• 4 Luglio 2024
Editoriale

Parliamo spesso, in economia e in stabilità di bilancio europeo, di divergenze estensibili a macroaree sovrannazionali, Portogallo, Spagna, Grecia, Italia, ovvero il sud dell’Europa, abbracciando anche L’Africa se l’estensione riguarda il sud del mondo, divergenze amplificate da una globalizzazione diseconomica, affermatasi come moltiplicatore di avanzi correnti, espressione irregolare di un export, modello senza regole e senza punti fissi di riferimento.

I paradossi sono molteplici, assiomi di teoremi di una stessa politica economica che affonda in   questa Europa, le radici in crisi diverse e per lo più con metodi sommersi ed in progress, da un lato, da sostegno ufficialmente, con le sue misure, come la Pac, agli agricoltori e agli allevatori, mentre al contempo approva il ripristino dell’ambiente con un’immediatezza tale per rimuovere lo stesso sostegno senza che le categorie se ne possano accorgere, un avanzamento verso un Green Deal, senza naturalisti, senza ambientalisti, senza amore verso coloro che della natura vivono.      

Tale globalizzazione ha reso possibile un modello sperimentale, di scambi commerciali internazionali, senza mai creare delle convergenze o attenuare le diversità territoriali dei Paesi partecipanti, apportando un danno e una compressione salariale, là dove non si è riusciti ad esportare la propria identità valoriale, simbolo di una territorialità agricola, o artigianale radicata, pertanto alcuni di queste macroaree europee, sono oggi, il frutto di una divergenza e una radicale differenziazione, posta su indici, poco identitari, ma spesso assemblati ad una massificazione, economica , politica che in Europa doveva essere il manifesto o il simbolo di un integrazione europea globalizzata.

Inoltre, il lobbysmo di categorie emergenti, sta prestando il fianco all’approvazione di finanziamenti   esagerati, 387 miliardi in sette anni, verso quei reparti industrializzati, che corrompono e implementano produzioni, di allevamenti intensivi di bestiame al limite, della legalità, con eccessi di antibiotici, o carni geneticamente modificate, che vengono prodotte con habitat, fuori dai programmi green.

Dunque la competizione, sopraggiunta tra i paesi membri, oltremodo, non ha esportato le diversità valoriali, ma la crisi determinatasi, e anche la corruzione, per far fronte ad un orientamento culturale economico, crescente, che minimizza il valore reale, delle identità agroalimentari, per esempio del centro-sud italiano, per spingere verso, una delocalizzazione e una massificazione aziendale, che non appartiene alla cultura territoriale di alcune offerte agroalimentari, o di allevamenti, nel rispetto di una sovranità organolettica di alcune tipicità, e biodiversità esclusive del sud Italia: ha soppresso la circolarità di alcuni settori che da secoli, hanno permesso nel rispetto della natura, il ripristino degli ambienti settoriali, territoriali, senza ledere, l’onesta, competitività manufatturiera di filiera.

L’Unione Monetaria Europea, e Finanziaria, forte di un modello trainante, l’ecologismo e l’export, ha teso ad una competitività perdente, con un eccesso di credito, che punta ad una transizione ambientale e digitale, non coerente, con il principio di territorialità, specifica di dette macroaree, spingendo verso una polarizzazione fra nord, centro, e sud dell’Europa, un sud rurale, contadino, genuino, che ha creduto nelle certificazioni di qualità, nelle Dop, e tanto altro e viene schiacciato, da prodotti scadenti, geneticamente modificati, elaborati in ambienti altamente inquinanti, a costi che rasentano lo sfruttamento delle risorse impiegate.

Alcune, aree regionali, sono un attrattore di risorse, che comprendono flussi migratori, extraeuropei, e nazionali, perché, simbolo di aggregazione industriale, anche mineraria estrattiva o semplicemente sanitaria, con un regionalismo europeo del tutto differenziato, che semina e disciplina quanto di residuale e marginale arriva dal sud in termini di impiego, sia fiscale che di investimento pubblico.

In altre parole, si è inteso considerare da sempre il Nord, il motore propulsivo, dell’economia sovrannazionale e nazionale, di macroaree divergenti, ma ciò resta ed è un errore predittivo, e non solo, in quanto, la marginalizzazione di un sud, carico di risorse, da esportare, sia per scambi commerciali, di notevoli derrate alimentari, sia per flussi, migratori operai, denota la vera implementazione economica, di un’altra faccia di una stessa medaglia, che ha vissuto a traino.

Questa, causazione cumulativa, ha però permesso una sempre maggiore marginalizzazione e ha determinato sociologicamente un vero fenomeno di mancata integrazione occupazionale tutta a danno dei settori trainanti reali dell’economia del Nord Europa come del Nord Italia, settori accresciuti, grazie alle risorse del Sud.

L’agricoltura,  e l’allevamento, sono il perno che sviluppa la saturazione gestionale di una filiera di distribuzione e di sviluppo manufatturiero, che parte dal sud per giungere sui mercati del nord,  sviluppando aree di export fino ad oggi inesplorate, ciò avviene perché, alcune macroaree, del sud non sono in grado di avere per vocazione divergente, dei concreti meccanismi di crescita, auto rigeneratori, e autopropulsivi della crescita in se, pertanto,  il sud si aggrega partecipando alla realizzazione di catene del valore europee in generale, con effetti all’esportazione, con produzioni a basso valore e di scambi dei beni prodotti dove l’uso della manodopera sebbene intensiva è basata sul lavoro precario, determinando un incertezza del settore, e una sua scarsa redditualità, che produce un abbandono frequente, o carenza nei momenti in cui il settore richiede maggiore mano d’opera, braccianti o altre categorie specializzate.

Questa disarmonia strutturale, imprenditoriale, produce infatti disuguaglianze regionali, e rende il sud incapace di competere con il nord Italia e nord Europa e al contempo con il nord di altri competitor come ad esempio la Cina.

Il nord diviene un incubatore generatore di nuove intraprese industrializzate, mettendo a loro disposizione servizi materiali e immateriali e sviluppatore di una globalizzazione produttiva, anche sospinta da interferenze e pressioni lobbyste, che manipolano i settori, di maggiore rendimento.  

La stagnazione attuale, prodotta anche dall’inflazione, e dall’aumento dei tassi di interesse, si scontra dunque con una economia di mercato, destrutturata e deregolamentata, dove la compressione salariale diviene il primo problema con forti disincentivi ai contributi pensionistici, specialmente causati dalla precarietà, marginalizzata e specchio del sud. La stabilizzazione, in ogni, macroregione economica europea, non deve essere ulteriormente polarizzata nel cuore del sistema produttivo dell’eurozona, ossia il nord, ma deve integrarsi, nelle zone periferiche, in maniera tale da ripristinare l’economia del mezzogiorno d’Europa, un deterrente per una maggiore unificazione politica, monetaria, e di mercato, principalmente negli Stati Nazione.

L’Italia con la sua divergenza già polarizzata da trascorsi, politici economici privi di visione nel lungo periodo, sta subendo altresì un momento di stasi e stazionarietà di crescita che potrebbe implementarsi, grazie ad una saturazione di settore, con spinte non marginali ma di coesione produttiva del sud, un sud che oltre tutto è l’anima strutturale del nord, e delle sue reali esportazioni, allora come ripristinare il mal tolto, come riassettare i comparti economici che caratterizzano il sud e le sue peculiarità?

Il sostegno politico e una vera integrazione politica europea dovrebbe essere l’elemento propulsore di una rinascita del sud, eliminare il food for profit è il primo passo, estirpando certe cattive abitudini lobbyste nell’interesse di una economia, di manipolazione, fruttuosa solo per una globalizzazione volgare e di interesse di profitto.                                

Le follie, green, sono il rovescio di un’economia reale, fatta di persone vere, per persone vere, persone, che coltivano la terra, la proteggono, che allevano animali da pascolo, e gli tutelano, un mondo che il Green Deal, non considera e semmai lo fa, pone la questione in maniera marginale, come marginale sono i loro bisogni, e la loro propensione a conservare mestieri secolari, che stanno cedendo il passo ad aziende green, ad un’ideologia green, la cui unica priorità è la salvezza del pianeta del clima. Il mezzogiorno d’Italia, prima con l’assistenzialismo democristiano, in Campania, ha permesso l’abbandono delle campagne, di produzioni secolari, agroalimentari che valorizzavano l’Irpinia, il salernitano, il beneventano, il Sannio, ora con il green, progressista, in Europa si sventola una bandiera, fortemente ideologica lontana, dalle peculiarità e dai principi, del centro sud, incapace di ripristinare una politica economica, vicina al territorio, che sia di resilienza e ripartenza.

Mentre la bioingegneria, italiana, è capace di produrre con impianti strutturali, otto milioni di metri cubi l’anno di biometano, capaci di alimentare nuovi mezzi di trasporto e produzione, l’Europa, non va oltre il solare, il ripristino della natura, la qualità dell’aria, che si incrocia, con diktat, divieti sempre più estremi, sostenere il negazionismo del clima non è opportuno, ma sovvertire, le pratiche di coltura del Mezzogiorno è diabolico, l’inversione, ideale non è una propaganda di settore, ma un sostegno reale e integrato all’agricoltura, sinonimo di benessere e di vita.

Greta Thunberg, divenuta più potente, di ogni popolazione e nazione, del sudeuropeo, manipola il destino ecologista e il bilancio politico dell’eurozona, dobbiamo e possiamo, annichilire, un falso mito ideologico, partendo da una coesione e condivisione di politiche, che possono e sanno monitorare i territori, a prescindere dalle regioni, creare azioni di ristrutturazione e terre di lavoro per mano di imprese, e aziende che sul luogo già operano, spingere senza processi di fattibilità, ciò è possibile, in Italia, con un nuovo ministero operativo.

Il tempo non può restare una variabile quantica, che solleva precariato, ma intervenendo concretamente con mediazione, la circolarità occupazionale, può crescere, e il valore e la valorizzazione insieme ad essa.

I sistemi di energia alternativa non devono rubare terreno all’agricoltura e nemmeno disturbare impianti di acquacoltura nel mare, in entrambi i casi, polverizziamo l’esistente per un sostenibile futuribile, anzi si deve consentire più coltura marina e agricola, disciplinata e controllata per un miglioramento della fauna, consentendo maggiori spazi ai pescatori, e più terreni agli agricoltori, liberalizzando gli accorpamenti di terreni non coltivati senza assumerne la proprietà.

L’istituzione di un commissario ministeriale ad hoc, preposto ai fini di sovraintendere sul mezzogiorno d’Italia, resta un’idea da applicare, il sistema finanziario “resto al sud” è poco rilevante per una ripartenza e resilienza inclusiva, tamponare non vuol dire crescere, e fronteggiare la competitività concorrenziale, inoltre una Free Tax, per i settori più importanti quale anche il turismo, con dieci anni di avanzamento, porterebbe ad una libera e crescente dinamica economica, dove l’apprendistato deve ritornare ad affacciarsi per non abbandonare lavori un tempo, importanti.

Autore

Economista, Bio-economista, web master di eu-bioeconomia, ricercatrice Unicas, autrice e ideatrice di numerosi lavori scientifici in ambito internazionale. Esperta di marketing. Saggista, studiosa di geopolitica e di sociopolitica. È autrice dei saggi “Il paradosso della Monarchia” e di “Europa Nazione”. Ha in preparazione altri due saggi sull’identità e sulla politica europee.