Non saprei dire quanti sono oggi coloro che hanno consapevolezza della necessità di preservare la fedeltà allo Stato nazionale al fine di tutelare il governo democratico e costituzionale. Temo non molti. Da qui la preoccupazione di coloro che vedono nella crisi della coesione della comunità nazionale la premessa del disfacimento dei rapporti tra cittadini e istituzioni. Siamo, insomma, vittime dell’ideologia dell’indifferentismo culturale affermatasi a discapito delle differenze tra i popoli ormai omologati dalla “religione” del pensiero unico che ha travolto anche la nazione come sostanza viva di aggregati umani eredi di tradizioni, storie, costumi dimoranti entro territori definiti e legati da relazioni regolamentate da un principio di legalità condiviso. Le conseguenze le ravvisiamo nel potere delle organizzazioni internazionali che costituiscono, nel loro insieme, il cosiddetto “governo mondiale” fondato sulla delega di consistenti quote di sovranità ad una anonima burocrazia.
Il tracollo degli Stati nazionali, almeno in Europa, è risultato evidente nell’ultimo anno quando le istituzioni comunitarie hanno inteso affrontare la crisi delegittimando ulteriormente i governi nazionali piegati alle logiche tecnocratiche di Bruxelles e di Francoforte. E si è cominciata a fare strada la considerazione che la fedeltà alla propria comunità è certamente prioritaria rispetto a quella di chi agisce in assenza di un vincolo nazionale. Che ciò porti alla scoperta di un neo-patriottismo è ovviamente prematuro per sostenerlo ancorché auspicabile. Ed in questo spirito va letto il volume di Roger Scruton, Il bisogno di nazione (Le Lettere, pp.97, 10,00 euro), contributo rilevantissimo alla riscoperta dell’idea di nazione in chiave democratica e come elemento fondante il governo del popolo costituzionalmente riconosciuto da coloro che vivono su uno stesso territorio e nutrono un attaccamento al sentimento dell’appartenenza, al di là dei fattori etnico-religiosi che contribuiscono la falsare la nozione stessa di nazionalità esaltando piuttosto il tribalismo e l’intolleranza.
Scruton, scomparso il 12 gennaio 2020, il pensatore conservatore più influente della nostra epoca, secondo l’autorevole “The New Yorker”, sostiene che le democrazie devono proprio alla fedeltà nazionale la loto esistenza ed allo Stato che in essa si riconosce lo strumento giuridico deputato a difendere le libertà personali e la sovranità collettiva. Perciò le istituzioni sovranazionali che abusano del potere di delega, minacciano seriamente l’indipendenza dei popoli e allo Stato nazionale, che pure ha bisogno di essere migliorato nelle sue strutture, non v’è alternativa a meno di non voler diventare genti prive di autonomia e spodestate delle prerogative storico-territoriali che ne hanno legittimato l’esistenza. A cominciare dal principio di cittadinanza, “dono principale delle giurisdizioni nazionali”, scaturita dalla relazione tra lo Stato e l’individuo, sulla base del riconoscimento che il secondo mostra nei confronti delle leggi emanate dal primo. E’ questo il fondamento di un costituzionalismo repubblicano, includente e condizionante allo stesso tempo, che s’ispira alla logica della responsabilità dichiarata dal “noi” e, dunque, ostile all’ “io” come imperativo egoistico. Lo Stato nazionale europeo – osserva Scruton – emerse quando l’idea di comunità definita partendo da un territorio venne iscritta in sistema di sovranità e di leggi. Dunque, “è vitale al senso di nazione l’idea di un territorio comune nel quale ci siamo tutti insediati e che tutti abbiamo identificato come la nostra casa”. Per questo motivo “la fedeltà nazionale è fondata sull’amore per un luogo, per le usanze e le tradizioni che sono state iscritte nel paesaggio e nel desiderio di proteggere quelle cose belle attraverso leggi comuni e una comune fedeltà”.
Insomma, come sottolinea Francesco Perfetti nella sua scintillante introduzione al volume, la suggestiva difesa della nazione da parte di Scruton, è una lezione di sano realismo in tempi in cui l’avversione dello Stato nazionale e, più in generale, il rifiuto della stessa idea nazionale sono largamente diffusi e riflettono uno stato d’animo che Scruton definisce “oicofobia” cioè la tendenza che in qualsivoglia tipo di conflitto si denigrano usi, costumi, istituzioni , cultura “nostri” ripudiando così la lealtà o la fedeltà nazionale, prendendo sempre e comunque le parti di organismi trasnazionali supportandone le direttive, come capita, per esempio, quando si sostengono sempre e comunque le decisioni dell’Unione europea o delle Nazioni Unite. L’appassionata difesa della nazione Scruton la completa con un lucido atto d’accusa allo “Stato mercato” che concepisce il legame tra cittadino ed istituzioni come un contratto dal quale il primo si attende benefici in cambio di obbedienza. E’ l’anticamera del totalitarismo moderno. Il trionfo del relativismo culturale applicato alla sfera della politica. Il bisogno della nazione implica coscienza identitaria e cultura dell’appartenenza. Su questi pilastri si reggono comunità capaci di affrontare le minacce del dispotismo e dell’anarchia.