosa se ne sa ? Brutti, sporchi e cattivi – secondo la vulgata corrente. Ovviamente incolti, intolleranti, timorosi delle differenze …  In realtà – a ben guardare – i no-radical chic incarnano un’idea, certamente “altra”, ma complessa del mondo, con cui la cultura dominante (ed i mezzi d’informazione ad essa assimilata) prima o poi dovranno iniziare a fare i conti.

I no-radical chic rifiutano il quieto conformismo e l’omologazione corrente. Delle vecchie ideologie non sanno che cosa farsene, usando come metro il buon senso popolare, quella capacità di giudicare con equilibrio e ragionevolezza la realtà, comprendendone  le necessità pratiche, di cui si era – per decenni – perso traccia. I no-radical chic sono orgogliosi della propria individualità, ma ripudiano l’individualismo borghese, neo ideologia di un uomo e di una donna “liberati” dai legami tradizionali (familiari, comunitari, nazionali, religiosi) e sempre più prigionieri delle frustrazioni/depressioni contemporanee.

Al “Dio morto” la vulgata radical chic ha sostituito desideri e consumi, riprodotti all’infinito, mettendo da parte le autentiche domande sul senso dell’esistenza, sulla forza del “limite”, sulle “ragioni” del Sacro. I no-radical chic  comprendono l’emozione massmediatica per Notre Dame  ricostruita, ma ancora di più, guardano con sgomento alle chiese vuote (o peggio trasformate in discoteche). I no-radical chic non si esaltano per le bollicine millesimate e per l’aragosta, preferendo lambrusco e ravioli. Si inquietano per il linguaggio contemporaneo infarcito di inutili anglicismi, rivendicando la loro appartenenza alla Penisola dei mille dialetti. Allo spread oppongono il lavoro quotidiano. Costretti a vivere in una realtà fisicamente periferica ed anonima, amano la loro terra, quella concreta, segnata all’orizzonte da torri e campanili e si chiedono: il vituperato medioevo non aveva già capito tutto ?  

Di zone “grigie” i no-radical chic non sanno che farsene. Cercano e coltivano il sì si no no, pianta malsana per chi è eternamente abituato a mediare e a tutto concedere, nel segno di una progressismo infinito. Essi guardano all’oggi facendo appello ad alcuni principi immortali: il senso della Fede in un Dio ed in una Dottrina, che hanno informato la civiltà occidentale; la Patria quale senso di appartenenza ad una comunità, casa dei Padri, anima e destino spirituale; la famiglia come scommessa e lascito, presente e futuro insieme, carne e Spirito.

Nel senso del relativismo-ideologia è la ricucitura di senso che “agita” i no-radical chic: il Bello, il Buono, il Giusto sono le sfide reali sulla strada di una nuova ricomposizione culturale, sociale e politica. E’ molto di più di un Progetto e di un Programma. E’ un’aspettativa, quella a cui i radicalchic hanno rinunciato, appagati nel loro elitismo senza popolo, quella a cui un popolo guarda, magari inconsapevolmente, in attesa di una nuova élite che renda palese e concreta questa aspettativa.

Autore

Giornalista e scrittore, a partire dalla seconda metà degli Anni Settanta ha collaborato alle principali pubblicazioni dell’area anticonformista. Dal 1990 al 2000 ha fatto parte della redazione del mensile “Pagine Libere”, specializzandosi in tematiche economiche e sociali, con particolare attenzione alla dottrina partecipativa. Scrittore “eclettico” ha al suo attivo diversi saggi dedicati al sindacalismo rivoluzionario e al moderno movimento delle idee. Tra gli ultimi libri: L’Idea partecipativa dalla A alla Z. Principi, norme, protagonisti (2020), La Rivoluzione 4.0 (2022). E’ direttore responsabile del trimestrale “Partecipazione”. Dal 2017 al 2022 è stato componente del CdA della Fondazione Palazzo Ducale di Genova. Dal marzo 2023 fa parte del CdA del MEI (Museo dell’ Emigrazione Italiana).