• 21 Novembre 2024
Politica

E’ così urgente spingere per la cosiddetta autonomia differenziata ? La prudenza è d’obbligo,  vista la delicatezza del tema e a fronte di un’Italia a più velocità, dove l’erogazione dei servizi essenziali tra Mezzogiorno e Settentrione è oggettivamente sbilanciata.

E non solo perché lo “spacchettamento” delle competenze  rischia di accentuare questo divario. Quella che si configura come una vera e propria riforma costituzionale richiederebbe piuttosto una gradualità d’interventi, in grado di coniugare decentramento e presidenzialismo: più autonomia dei territori da un lato con un contestuale rafforzamento e ammodernamento dello Stato, sostenuto dal  presidenzialismo e da uno status speciale per  Roma Capitale. Non perdendo però di vista la realtà di una “questione Meridionale”, che va affrontata senza fughe in avanti e soprattutto senza ideologismi di maniera.

Che l’Italia sia un Paese “diseguale” è nei fatti. Il dato più grave è che, negli ultimi venti anni, le differenze a livello territoriale, si siano allargate, con il risultato che  il Mezzogiorno  ha visto costantemente diminuire il suo peso economico, facendo emergere una crescente difficoltà nell’impiegare la forza lavoro disponibile, una riduzione dell’accumulazione di capitale e una minore crescita della popolazione rispetto alle aree più avanzate del Paese dove si sono concentrati i flussi migratori.

Sulle difficoltà economiche del Mezzogiorno pesano inoltre  gli ampi ritardi nella dotazione di infrastrutture e nella qualità nei servizi pubblici erogati, sia dagli enti locali, sia dallo Stato attraverso le proprie articolazioni periferiche. Rileva anche la definizione ancora parziale dei livelli essenziali delle prestazioni nell’erogazione dei servizi pubblici e di adeguati meccanismi perequativi volti a garantirne il soddisfacimento. Al contempo, gli indicatori disponibili su efficienza, efficacia e correttezza dell’azione amministrativa nel Mezzogiorno appaiono significativamente peggiori della media italiana.

Di fronte a questa realtà le ricette messe in campo nel passato  sono apparse deboli e sostanzialmente ripetitive, a fronte di una   crisi del Mezzogiorno d’Italia che essendo “strutturale”, cioè “di sistema”, avrebbe richiesto  evidentemente interventi di ben più ampia portata. Né il richiamo ad una generica “modernizzazione” è sufficiente.

Il problema, oggi come ieri, è che non basta parlare di infrastrutture se non si riesce a fare sì  che i cantieri non diventino delle voragini mangiasoldi, che i tempi  siano rispettati, che la qualità dei manufatti  sia conforme a quanto appaltato.

Né può essere taciuto il  tema della “legalità”. Inutile nasconderselo: intere aree del Mezzogiorno sono controllate dalla criminalità organizzata, che gestisce gli appalti, condiziona gli investimenti, ricatta le aziende.

Vogliamo – con coraggio e chiarezza – porci il problema di quanto costa la criminalità in termini di mancato sviluppo nel Mezzogiorno? In che modo la criminalità si impossessa di specifiche aree di mercato e con quali effetti sulle regole della concorrenza? Quanto è diffuso il senso di insicurezza e di paura tra gli imprenditori meridionali ? Quanto questo “contesto” frena l’arrivo di investitori italiani ed esteri ?

Non sono quesiti retorici. Dietro sigle malavitose, quali ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra, Sacra Corona Unita, si nasconde una complessa ragnatela, in grado di avvolgere e soffocare territori, realtà produttive, amministrazioni locali. Pensare, in questo contesto,  di riuscire a  gestire la realtà  meridionale in modo ordinario significa precludersi ogni possibilità di riuscita.

Ci vuole allora ben altro che qualche intervento “a pioggia” se non si interviene per ricostruire un quadro generale di certezze nel campo della legalità,  della trasparenza amministrativa, del rapporto cittadino-istituzioni.

E qui veniamo al tema cruciale degli Enti Locali. In questo contesto si è veramente  convinti che l’autonomia differenziata può funzionare ? Senza arrivare ad un nuovo centralismo bisognerebbe, al contrario, pensare a  “piani di regia” sovra-regionali, che affrontino una volta per tutte le annose questioni legate alle infrastrutture (treni, autostrade, portualità), agli investimenti produttivi (finalmente liberati dai piccoli interessi politici locali), alla possibilità di essere concorrenziali sui mercati globali, al ruolo stesso del Mezzogiorno, ponte naturale dell’Italia e dell’Europa nel Mediterraneo.

In estrema sintesi: per affrontare, con un minimo di efficacia e di  realismo,  la nuova “Questione Meridionale” serve una  “visione nazionale”, cioè un’idea di Stato autorevole, che controlli il territorio e ricucia il rapporto tra Istituzioni e cittadini; un’efficiente sistema burocratico, finalmente svincolato da ogni potere malavitoso; un coinvolgimento diretto delle categorie produttive, in grado di mettere in circolo competenze, professionalità ed investimenti.

Non è allora solo questione di risorse (il mitico Pnrr) né di affrettate riforme federaliste. Per affrontare la nuova “Questione Meridionale” ci vuole un’azione d’insieme, un quadro strategico, capace di fissare obiettivi chiari e realistici, di mobilitare i territori, al di là del “localismo”, di costruire un’autentica speranza di riscatto. Mai come oggi perciò la fretta è cattiva consigliera.

Autore

Giornalista e scrittore, a partire dalla seconda metà degli Anni Settanta ha collaborato alle principali pubblicazioni dell’area anticonformista. Dal 1990 al 2000 ha fatto parte della redazione del mensile “Pagine Libere”, specializzandosi in tematiche economiche e sociali, con particolare attenzione alla dottrina partecipativa. Scrittore “eclettico” ha al suo attivo diversi saggi dedicati al sindacalismo rivoluzionario e al moderno movimento delle idee. Tra gli ultimi libri: L’Idea partecipativa dalla A alla Z. Principi, norme, protagonisti (2020), La Rivoluzione 4.0 (2022). E’ direttore responsabile del trimestrale “Partecipazione”. Dal 2017 al 2022 è stato componente del CdA della Fondazione Palazzo Ducale di Genova. Dal marzo 2023 fa parte del CdA del MEI (Museo dell’ Emigrazione Italiana).
Editoriale

È così urgente spingere per la cosiddetta autonomia differenziata ? La prudenza è d’obbligo,  vista la delicatezza del tema e a fronte di un’Italia a più velocità, dove l’erogazione dei servizi essenziali tra Mezzogiorno e Settentrione è oggettivamente sbilanciata.

E non solo perché lo “spacchettamento” delle competenze  rischia di accentuare questo divario. Quella che si configura come una vera e propria riforma costituzionale richiederebbe piuttosto una gradualità d’interventi, in grado di coniugare decentramento e presidenzialismo: più autonomia dei territori da un lato con un contestuale rafforzamento e ammodernamento dello Stato, sostenuto dal  presidenzialismo e da uno status speciale per  Roma Capitale. Non perdendo però di vista la realtà di una “questione Meridionale”, che va affrontata senza fughe in avanti e soprattutto senza ideologismi di maniera.

Che l’Italia sia un Paese “diseguale” è nei fatti. Il dato più grave è che, negli ultimi venti anni, le differenze a livello territoriale, si siano allargate, con il risultato che  il Mezzogiorno  ha visto costantemente diminuire il suo peso economico, facendo emergere una crescente difficoltà nell’impiegare la forza lavoro disponibile, una riduzione dell’accumulazione di capitale e una minore crescita della popolazione rispetto alle aree più avanzate del Paese dove si sono concentrati i flussi migratori.

Sulle difficoltà economiche del Mezzogiorno pesano inoltre  gli ampi ritardi nella dotazione di infrastrutture e nella qualità nei servizi pubblici erogati, sia dagli enti locali, sia dallo Stato attraverso le proprie articolazioni periferiche. Rileva anche la definizione ancora parziale dei livelli essenziali delle prestazioni nell’erogazione dei servizi pubblici e di adeguati meccanismi perequativi volti a garantirne il soddisfacimento. Al contempo, gli indicatori disponibili su efficienza, efficacia e correttezza dell’azione amministrativa nel Mezzogiorno appaiono significativamente peggiori della media italiana.

Di fronte a questa realtà le ricette messe in campo nel passato  sono apparse deboli e sostanzialmente ripetitive, a fronte di una   crisi del Mezzogiorno d’Italia che essendo “strutturale”, cioè “di sistema”, avrebbe richiesto  evidentemente interventi di ben più ampia portata. Né il richiamo ad una generica “modernizzazione” è sufficiente.

Il problema, oggi come ieri, è che non basta parlare di infrastrutture se non si riesce a fare sì  che i cantieri non diventino delle voragini mangiasoldi, che i tempi  siano rispettati, che la qualità dei manufatti  sia conforme a quanto appaltato.

Né può essere taciuto il  tema della “legalità”. Inutile nasconderselo: intere aree del Mezzogiorno sono controllate dalla criminalità organizzata, che gestisce gli appalti, condiziona gli investimenti, ricatta le aziende.

Vogliamo – con coraggio e chiarezza – porci il problema di quanto costa la criminalità in termini di mancato sviluppo nel Mezzogiorno? In che modo la criminalità si impossessa di specifiche aree di mercato e con quali effetti sulle regole della concorrenza? Quanto è diffuso il senso di insicurezza e di paura tra gli imprenditori meridionali ? Quanto questo “contesto” frena l’arrivo di investitori italiani ed esteri ?

Non sono quesiti retorici. Dietro sigle malavitose, quali ‘Ndrangheta, Cosa Nostra, Camorra, Sacra Corona Unita, si nasconde una complessa ragnatela, in grado di avvolgere e soffocare territori, realtà produttive, amministrazioni locali. Pensare, in questo contesto,  di riuscire a  gestire la realtà  meridionale in modo ordinario significa precludersi ogni possibilità di riuscita.

Ci vuole allora ben altro che qualche intervento “a pioggia” se non si interviene per ricostruire un quadro generale di certezze nel campo della legalità,  della trasparenza amministrativa, del rapporto cittadino-istituzioni.

E qui veniamo al tema cruciale degli Enti Locali. In questo contesto si è veramente  convinti che l’autonomia differenziata può funzionare ? Senza arrivare ad un nuovo centralismo bisognerebbe, al contrario, pensare a  “piani di regia” sovra-regionali, che affrontino una volta per tutte le annose questioni legate alle infrastrutture (treni, autostrade, portualità), agli investimenti produttivi (finalmente liberati dai piccoli interessi politici locali), alla possibilità di essere concorrenziali sui mercati globali, al ruolo stesso del Mezzogiorno, ponte naturale dell’Italia e dell’Europa nel Mediterraneo.

In estrema sintesi: per affrontare, con un minimo di efficacia e di  realismo,  la nuova “Questione Meridionale” serve una  “visione nazionale”, cioè un’idea di Stato autorevole, che controlli il territorio e ricucia il rapporto tra Istituzioni e cittadini; un’efficiente sistema burocratico, finalmente svincolato da ogni potere malavitoso; un coinvolgimento diretto delle categorie produttive, in grado di mettere in circolo competenze, professionalità ed investimenti.

Non è allora solo questione di risorse (il mitico Pnrr) né di affrettate riforme federaliste. Per affrontare la nuova “Questione Meridionale” ci vuole un’azione d’insieme, un quadro strategico, capace di fissare obiettivi chiari e realistici, di mobilitare i territori, al di là del “localismo”, di costruire un’autentica speranza di riscatto. Mai come oggi perciò la fretta è cattiva consigliera.

Autore

Giornalista e scrittore, a partire dalla seconda metà degli Anni Settanta ha collaborato alle principali pubblicazioni dell’area anticonformista. Dal 1990 al 2000 ha fatto parte della redazione del mensile “Pagine Libere”, specializzandosi in tematiche economiche e sociali, con particolare attenzione alla dottrina partecipativa. Scrittore “eclettico” ha al suo attivo diversi saggi dedicati al sindacalismo rivoluzionario e al moderno movimento delle idee. Tra gli ultimi libri: L’Idea partecipativa dalla A alla Z. Principi, norme, protagonisti (2020), La Rivoluzione 4.0 (2022). E’ direttore responsabile del trimestrale “Partecipazione”. Dal 2017 al 2022 è stato componente del CdA della Fondazione Palazzo Ducale di Genova. Dal marzo 2023 fa parte del CdA del MEI (Museo dell’ Emigrazione Italiana).