• 9 Marzo 2025
Cultura

Scartabellando saltano  fuori cose lette anni fa che rilette oggi son più fresche di cent’anni fa e passa. Uno scrittarello di Raffaello Franchini – uno dei più intelligenti interpreti di Croce –, pubblicato non saprei dir dove, si sofferma su “Il sistema filosofico di Prezzolini” che al principio del secolo scorso fu un rappresentante o un divulgatore del prammatismo che riduceva la verità all’utilità e alla pratica convenienza dell’azione. Cosa questa curiosa assai perché Prezzolini negli anni Cinquanta definì sé stesso con il titolo di un suo fortunatissimo e utilissimo libro “L’italiano inutile”. Ma la sua vita fu così lunga – cent’anni di solitudine e di moltitudine essendo nato il 27 gennaio 1882, a Perugia, e morto il 14 luglio 1982, a Lugano – che gli dovette anche apparire a tratti vana e inutile, come Luigi Einaudi fu consapevole della “inutilità” delle sue prediche.

Eppure, utile o inutile che fu, oggi a noi la vita e l’opera di Giuseppe Prezzolini sono utilissime per capire l’Italia e gli italiani, i furbi e i fessi. I suoi aforismi, le sue massime, i suoi motti (“In Italia non c’è nulla di più definitivo del provvisorio e nulla di più provvisorio del definitivo”) sono la radiografia della nostra vita pubblica e privata e anche la sua stessa esistenza, prima in patria e poi in esilio e poi esule in patria e poi appollaiato a Lugano hanno tanto e tutto da insegnarci. Fu prima fascista o, meglio, afascista e poi contrario al fascismo senza essere ideologicamente antifascista e, quindi, consapevole – ancora una volta – della inutilità di governare i suoi ex ed eterni connazionali. Fu prima preso da eroici furori e fondò riviste e voleva la guerra – quella Grande – e poi pian piano divenne posato, razionale senza cose cervellotiche fino a diventare un conservatore, un conservatore-liberale, un anarchico-conservatore e scrisse quel testo mirabile che è un condensato di saggezza: “Manifesto dei conservatori”.

Il Franchini tirava in ballo due scritti di Prezzolini del 1904 per delineare il suo “sistema filosofico”. Uno s’intitolava “Il linguaggio come causa di errore” e un altro “L’arte di persuadere”. Che diceva in questi suoi pezzi all’età di ventidue anni? Che il linguaggio non è grammatica ma cosa viva e per questa sua qualità non ci potrà essere mai una lingua unica per tutti gli uomini, a meno che gli uomini non siano robot. Che la verità nella scienza è un concetto economico che costruisce una bugia utile collettivamente e importante è saper distinguere, come avrebbe poi detto Carlo Michelstaedter tra “La persuasione e la rettorica” (testo che è del 1910). Ce n’è quanto basta per vedere in Prezzolini un filosofo. Ma per nostra fortuna anni dopo, non più di venti, lo stesso Prezzolini già contribuiva alla critica di sé stesso quando scriveva che da ragazzo aveva sognato molto di diventare uno scrittore, un filosofo, un profeta, un riformatore. Invece? Invece, “a poco alla volta, facendo la critica severa agli altri, l’ho fatta severa anche a me stesso. Non sono scrittore, non ho originalità di filosofo, e diffido di coloro che vogliono rifare il mondo”. Che significa pur sempre capire sé e gli altri, avere idee chiare e distinte, imparare dai propri errori e cercare con l’esperienza di prevenirli e, insomma, imparare ad essere un italiano utile.

Autore

Saggista e centrocampista, scrive per il Corriere della Sera, il Giornale e La Ragione. Studioso del pensiero di Benedetto Croce e creatore della filosofia del calcio.